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APPLICAZIONI DELLA LOGICA ALLA SCIENZA GIURDIDICA
CAPITOLO 1
APPLICAZIONI DELLA LOGICA ALLA SCIENZA GIURDIDICA
1. Scienza giuridica pura e scienza giuridica applicata
Mostrare gli usi che della logica compie la scienza giuridica nell'affrontare i problemi che le sono propri. Quali sono questi problemi? Per rispondere a questa domanda occorre distinguere due momenti della scienza giuridica: comunemente "dottrina", la quale tratta questioni generali ed astratte, chiedendosi, ad esempio, se una certa legge sia costituzionalmente legittima; la "giurisprudenza", scienza giuridica applicata o pratica, la quale affronta questioni pratiche e concrete, chiedendosi, per es., se il contratto concluso fra due determinate persone sia o no un contratto di compravendita, se questo contratto è nullo ecc.
Ma la scienza giuridica applicata per rispondere alle domande particolari e concrete che si pone deve aver risolto anche problemi generali ed
Astratti propri della scienza pura e tecnica (non a caso avvocati, magistrati, fanno continuo riferimento alla dottrina). Dunque, nella scienza giuridica applicata troveremo questioni di carattere generale e teoriche e questioni relative a casi concreti e pratici: il punto di vista della scienza applicata è un osservatorio completo del lavoro della scienza giuridica.
2. Questioni di diritto e questioni di fatto di diritto e questioni di fatto. L'importanza della distinzione:
Ai fini processuali è importante la distinzione tra questioni di diritto e questioni di fatto. Tale distinzione è stata ben avvertita dalla retorica antica, la quale ha elaborato la teoria dello status causae: status causae voleva dire lo specifico punto in discussione nella causa, cioè la specifica questione che nasce dall'affermazione di una parte e dalla negazione dell'altra. Tra gli status causae ha distinto e analizzato da un lato la questione di fatto, in cui ciò che si discute è appunto l'esistenza.
Di un fatto, ed all'altro la questione di diritto, in cui si discute la qualificazione giuridica del fatto.
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Qui cercherò di suggerire un criterio di massima che valga a distinguere i due generi di questioni in modo da poter distribuire opportunamente nel loro ambito i vari tipi di argomenti precedentemente esposti. Un criterio che trova lo spunto nella distinzione tra fatti "bruti", o meri fatti, e fatti "istituzionali", distinzione compiuta da Searle e dal neoistituzionalismo, ma prima ancora profilata da Kelsen.
Kelsen ha chiarito che ogni fatto considerato come giuridico è composto di due elementi:
- Un elemento è un accadimento esteriore che si svolge nello spazio e nel tempo: questo è il mero fatto;
- L'altro elemento è il significato giuridico dell'accadimento, significato che deriva da una norma che nel suo contenuto vi si riferisce: questo è il fatto giuridico (il significato è
che una legge è stata votata). Se teniamo presente questa distinzione non sarà difficile distinguere questioni di mero fatto e di diritto.
sono quelle che riguardano l'accadimento esteriore, considerato
- Questioni di mero fatto: in sé e per se, a prescindere dal suo significato giuridico; questioni perciò risolvibili anche da chi nulla sa di diritto;
- Questioni di diritto: contenuto delle norme; questioni perciò risolvibili solo da chi ha conoscenze giuridiche.
Occorre stare attenti ai casi che sono misti di diritto e di fatto. → Prendiamo ad esempio il caso dell'art. 433 c.c. il quale impone l'obbligo di prestare gli alimenti a una di congiunti dell'obbligato. La questione se l'obbligato abbia prestato i dovuti alimenti a una certa categoria di persona potrebbe sembrare una questione di mero fatto. Non lo è: è una
domanda che non si può "alimenti" che è diverso da quello comune. Inrivolgere a chi ignori il significato giuridico del termine definitiva, la questione rimane di diritto finché in essa si presentano concetti di diritto che non hanno corrispondenza nell'esperienza extragiuridica. Per arrivare a porre la questione di fatto il giurista deve analizzare e specificare questi concetti giuridici fino al punto in cui essi e il linguaggio in cui sono espressi giungano a coincidere con i concetti e il linguaggio dell'esperienza comune o scientifica. Intendiamoci: che la questione sia di mero fatto non significa per nulla che sia giuridicamente irrilevante, sia perché è comunque una specificazione di concetti giuridici contenuti nella fattispecie legale, sia perché ha conseguenze giuridiche.giurati selezionati casualmente tra i cittadini. Questo perché la decisione su questioni di fatto non richiede una conoscenza specifica del diritto, ma piuttosto una valutazione basata sull'esperienza e sulla logica. Tuttavia, è importante sottolineare che la risoluzione di questioni giuridiche complesse richiede l'intervento di esperti nel campo del diritto. Solo un avvocato o un giudice con competenze giuridiche adeguate può fornire una risposta accurata e completa a tali questioni. In conclusione, sebbene alcune questioni giuridiche possano essere risolte utilizzando la conoscenza comune o le conoscenze scientifiche, è sempre consigliabile rivolgersi a un esperto nel campo del diritto per ottenere una risposta affidabile e corretta.gente comune. Il criterio esposto è necessario e sufficiente per trattare distintamente gli argomenti che la scienza giuridica usa nella soluzione delle questioni di diritto e quelli che essa impiega per risolvere questioni di fatto.
