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DALLA NUDITA’ ALLA SEMI-TRASPARENZA
La trasparenza assoluta di un oggetto di cilmente osservabile, perché le caratteristiche proprie
dei capi si evidenziano sempre nella presenza e dei vari gradi di semi-trasparenza, invitando
l’immaginazione percettiva a ricostruire il corpo semi-celato ma garantendo il rispetto delle regole
sociali etico-morali. Le assenze catalizzano lo sguardo e concentrano l’attenzione su quegli
elementi rimasti impliciti, dando origine al processo di implicazione. Tale processo crea una ellissi
vestimentaria e rende l’elemento assente riconoscibile grazie al reticolo relazionale nel quale è
inscritto e che costituisce il suo contesto. Si crea così un e etto di accelerazione che permette
un’immediata comprensione e ricostruzione delle unità mancanti, attraverso la procedura di
esplicitazione della catalisi (ibidem). L’opposizione tra visibile e invisibile si articola nei vari livelli di
semi-trasparenza: un fascio di gradi che va da un estremo massimo di trasparenza a un estremo
opposto di massima opacità. L’opposizione di partenza è tra quello che si può attraversare e
quello che si può vedere. L’attraversabile, che si pone all’osservatore senza protezione, presenta
l’idea di contattabilità e l’assenza di schermature. Presenza concreta, dà accessibilità diretta e
immediata. In questa dimensione del corpo nudo e dello scoperto rientrano le scollature, gli
spacchi e le assenze di copertura. La carenza di indumenti si inserisce nell’universo dei segni
dell’uso collettivo del costume. Celfato parla dell’assenza di biancheria intima di Sharon Stone in
Basic Instict come segno dell’ambiguità sessuale del personaggio, mentre l’assenza di underwear
è diventata tratto distintivo della stilista Vivienne Westwood. La volontaria carenza vestimentaria
assume i caratteri di una comunicazione universale, richiamando ad un atteggiamento
socialmente prodotto che è un’esigenza della sicità del capo. Considerando invece il corpo
singolo nella sua forma naturale/nuda e nella sua forma culturale/rivestita, si possono applicare
dei signi cati partendo dall’opposizione tra presenza e assenza. L’assenza scaturirà dalla nudità
parziale o totale è il signi cato, la presenza dell’indumento data dall’opacità del ltro è il
signi cante. Il corpo, che non è mai totalmente naturale, è il signi cante preso nella totalità delle
recto verso,
sue articolazioni. Esso si pone come di un fogli di cui il rivestimento costituisce il il
segno portatore di signi cazione. Questi due lati danno origine a una seriosi e dunque a un segno.
Il rivestimento crea il corpo come strumento di comunicazione, ma anche il corpo nudo, ossia il
grado zero dell’abito, è già in sé carico di senso, poiché è sempre il risultato di un’assenza che
gioca un ruolo pienamente signi cante. E’ l’abito che semantica il corpo facendolo esistere
concretamente e visibilmente, perché quando il corpo è celato dall’abito opaco se ne avverte la
sicità e il rapporto di presupposizione reciproca con il piano del contenuto è in ogni caso
soddisfatto. Il corpo rivestito si può considerare segno, perché è dato dall’unione tra signi cante e
signi cato, ed è desiderabile perché l’abito è il suggeritore che palesa la desiderabilità del corpo
nudo. Il corpo si palesa per ragioni anatomiche, non arbitrarie o in casi particolari. Negli abiti
dotati di diversi gradi di semi-trasparenza il corpo si palesa in maniera arbitraria per ampli care o
ridurre il desiderio. Sottrazione e semi-trasparenza sono sermone arbitrarie, innanzitutto a partire
dalla localizzazione. La cultura in cui il corpo e l’abito sono inseriti ci permettono di attribuire
diversi signi cati a diverse parti del corpo in periodi storici, geogra ci e sociali di erenti. Per
questo il corpo nudo ha minore desiderabilità a un corpo sapientemente coperto, perché solo
quest’ultimo evoca l’idea di una soglia da superare e presuppone una serie di competenze che
sono de nite da regimi di visibilità, dando origine a regolamentazione di controllo dello sguardo,
attraversi cui esplorare i livelli di copertura, di semi-trasparenza e di opacità assoluta.
Quest’ultima è il carattere distintivo di ogni relazione asimmetrica.
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Il coprire parti del proprio corpo rende il corpo un “puro oggetto (Sartre), mascherando
l’oggettività del corpo nudo ed esibendo la propria capacità di vedere senza essere visto. I diversi
gradi id semi-trasparenza instaurano una dialettica che mette al centro lo sguardo. La trasparenza
assoluta non è concepibile e comunque non fermerebbe lo sguardo, che viene però stimolato dai
livelli di semi-trasparenza, che può divenire un oggetto concreto. L’opacità ferma lo sguardo e
contribuisce a disegnare un contorno. Nell’opposizione tra corpo nudo e rivestito, quest’ultimo
non è mai una massa opaca di tessuti che celano senza regolamentazione. Il puro soggetto di
Sartre riconosce alle coperture precise funzioni che partendo dal signi cato socialmente attribuito
alla parola pudore, riconoscono al rivestimento corporeo il segno di uno status e di una
condizione che si basa su opposizioni dicotomiche (pubblico/privato, giovane/veccio, elegante/
casual…). Tra l’assenza e l’opacità assoluta esistono una serie di livelli di semi-trasparenza e in
ognuna di tali declinazioni il vestito è sempre una soglia e formalizza alcune regole fondamentali.
