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EVOLUZIONE
Vi sono quindi parole di uso più comune, appartenente a un lessico fondamentale, che sono maggiormente presenti nei nostri enunciati o, in genere, nel nostro quotidiano linguistico.
A queste si affiancano circa altri 2000 parole dette ad alto fegato, suocero, cugino, padrino etc., uso tra cui e altre 2000 parole circa, note ma non sempre usate, che sono classificate come ad alta disponibilità.
Vi sono poi detti comuni che riconosciamo indipendentemente dal nostro ambiente di; se ne potrebbero contare decine di migliaia.
Nella comunità dei parlanti si distinguono infatti lessemi di basso uso o obsoleti.
Si distinguono tradizionalmente lessici specialistici e settoriali.
Tra questi una menzione particolare meritano i termini letterari.
Completano il quadro gli esotismi o, in particolare nel lessico, i forestierismi e i regionalismi.
Stiamo discutendo il dibattuto tema della formazione dei neologismi, che ovviamente riguarda tutte le lingue e tutte le epoche.
storicheRispetto a questi, il lessico di una lingua si può caratterizzare per i suoi insiemi più tradizionali che per questo si candidano con i migliori rappresentanti del lessico tipico di una lingua, talvolta detti nativo o patrimoniale.
Il lessico nativo della lingua italiana che è una lingua neolatina, trae origine principalmente da quello del latino di varie epoche attraverso l'evoluzione che hanno caratterizzato la formazione dei volgari e poi delle varietà romanzo moderne.
Una menzione particolare meritano molte forme di origine Latina, introdotto successivamente o reintrodotte come cultismi o tecnicismi.
Si noti ancora che in italiano, come in altre lingue, si trovano lessemi detti allotropi derivanti dalla stessa forma originaria ma distintesi storicamente per via di un uso sociale differenziato.
Molti altri semi, di diversa origine sono però divenuti obsoleti e sono anche usciti dal nostro lessico, al punto che molti dizionari non li menzionano.
più o li classificano come arcaismi. Tuttavia, è interessante osservare quei casi in cui l’obsolescenza interessa disegnazioni caratterizzate settorialmente da eteronimi in competizione da lessemi il cui uso assume connotazioni soggette a censura (tabuismi) o a giudizi sociali variabili (gergalismi).
Si parla invece di prestiti quando i nuovi lessemi introdotti derivano da quelli usati in lingua straniera, e di calchi con le nuove espressioni lessicali sono create soltanto ispirandosi al modello di un’espressione diffusa in una lingua straniera di riferimento, senza ricorrere a procedimenti generali interni di formazione di nuovi lessemi.
Già da diversi decenni la ricerca linguistica ha distinto i forestierismi come prestiti di necessità e prestiti di lusso a seconda che seguano l’introduzione di un nuovo concetto, designato appunto con un nuovo lessema.
Si noterà tuttavia come alcuni prestiti conservino la forma più fedele a quella lingua.
della lingua donatrice mentre ne assumano una meno estranea alla ricevente, adattandosi alla sua morfologia: sono prestiti adattati quelli che presentano caratteristiche fono-morfologiche tali da essere confusi con parole native. Sono invece prestiti non adattivi gli altri di lusso succitati. Vi sono poi i cosiddetti prestiti di ritorno cioè parole che una lingua presta ad un'altra e che da questa vengono restituiti anche se modificati nella forma del contenuto. Si ha invece un calco semantico quando ci si ispira ad un modello di espressione diffusa nella lingua straniera di riferimento senza importarne esplicitamente i lessemi. Si considerano prestiti di adstrato quelli che avvengono nei casi in cui la lingua, confinando con un'altra, l'influenza trasmettendole elementi lessicali per contatto alla pari. Si noterà come questi siano notevolmente diversi da quelli ricevuti alcuni secoli prima come prestiti di superstrato, quando le popolazioni parlanti di queste lingue si.erano imposte militarmente nel quadro politico economico della penisola italiana. Si parla invece di substrato trattando degli influssi esercitati da una lingua diffusa in una data area su un'altra lingua che si sovrappone a essa subendone nella sua evoluzione, interferenze.CAPITOLO VIII. FRASI ED ENUNCIATI: L'ANALISI SINTATTICA DELLE LINGUE
VIII.1 LA SINTASSI TRA SCRITTO E PARLATO
Con la riflessione grammaticale, molte varietà linguistiche hanno raggiunto un certo grado di formalizzazione in virtù del quale i parlanti hanno l'impressione di parlare producendo enunciati accurati che corrispondono a modelli di riferimento della grammatica.
Al centro della sintassi è infatti il concetto di frase, intesa come entità linguistica che funziona da unità comunicativa autosufficiente.
A questo concetto molte tradizioni grammaticali associano di solito la presenza di una predicazione, cioè l'attribuzione di un predicato ad un soggetto che risulta, in genere,
In una attante-azionestruttura del tipo Tuttavia, nel parlato spontaneo si fatica a riconoscere strutture con queste caratteristiche: la comunicazione parlata si basa sull'enunciazione, cioè sulla produzione d'identità prosodicamente delimitabili che definiamo enunciati.
