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ALL POS ALLA RAGEDIA
Tra VIII-VI sec a.C i poeti epici si erano dedicati alla redazione di poemi epici come l’Iliade e l’Odissea, nei quali
potessero essere narrati tutti i grandi miti panellenici non compresi nei poemi omerici.
Verso la metà del VI sec esisteva una serie completa di poemi che costituivano una narrazione completa dei
miti tradizionali a partire dall’accoppiamento di Urano e Gea (nascita prima generazione di Dei) fino alle imprese
dei figli degli eroi che combatterono a Troia.
Nella seconda metà del IV sec nacque il genere poetico della Tragedia, dopo essersi consumata l’esperienza
della composizione epica, a cui conseguirono importanti trasformazioni; si passò..
Dal Rapsodo all’attore
→ Dalla voce narrante in terza persona al dialogo diretto tra i personaggi in azione
→
La maschera- l’attore, travestendosi, assumeva convenzionalmente l’identità del personaggio, imita e simula,
dando vita ad una finzione scenica: il pubblico ormai assisteva ad uno Spettacolo Teatrale.
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TRUTTURA DELLA RAGEDIA
1) Prologo: discorso preliminare che precede l’ingresso del coro nell’orchestra e che, in forma di monologo
o di dialogo, ha la funzione di presentare la situazione di partenza al pubblico.
2) Parodo: canto intonato dal coro mentre fa il suo ingresso e prende posto nell’Orchestra, era spesso
composto in ritmi di marcia per sottolineare lo spostamento/ il movimento.
3) Primo episodio: prima azione scenica.
4) Primo stasimo: primo canto intonato dal coro dopo essere entrato in scena. Si trattava di un canto statico
(perché né di ingresso né di uscita), ma era accompagnato da una danza
5) Alternanza tra episodi e stasimi
6) Epilogo: generalmente era l’ultimo episodio
In origine c’era un solo attore: sulla scena compariva un solo personaggio che dialogava con il coro, il quale
rispondeva cantando
Eschilo introdusse il secondo attore, e ne conseguì che
I personaggi che comparivano in scena dialogavano tra loro
▪ Ci fu un’espansione delle parti parlate e una riduzione dei canti corali
▪
Sofocle incrementò
Il numero degli attori da 2 a 3, divenendo questo il numero rispettato poi da tutti.
• Il numero dei coreuti da 12 a 15.
•
Il Corifero: primo coreuta, aveva la responsabilità di rappresentare l’intero coro e di parlare a suo nomeù
Il coro si presentava come un unico personaggio (senato di una città, gruppo di donne/schiave).
− Il suo punto di vista era quello di una delle due parti in causa, ma più equilibrato.
−
Verso la fine V sec il canto corale divenne un semplice intramezzo musicale, svincolato dalla trama.
Il metro tipico dei dialoghi era il trimetro giambico, il più vicino alla cadenza del conversare quotidiano.
Il metro dei canti del coro era variabile, i versi erano disposti secondo il sistema triadico, nel quale alle strofe
rispondeva l’antistrofe, entrambe seguite dall’epòdo (con sequenza di versi differente).
I canti del coro tragico si rifacevano alla tradizione della lirica corale greca per la frequenza di metafore ed
iperbati, il dialetto connotato come “dorico”, il parlato connotato come “attico”.
La tragedia giustapponeva tutti i generi poetici della cultura greca, tra i quali:
La poesia Giambica, realistica e discorsiva
− I canti corali, con il loro linguaggio solenne e allusivo
− La lirica monodica, con timbro patètico (che provoca commozione/pietà)
− L’epos, che si ripresentava quando un personaggio, in funzione di messaggero, doveva narrare un
− avvenimento svoltosi fuori dalla scena.
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ROBLEMA DELL ORIGINE
Una sorta di atto di nascita del genere è rappresentata dalla notizia secondo cui Tespi, tra 536-532 a.C., avrebbe
per la prima volta presentato per la prima volta ad Atene, durante la 61esima Olimpiade, preceduta però da un
periodo pi o meno lungo di sperimentazione; Tespi già da molti anni, infatti, presentava la sua invenzione in recite
occasionali, che riscuotevano grande successo di pubblico.