Nel momento in cui il rivestimento si attua nelle possibili direzioni, mette in scena una gerarchia di
funzioni che permette di riconoscere il segno dell’abito. Trasparenze, opacità e dinamiche di semi-
trasparenze non sono estranee alla ciclicità della moda e sono l’esserci dei segni dell’abito.
Alcuni segni portano alla valorizzazione emotiva di alcuni oggetti, che diventano testi fatti di
diversi linguaggi. Deve quindi esistere una precisa sintassi dell’abbigliamento, capace di de nire
delle pietre angolari del fenomeno vestimentario. Il rivestimento del corpo assume cosi un senso
decodi cabile o in funzione di signi cati sociali codi cati nel tempo.
Bisogna ricordare che il codice abbigliamento-moda dipende dal suo contesto e la funzione
comunicativa dell’abbigliamento è in primo luogo deduttiva, basandosi su codici che
contribuiscono alla formazione di una comunicazione seduttiva e attiva, ma auto-riferita. Il
linguaggio dell’abbigliamento propone modi cazioni degli equilibri che mettono in scena un
meccanismo comunicativo di tipo deduttivo di secondo grado. Tale meccanismo è capace di dare
origine a desideri attraverso la rappresentazione visiva della sua eccitazione, generando un
bilancio energetico del lusso, ossia un dispendio di energie che prescindono dalla pura
funzionalità.
CARATTERISTICHE UNIVERSALI DEL SISTEMA DELL’ABBIGLIAMENTO
Tale sistema si basa su due caratteristiche correlative: la signi catività e la strati cazione.
La signi cazione prende spunto dal concetto che in tutte le culture l’abbigliamento gura tra i
sistemi di senso più importanti, perché non accade mai in una società che gli esseri umani si
vestano semplicemente come capita o che non portino coperture diverse. La signi catività
presuppone che gli indumenti siano diversi, per esempio tra indumenti maschili e femminili, o tra
adulti e bambini. La strati cazione invece il concetto che dalla descrizione della dimensione
sociale dell’abbigliamento si de nisca una combinatoria di indumenti ricca di signi cato e legata a
condizioni collettive e solo limitativamente a livello individuale, stabilendo quindi anche numerose
di erenze e vincoli sociali, dei veri codici d’abbigliamento.
Esiste una terza potenziale variabile che è legata al cambiamento ciclico delle fogge, ossia
un’oscillazione obbligatoria del gusto (Simmel). Tale principio lega il gusto collettivo a un
andamento ciclico veloce e avvertibile, che si collega a un intervallo valoriate che rende un capo
ora desiderabile, ora indispensabile, ora sgradevole. Tony Cragg diceva che ogni elemento è
potenzialmente magni co, brutto o tutt’altro, a seconda della vasta gamma di criteri. La
gradevolezza del capo ha poco a che fare col suo essere di moda, come la nozione di bello non è
indispensabile per renderlo di moda. Baudelaire disse che la moda è uno sforzo di raggiungere il
bello , un’approssimazione di un ideale il cui desiderio sollecita l’insoddisfazione umana.
Kant invece sottolineava come il tratto essenziale della moda fosse la novità, capace di
degenerare nello stravagante o nell’odioso, perchè non dipendente dal buon gusto, ma dal
superare l’o erta precedente. Questa mutevolezza nel tempo condiziona tutti i settori di fenomeni
di moda, che nell’abbigliamento è pero indissolubilmente presente, anche per la de nizione
stessa di moda: il rapido succedersi di fogge, forme, materiali, in omaggio a modelli estetici che si
a ermano cime elementi di novità ed originalità. La moda è un un meccanismo generale che
assume rilevanza anche negli altri settori estranei all’abbigliamento. Adam Smith considerava la
moda il fenomeno che guidava le variazioni degli ambiti legati al gusto, che fossero mobili, abiti,
canzoni, poesie o anche discussioni morali. Kant era d’accordo, de nendo le mode come
mutevoli maniere di vivere. Lars Fr. H Svendsen de nisce l’oggetto di moda come elemento di
distinzione sociale e come parte di un sistema che lo sostituisce con rapidità a qualcosa di nuovo,
asserendo però che in ogni settore che fa riferimento alla moda, essa si de nisce secondo
modalità totalmente diverse. Wittgenstein parlava di somiglianze di famiglia, analizzando la
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commessa rete di somiglianze che collegano i fenomeni di moda, pur non dovendo presentare
essi un’unica caratteristica comune.
Esiste un sistema semi-simbolico, in quanto il signi cato del vestire non può essere catturato se il
vestiario viene considerato come dotato di un valore in sé. Al contrario il valore signi cante del
vestiario si esprime soprattutto in quanto dispositivo che consente al corpo di articolarsi in una
serie di valenze contrapposte e di manifestare tali valenze come associate a valori anch’essi
alternativi (Leone). L’analisi dei fenomeni dell’abbigliamento non può prescindere dall’ambizione di
costruire un inventario di forme vestimentarie per commutazione. Cambiando i signi cati