CAPITOLO 2
ARGOMENTI NELLE QUESTIONI DI DIRITTO
- Gli argomenti nelle questioni di diritto
Le questioni di diritto sono quelle che non possono essere risolte che sulla base di conoscenze giuridiche. Conoscere una norma vuol dire sapere che cosa essa significa, come interpretarla e se è valida.
Le questioni di diritto sono fondamentalmente di due generi: questioni di validità o questioni di interpretazione. I diversi generi di questioni non sono separati tra loro, nel senso che per sapere se una norma è valida spesso dobbiamo sapere che cosa significa: una norma può essere valida sulla base di un'interpretazione ed invalida se emerge da altra interpretazione. Il problema dell'interpretazione
Tenere conto di ogni genere di contesto di cui quel testo fa parte: del complesso delle parole impiegate, della pagina in cui il testo compare, dell'intero libro che lo contiene... Il canone della totalità è stato enunciato con chiarezza da Cicerone: bisogna desumere l'intenzione dello scrittore da altri suoi scritti, fatti, espressioni, dal suo modo di pensare e dal suo modo di vita. Nel canone della totalità è poi incluso l'ulteriore criterio della coerenza: il significato del testo va ricostruito in modo da rendere il contesto una totalità coerente, secondo le esigenze della logica e del senso comune; perciò, un'interpretazione va esclusa se approda ad un significato che renda il contesto contraddittorio.
2.1. L'interpretazione ed il ragionamento per esclusione
La correttezza dell'interpretazione di ogni disposizione e del testo normativo va saggiata in coerenza con ulteriori criteri di interpretazione:
- ...
Criterio linguistico: il testo deve potersi accordare col contesto delle regole del linguaggio legislativo, con il suo lessico, la sua grammatica e la sua sintassi. L'interpretazione condotta in base a questo primo criterio dà luogo al significato linguistico (più specificamente al significato lessicale o grammaticale).
- il significato linguistico deve, a sua volta, potersi accordare con l'intero contesto
Criterio sistematico: discorsivo nel quale il testo si iscrive, che include, tra le altre cose, tutte le altre norme valide e gli stessi totalità dell'ordinamento principi generali. In breve, il contesto sistematico è costituito dalla e il significato linguistico reso coerente con l'intero ordinamento significato sistematico del testo è il giuridico.
- Criterio genetico: a un livello più profondo, il significato sistematico deve potersi accordare con il contesto dei fatti che costituiscono il "perché".
L'origine e la ragione ispiratrice della sua statuizione. Si possono distinguere due specie di origine di una disposizione normativa:
- Un'origine dell'interpretazione, e cioè prossima, alla quale fa riferimento il criterio teleologico la specifica finalità, ratio legis, che ha motivato la singola disposizione;
- Un'origine più remota, o alla quale si riferisce quello che potremmo chiamare criterio socio-culturale dell'interpretazione: la politica legislativa, l'ideologia, la tradizione e la coscienza la "filosofia", su cui si basa l'ordinamento come prodotto culturale-sociale.
Il significato del testo, quale risulta dopo l'applicazione di tutti e tre i criteri ermeneutici è il suo significato conclusivo, ossia la norma contenuta nel testo.
Posto ciò, come dovrebbe lavorare il giurista quando interpreta una legge? Anzitutto, in quanto giurista, egli è dotato di una cultura giuridica di sfondo.
cui fanno parte i criteri ermeneutici illustrati. Egli ha diè un dubbio, e un dubbio è un'al