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Mesopotamia, conserva verso la fine un autentico gioiello. Anche l’Iraq, dopo un inverno
piuttosto rigido e prima della torrida estate conosce un breve momento di clima temperato,
che coincide con il Nawwruz, l’equinozio di primavera. Ugualmente celebre è la siniyya,
composta nell’884 e in cui è descritto il palazzo semidiroccato edificato in epoca sasanide
dal monarca Cosroe I a Ctesifonte, non lontano da Baghdad. L’enorme arco principale,
tutt’ora visibile, colpisce l’immaginazione del poeta, che stabilisce un paragone esplicito tra
la propria disillusione – sono gli anni della caduta – e la rovina che ha colpito l’antico
edificio, il quale continua comunque a “far mostra di fermezza” in faccia alle avversità. E’
allora possibile vedere nella figura di Cosroe I un riferimento cifrato ad al-Mutawakkil, “il
caro amico ormai perduto”. Infine, è notevole nella sezione conclusiva la valorizzazione del
passato persiano preislamico, visto come provvidenziale preparazione all’avvento
dell’impero arabo-islamico. In questo passo, al di là dei precisi riferimenti geografici, il
poeta vuole trasmettere l’altezza e la grandezza del palazzo, che funge piuttosto
scopertamente da alter ego dell’autore.
Poesia neoclassica, al-Mutanabbi: Nato a Kufa nel 915 da una famiglia araba di umili
origini, viene ricordato come il più grande poeta dagli arabi, esponente della poesia
neoclassica. Trascorse, ancora ragazzo, tre anni nel deserto per sottrarsi alla minaccia
càrmata che pesava sulla regione. Ritornato in città, entrò nel circolo di un certo Abu l-Fadl
che gli instillò idee scettiche. Tentò ancora molto giovane la carriera da panegirista a
Baghdad e poi in Siria, dovendosi accontentare di modesti padroni e modesti compensi.
Divorato dall’ambizione, cercò allora di suscitare una rivolta tra i beduini del deserto
siriano. Il poeta si sarebbe fatto passare per profeta, finché il governatore di Homs pose fine
all’insurrezione arrestandolo nel 933. Da questa disavventura giovanile gli restò il
soprannome con cui è noto, al-Mutanabbi, cioè “colui che si fa passare per profeta”. Al-
Mutanabbi riprese il suo peregrinare, trovando un primo patrono di livello in Badr ibn
‘Ammar, signore di Tiberiade. Finalmente, nel 948, riuscì a essere ammesso alla presenza
dello hamdanide Sayf al-Dawla, che aveva riunito intorno a se una brillante schiera di poeti
e letterati. I nove anni che trascorse alla corte dell’emiro di Aleppo rappresentano l’apice
della sua carriera. Il principe apprezzava le odi di al-Mutanabbi e questi nutriva una sincera
ammirazione per il suo patrono, uno degli ultimi sovrani arabi in un mondo già dominato da
turchi e persiani, capace di tener testa per più di un decennio all’esercito bizantino, sulla
carta molto più potente, ma tatticamente inferiore. I successi di Sayf al-Dawla furono molto
costosi e soprattutto effimeri, visto che dopo la sua morte l’emirato divenne protettorato
bizantino, ma al-Mutanabbi tutto questo non poteva saperlo. Le Sayfiyyat, appunto “odi in
onore di Sayf al-Dawla”, testimoniano la progressiva elaborazione di un originale stile
caratterizzato in genere da un’introduzione gnomica, un sommario dell’azione seguito da un
resoconto dettagliato della campagna militare e concluso da un’apostrofe finale, a cui si
aggiunge una riflessione sul senso e sul ruolo della parola poetica. Si tratta della forma di
