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Wakefield:
uno splendido racconto intitolato storia di un uomo di mezza età, per nulla
avventuroso, che si allontana dalla sua casa, senza un motivo plausibile, per ben
vent’anni: non c’è nemmeno il filtro magico questa volta, ma una sottile stregoneria
sembra impedire, a quest’uomo di porre fine al suo “scherzo” mentre la moglie lo
piange per morto, va ad abitare in una stanza vicina alla sua casa, nello stesso
quartiere di Londra, e quasi ogni giorno si reca a contemplarla dall’esterno, finché,
dopo vent’anni, tornerà tranquillamente e senza perché, proprio com’era partito. Alla
vertigine del mistero che c’è al centro della vicenda, si unisce in questa variante
angosciosa di Rip un’altra vertigine, fatta di attrazione e di sgomento: quella che
conduce narratore e lettore a partecipare pericolosamente da vicino a questa
avventura. Wakefield sarà dunque colui che vivrà davanti ai nostri occhi le
conseguenze di una tentazione diffusa, quello che ne affronterà tutti i rischi, fino a
tramutarsi in un “naufrago dell’universo”. La fuga di Rip tocca un punto nevralgico
della cultura americana. Senza contare, per rimanere più vicini ai nostri autori, le
pagine inquietanti che alla solitudine nella metropoli e alla tecnica del “pedinamento”,
metaforico e non, dedicano anche il Melville di Bartleby e il Poe di quel racconto,
The Man of the Crowd.
straordinario e inquietante, che è
Il trascendentalismo: una “metafisica tedesca”
“Trascendental Club”
I membri del furono accusati di servile imitazione nei confronti
dell’idealismo tedesco. Al di là di alcune generiche posizioni di tipo idealistico o
vagamente neoplatonico- la perfetta corrispondenza dell’anima individuale con
oversoul; self-
l’anima dell’universo o la fede assoluta nelle forze del singolo, o
reliance- non si può parlare di sistematiche teorie filosofiche all’interno del
trascendentalismo, che rimane secondo Parrington, una fede più che una filosofia. È
vero che tutta la rinascita intellettuale della Nuova Inghilterra si inserisce in un quadro
di aperture e di influssi culturali nei confronti dell’Europa assai diverso dal sospettoso
isolazionismo di primi anni post-rivoluzionari.
Dinamismo, ottimismo, velocità, espansione. E tuttavia gli Stati Uniti usciti dalla guerra
Gilded
civile si presentavano ben più divisi di quanto il loro nome e l’idea stessa di una
Age non facessero pensare. Certo, l’obbrobrio della schiavitù era stato cancellato, ma
ora s’apriva l’enorme problema della ricostruzione degli Stati del Sud e della
condizione- economica, sociale, culturale- della popolazione di colore. S’apriva l’epoca
robber barons
delle crisi cicliche spesso acutissime della concorrenza sfrenata, dei (i
maganti delle ferrovie, del petrolio…), dei cartelli e dei monopoli, degli aspri conflitti
tra capitale e lavoro (gli scioperi nelle miniere di carbone nelle ferrovie, il movimento
dei disoccupati, la nascita e lo sviluppo delle organizzazioni sindacali nazionali e dei
partiti socialisti). Il completamento della colonizzazione del Paese era ormai questione
di pochi anni. Ma s’apriva ora l’ultimo capitolo dello sterminio dei Pellerossa e al tempo
stesso, una fase di grande instabilità nelle regioni della frontiera: coloni e agricoltori,
giunti fiduciosi dall’Est per ritagliarsi la loro fetta di “sogno americano”, cadevano
sotto i colpi delle cavallette, della siccità, dele ipoteche. Dei tassi d’interesse, delle
tariffe ferroviarie e della concorrenza dei grandi proprietari terrieri.
A tutto ciò, s’aggiungevano poi altri fattori. Mentre morivano le piccole città le grandi
metropoli, si trasformavano in vortici d’inquietudine violenta. Un nuovo protagonista
sociale nasceva dal concorso di urbanizzazione, sviluppo tecnologico, intensificazione
middle class
della produzione industriale e dilatarsi del mercato: la che avrebbe
consumer culture
giocato un ruolo centrale nella di fine secolo, stimolando e
condizionando tutta una serie di scelte in campo economico e sociale.
Queste polarità irrisolte tra Nord e Sud, città e provincia, capitale e lavoro, terra e
macchina, continueranno ad essere l’altra faccia dell’unità raggiunta. Così, mentre il
processo di omogeneizzazione nazionale e di creazione di un’idea collettiva avanzava,
si moltiplicavano separazioni e le segmentazioni e un’irrequietudine patologica che
American nervouseness.
non a caso venne chiamata, nel 1881, Le tensioni che si
venivano accumulando nel profondo della società statunitense sarebbero poi affiorate
nell’ultimo decennio del secolo.
Verso il realismo: umorismo della frontiera e “local color”
Questa tensione tra unità e segmentazione, che più spesso rimane irrisolta o viene
vissuta come insolubile, si ritrova nella letteratura del tempo. Da un lato, la spinta alla
creazione di una letteratura e cultura veramente nazionali si tradusse in una sorta di
caccia a quella “balena bianca” rappresentata dal “grande romanzo americano”.