Sono enunciati senti che semanticamente compiuti:
- belli que(sti) jeans!
- Quella col tappo di sughero no
- Lui sì, io no
Sono invece enunciati semanticamente incompiuti:
- Il ventisette giugno duemilacinque
- Eh
- In montagna
- Si perché...
Come si vede, spesso manca una predicazione esplicita. Anche la definizione delle entità autonome della sintassi basati su criteri di indipendenza sintattica, completezza ed efficacia semantica, si scontrano con le reali condizioni di realizzazione degli enunciati. Nella maggior parte dei casi solo un parlato condizionato da una formulazione scritta preliminare può esibire piuttosto fedelmente le sembianze di un discorso.
articolato. Nella realtà probabilmente, un parlante accorto in un contesto più informale avrebbe impostato il suo discorso con lessemi più comuni. Di fronte a un pubblico di uditori difficilmente il parlante avrebbe rinunciato a corredarlo di segnali richiamo, di commenti autoreferenziali, che lo rendano più spontaneo e attrattivo, di espressioni ed elementi argomentativi, come: "dovete sapere che", "come forse saprete già", "dunque" etc. Nell'incertezza sulla sua produzione, il parlante può infine produrre interruzioni, esitazioni, riformulazioni etc. Se recenti studi sul parlato stanno riguardando fenomeni notevolmente distanti dalle attese, è comunque vero che questi modelli di costruzione delle frasi sono presenti nell'immaginario linguistico dei parlanti, cioè quella che chiamiamo la competenza linguistica. È da questa struttura che parte quindi di solito l'analisi sintattica, con riflessione sulle potenzialità.
della lingua cheesplorino dapprima un nucleo di formulazione ideale, su cui c'è normalmente un accordo da parte di tutti i parlanti, interessandosi alle innumerevoli scelte individuali che si manifestano nella loro esecuzione. VIII.2 PARTI DEL DISCORSO E ANALISI IN COSTITUENTI È invece sulla base di situazioni più oggettive, che le teorie del XX. secolo hanno testato le strutture sintattiche. La base di partenza è offerta dalla cosiddetta analisi in costituenti immediati, un'analisi della frase nei suoi costituenti di primo livello e successivamente nei loro costituenti di rango inferiore. Si noti che le regole di riscrittura o le possibilità di ramificazione sono applicabili ricorsivamente, determinando una delle fonti di complessità del linguaggio. La riscrittura delle variabili formali esposte sopra si basa sulla nozione di sintagma, inteso come gruppo di parole coeso alla base di un costituente sintattico. Tradizionalmente, a seconda della loromorfologia delle lingue considerate, le grammatiche distinguono parti del discorso variabili e invariabili. Tra quelli che godono di maggior consenso, menzioniamo innanzitutto il verbo. Ancora più diffuso del verbo nelle lingue si ritrova il nome. Sebbene la distinzione tra verbo e nome sia di solito agevole, vi sono tuttavia lingue in cui anche queste categorie possono sovrapporsi. Il determinante in molte lingue corrisponde all'articolo o dimostrativo. Allo stesso modo, davanti al nome, possiamo trovare una proposizione che lega il nome ad altre strutture precedenti o seguenti in una relazione di dipendenza. Distinzioni più sottili sono quelle tra nome e aggettivo che ribadiamo in diverse circostanze, attribuendo all'aggettivo la funzione di modificarne il nome. Non fosse altro che per la diversa morfologia come si diceva sopra, gli aggettivi si presentano infatti come una classe finale che include il grado. Davanti al nome alcuni aggettivi tendono ad assumere la funzione descrittiva mentre,dopo il nome agiscono di solito restringendone il significato (funzione restrittiva). Anche in questa categoria, la grammatica tradizionale ha fatto rifluire parti del discorso varie distinguibili, includendo ad esempio quantificatori, numerali e i cosiddetti indefiniti. Una categoria a parte è quella di parole che svolgono il ruolo di possessivo e che, in diverse lingue, possono essere associate a quella di determinanti, degli aggettivi e dei pronomi. Così come abbiamo definito l'aggettivo una sorta di complemento del nome, così si definisce di solito l'avverbio un modificatore verbale. Sono diverse le lingue in cui quelle che erano originariamente preposizioni perdono la necessità di essere seguite da un argomento e danno luogo a usi avverbiali oppure alla formazione dei verbi sintagmatici. Si distingue inoltre la particolare funzione che alcuni avverbi tradizionali assumono quando modificano invece molto, un aggettivo o un altro avverbio: ad esempio oltre ad avere.proprietà avverbiali anche funzione di intensificatore. Altri avverbi tradizionali condizioni talvolta assai distinte sono i cosiddetti focalizzatori. Un'altra categoria universale è il pronome: le lingue offrono le possibilità di sostituire costituenti nominali, con brevi parole convenzionali. In questi ultimi casi il procedimento è noto come anafora quando il pronome segue il costituente a cui fa riferimento o come catafora quando lo anticipa. Alcuni pronomi non appaiono però solo in virtù di questi procedimenti e.