poesia più prossima all’epica che si possa trovare nella letteratura araba colta. Riaffiora in
questi versi il motivo della lotta vittoriosa che il patrono conduce contro il tempo. Peraltro,
le Sayfiyyat comprendono anche alcune fini elegie in cui trova espressione una visione
disincantata e pessimistica della vita, che probabilmente riflette le reali convenzioni di al-
Mutanabbi. Quella dolorosa solitudine che al-Mutanabbi lamenta in questi versi, un po' per
prosa e un po' per esperienza reale, lo riacciuffa anche ad Aleppo. Rivalità e gelosie con gli
altri poeti, il carattere altero, il suo ego smisurato precipitano in una rottura con l’emiro che
si consuma definitivamente nel 957. Il poeta fugge allora in Egitto, alla corte di Kafur, fine
politico che si era impadronito del potere. Allettato dalla promessa di un protettorato, al-
Mutanabbi già si immaginava il suo governo, ma Kafur tergiversa e alla fine liquida la sua
promessa, I rapporti tra i due si guastano, i panegirici del poeta diventano sempre più
ambigui, infarciti di versi a doppio senso, e da ultimo Kafur, esasperato, fa arrestare il poeta
nel timore che questi possa, una volta fuggito, ricoprirlo di offese e falsità. Ed è esattamente
quello che accade: approfittando della Festa del Sacrificio del 962, al Mutanabbi evade
rocambolescamente e dopo una lunga traversata nel deserto riesce a raggiungere Kufa. Dopo
un breve soggiorno a Kufa, dove ritrova la sua famiglia, al-Mutanabbi si reca a Baghdad,
ma nella capitale si scontra quasi immediatamente con il circolo di letterati, critici e poeti
riuniti intorno al visir al-Muhallabi, che lo accusano di aver plagiato gran parte dei suoi
versi. Intorno al poeta si riunisce comunque un gruppo ristretto di ammiratori, che sotto la
guida del linguista Ibn Jinni editano il suo Diwan. Tornato a Kufa, al-Mutanabbi prende la
via della Persia e dopo un breve soggiorno chiede e ottiene il permesso dall’emiro
buwayhide ‘Adud ad-Dawla di tornare a Kufa, ma non arriverà mai perché sarà assassinato
da un gruppo di briganti assoldati da uno dei tanti capi che al-Mutanabbi aveva screditato.
Se in vita al-Mutanabbi aveva conosciuto diversi critici, dopo la morte la sua fama cresce
rapidamente e a dismisura. Si producono commenti su commenti del suo Diwan e molti suoi
versi diventano proverbiali. Di tutti i poeti di età abbaside, egli è fino a oggi il più vivo e il
più citato. Sono tre le ragioni del suo persistente successo:
1. Al-Mutanabbi è l’ultimo poeta del deserto, capace di riproporre i grandi motivi della
poesia preislamica classica, ma in un linguaggio relativamente più semplice e accessibile,
appunto neoclassico;
2. Se è vero che il suo stile quasi epico richiede un allenamento per essere apprezzato, nelle
sezioni gnomiche al-Mutanabbi si rivela un autentico mago della parola, capace di portare
all’estremo il genio della lingua araba per il parallelismo e l’antitesi, in uno stile martellato e
nervoso che resta la sua cifra distintiva;
3. Infine e soprattutto, al-Mutanabbi affascina, oggi in particolare, come personaggio in
rivolta contro la società e le sue convenzioni; al-Mutanabbi offre prima di tutto ai suoi
lettori lo spettacolo del proprio pensiero; mentre pone tutta la sua abilità retorica a servizio
dei patroni, ne denuncia la radicale insufficienza, la vacuità del potere.
Poesia della tarda età abbaside: il manierismo e la poesia filosofica di al-Ma’arri: La fama
di al-Mutanabbi ha oscurato gli altri componenti del cenacolo radunato da Sayf al-Dawla.