Dall’altro, le regioni geografiche, sociali, psicologiche e linguistiche in cui la nazione
americana continuava a essere frammentata anche dopo la Guerra Civile, diedero
voce ad un regionalismo di estrema importanza per gli sviluppi successivi.
generis.
Nelle zone di frontiera, giungeva a maturazione quell’umorismo sui Anticipato
qualche decennio prima l’”umorismo della frontiera” esprimeva la vena iperbolica
presente fin dagli inizi dell’esperienza americana. Attingendo poi al grande serbatoio
tall tales, folk songs,
di leggende e barzellette, oltre che di autobiografie e diari di
viaggio, formatosi nel corso della conquista dell’Ovest, esso rielaborava in termini
mitopoietici personaggi reali e fantastici. Così facendo, si poneva inconsapevolmente
dialettica alla letteratura “colta” dell’Est, affidato a una trasmissione orale soprattutto
attraverso “conferenze” che assumevano l’aspetto di veri e propri spettacoli teatrali.
L’”umorismo della frontiera” non esauriva però il panorama del giornalismo letterario,
local color, patchwork
che, nelle forme del si configura come autentico della realtà
local
presente e passata di quelle sacche geografiche e socio-culturali. In gran parte, il
color era una “letteratura di mondi perduti” che riviveva con malinconica nostalgia un
passato nemmeno troppo lontano e spesso descritta all’insegna di un equilibrio e di
una pace più fittizia che reali. Nelle sue prove migliori, si poteva però anche cogliere
l’emergere di tematiche complesse e linguaggi destinati a svolgere un ruolo chiave
nella successiva produzione letteraria.
Nel Sud, il discorso di faceva più complesso. Alle tendenze di un local color rivolto
soprattutto alle tradizioni e ai dialetti, ai materiali folklorici della popolazione nera o
creola, e ben rappresentato da autori di colore.
Tra il 1929 e il 1931 “l’intera struttura della società americana sembrò andare
letteralmente in pezzi” e lo shock fu violentissimo in tutto il paese. Più di seimila
banche chiusero battente, quasi 300mila famiglie rimasero senza casa per non aver
potuto pagare le ipoteche, più di 750mila fattorie dovettero chiudere, salari e stipendi
non fecero che scendere. Fu traumatica la visibilità degli squilibri sociali. Povertà e
roarin’ twenties,
disoccupazione erano esistite anche durante i ma erano rimaste sotto
la superficie.
La più colpita delle metropoli del Nord-Est, era la popolazione di colore. Ma non
cessava per questo l’esodo dei neri che fuggivano un Sud dove si moltiplicavano i
linciaggi e le fattorie chiudevano una dopo l’altra. Eserciti di disoccupati, lavoratori
migranti, vagabondi traversarono il paese su treni-merci e cresceva il numero degli
adolescenti sulla strada. Per tutto il decennio, la disoccupazione si mantenne elevata,
e non si limitò a colpire le classi basse, gli operai e i contadini. Settori ampi delle classi
medie si ritrovarono prima con gli stipendi decurtati e poi in mezzo alla strada e senza
speranze. Le misure adottate dal governo Roosevelt a partire dal 1933 riuscirono ad
assorbire una parte di questa disoccupazione, specie con un gigantesco programma di
lavori pubblici. Ma era la struttura economica a non funzionare, e così, quando nel
1937-1938 una nuova crisi si abbatté sul paese, la disoccupazione tornò a toccare
punte altissime; e solo nel 1941, con l’entrata in guerra, l’economia americana
cominciò a risollevarsi.
Sherwood Anderson: il “narratore di storie” Writers writer”,
Il destino di Sherwood Anderson fu quello d’essere prima di tutto un “
uno scrittore punto di riferimento per altri scrittor. La carriera di Anderson fu singolare:
iniziata tardi, con quei romanzi di copy-writer tra i più pagati a Chicago. Le prime due
opere di Anderson trattavano della crisi che s’abbatte su personaggi sottoposti alle
pressioni violente di una società che sta cambiando e dei diversi tentativi di soluzione,
individuale e collettiva. Il tema della solitudine dell’individuo e pulsioni erotiche degli
imperativi economici della società rimarrà centrale alla narrativa di Anderson e ne
determinerà il ruolo entro la cultura americana del Novecento. Ma nei primi due
romanzi questo tema, non riesce ancora a trovare un’espressione adeguata. La sua
Winesburg, Ohio:
opera più riuscita e importante fu ventisei racconti che compongono
“Book of the Grottesques”
un e che il “narratore di storie” costruì per l’appunto intorno
ad altrettanti momenti nella vita di alcuni cittadini di Winesburg- un’altra amata/odiata
smalltown, simbolo dell’America senza particolari preoccupazioni di struttura
complessa, di organizzazione e scansione die temi, si prospettiva, tutti elementi
“deboli” nella narrativa a più ampio respiro di Anderson. Eppure, questi ventisei
momenti risultano egualmente organizzati in una trama unitaria ed equilibrata, perché
sono collegati da un registro uniforme, da un tema unico e da un personaggio chiave.
Il registro è quello del realismo opaco su cui irrompe l’irrazionale: nella quiete
sonnolenta della cittadina, tra i ritmi allentati della provincia, si condivide la pacata
attesa dell’inevitabile manifestarsi di un gesto, di una parola, di un lampo, capaci di
illuminare i personaggi, poi tutto torna come prima. Il tema unico e centrale: la
solitudine e