Resta vivida però la memoria del cugino di Sayf al-Dawla, Abu Firas, egli stesso poeta e
principale rivale a corte di al-Mutanabbi, Di lui si ricorda una serie di odi composte a
Costantinopoli, le Rumiyyat, dove era stato condotto in prigionia, in cui da sfogo alla sua
nostalgia per la Siria lontana, celebra le glorie degli hamdanidi, canta le lodi di Ali – era
infatti sciita, come il cugino Sayf – e supplica il potente cugino di riscattarlo, cosa che
questiinfine si decise a fare, seppur non con la sperata rapidità. A Baghdad invece è attivo in
questo periodo un altro acerrimo nemico di al-Mutanabbi, Ibn al-Hajjaj, noto per la sua
poesia oscena, infarcita di espressioni gergali. Secondo il critico al-Tha’alibi, questo poeta si
sarebbe giustificato per la sua scurrilità in questi termini: “la mia poesia non può fare a
meno di queste oscenità: una casa potrebbe esistere senza un cesso?”.
Il maggiore poeta della generazione successiva ad al-Mutanabbi è però Mihyar al-Daylami,
uno zoroastriano convertitosi allo sciismo, celebre soprattutto per i suoi panegirici
estremamente lunghi ed elaborati. Egli è considerato l’esponente di punta di un manierismo
intessuto di figure retoriche noto in arabo come tasannu’, e che rappresenta l’evoluzione del
nuovo stile badi’. Costretti a una costante ripetizione dei medesimi temi, i poeti non
avrebbero avuto altra via che un crescente virtuosismo formale per cercare di introdurre
qualche elemento di novità.
5.2 Il recluso di Ma’arra
La figura più rappresentativa del periodo è senza dubbio Abū l-ʿAlāʾ al-Maʿarrī, poeta e
filosofo siriano noto per il suo pensiero originale e spesso controverso. Rimase cieco ancora
bambino a causa del vaiolo. Dotato di prodigiosa memoria, compì studi religiosi e letterari
nella sua città e ad Aleppo. Fece alcuni viaggi nel nord della Siria, nel corso dei quali
soggiornò anche in un monastero cristiano presso Lodicea. Ormai trentenne, tentò la fortuna
a Baghdad, ma ben presto screzi con i letterati locali lo costrinsero a lasciare la città attorno
al 1010. Da quel momento, complice anche la notizia della morte della madre, decise di
rinchiudersi in casa dandosi a una vita di dura ascesi: regime alimentare vegano, digiuno
perpetuo dall’alba al tramonto tranne che per le due feste maggiori del calendario islamico,
abiti di cotone o lana ruvidi, una stuoia per letto. Divenuto famoso come “Il recluso delle
due prigioni” ovvero la cecità e la sua casa, ruppe il suo ritiro soltanto una volta, nel 1026-
27, per intercedere a favore dei suoi concittadini presso l’emiro di Aleppo. Non si sposò e
non ebbe figli, ma accolse a casa propria numerosi discepoli attratti dalla sua prodigiosa
conoscenza della lingua araba. Morì nel 1058.
La sua prima raccolta poetica, Saqṭ al-zand, riflette l’influenza di al-Mutanabbī, cui aveva
dedicato un commento giovanile dal titolo provocatorio Muʿjiz Aḥmad. Al suo ritorno da
Baghdad, al-Maʿarrī rinuncia ai panegirici e si dedica a una poesia ascetica e riflessiva,
raccolta nelle Luzūmiyyāt, opere composte secondo rigide regole metriche. In esse, esprime
un forte scetticismo religioso, criticando tutte le fedi storiche, compreso l’islam, spesso con
linguaggio allusivo e ironico.
Sebbene molti lo abbiano ritenuto ateo o agnostico, al-Maʿarrī afferma in più versi di
credere in Dio e nella creazione, pur restando tormentato da dilemmi metafisici irrisolti,
come la risurrezione, il libero arbitrio e la presenza del male. La sua fede è complessa e
ambivalente: critica le religioni organizzate, ma non nega l’esistenza di una divinit&agrav