Prima tesi: Aristotele nella Poetica afferma che la tragedia in origine era “improvvisata” da “coloro che
▪ danno inizio al Ditirambo”: sarebbe nata, quindi, nell’ambito del culto di Dioniso, dio del vino,
dell’ebbrezza e della danza sfrenata. Nei primi tempi era caratterizzata da un dialogo improvvisato tra
il solista, che apriva con una Monodia (canto a solo) il canto ditirambico, ed il gruppo corale, che gli
rispondeva all’unisono (FASE SATIRICA)
Dato il prevalere del tetrametro trocaico (al posto del trimetro giambico, usato successivamente),
sarebbe stata interamente dominata dal ritmo di danza, si parla, pertanto, di dramma satiresco: i satiri,
figure mitiche del corteggio Dionisiaco, erano rappresentati come uomini con tratti somatici caprini.
Seconda tesi: Si fa risalire il momento di nascita della tragedia ai riti stagionali di morte e resurrezione
▪ dello “spirito dell’anno”; c’è chi ha pensato al culto dei morti, tenendo conto delle testimonianze sui
“cori tragici” dedicati alle sventure di Adrasto e celebrati sulla sua tomba a Sicione e della frequenza
delle scene di lamentazione e di compianto funebre.
Terza tesi: l’invenzione del nuovo genere poetico è opera di singole personalità quali Tespi ed Eschilo.
▪
Aristotele nella Poesia conclude la trattazione dell’argomento affermando che “sono ben note le trasformazioni
della tragedia e per merito di chi furono poste in essere” e sottintendendo che il suo discorso sulle origini della
tragedia è una sintesi storica basata su un ampio materiale documentario: si tende, per questo motivo, a
prenderlo come una testimonianza autentica. Le sue parole, inoltre, sono un chiaro invito a non farne il problema
centrale della tragedia.
Gli studiosi hanno creduto che si potesse cogliere la sostanza del fenomeno ricostruendone la genesi, errore
metodologico che ha ovviamente prodotto un errore di interpretazione: è sembrato che l’essenza del tragico
non fosse spiegabile se non nel quadro della religiosità dionisiaca.
Ad Atene gli agoni tra i poeti tragici si svolgevano durante le Grandi Dionisie (fine marzo-inizio aprile) e le Lenèe
(fine gennaio-inizio febbraio). In seguito, anche le altre festività dionisiache, dedicate soprattutto alla commedia,
accolsero nel programma la replica di tragedie già presentate in passato agli agoni più importanti.
Quando nel III sec a.C. gli attori tragici e comici hanno cominciato a riunirsi in corporazioni professionali
organizzate, scelsero Dioniso come divinità tutelare e si chiamarono “artisti di Dioniso”.
Il rapporto tra Dioniso e il teatro era avvertito anche dalla collettività e il punto di contatto era visto nel
travestimento e spersonalizzazione cui l’attore si sottoponeva, esattamente come il baccante, seguace di
Dioniso, che durante il rito si spogliava della propria identità per assumere quella del Dio, divenendo Indiato.
Nonostante ciò, le rappresentazioni drammatiche, sia tragiche che comiche, potevano svolgersi anche in
festività religiose non dionisiache. “non c’entra niente con Dioniso!” era un proverbio comune tra i greci, che
veniva ripetuto a proposito della tragedia e, per metafora, su qualsiasi cosa apparisse inopportuna→ si percepiva
una forte contraddizione tra il contenuto della tragedia, che aveva come oggetto vari miti, e la divinità di Dioniso
(Delle 32 tragedie superstiti solo le Baccanti di Euripide sono di argomento Dionisiaco).
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APPORTO DI AFFINITÀ E DI OPPOSIZIONE CON L POS
Per comprendere la dislocazione della tragedia nel sistema dei generi poetici è necessario un confronto con
l’epos. Nella Poetica Aristotele fa un’analisi fra struttura del poema epico e struttura della tragedia: solo poche
righe sono, invece, dedicate al rapporto con il ditirambo.
Il poeta tragico pesca a piacimento nel patrimonio mistico presentato da Omero (Iliade, Odissea e insieme dei
poeti ciclici); con la tecnica della sceneggiatura, ciò che nel poema epico era un singolo e breve episodio nella
tragedia diventa materia per un’opera intera.
Platone nel III libro della Repubblica propone una classificazione della poesia in base all’impostazione del
discorso nella narrazione del mito:
Narrazione semplice: racconto in terza persona (discorso di un narratore al suo pubblico)
− Narrazione per via di mimesi: presentazione drammatico-dialogica dei personaggi che, parlando tra
− loro, fanno sì che il pubblico sia quasi testimone dei fatti nel loro svolgersi→ TRAGEDIA
Narrazione mista: epica di Omero, in quanto comprende sia una narrazione in terza persona sia dialoghi
− tra personaggi con la variante, rispetto alla narrazione per mimesi, che qui il poeta interveniva per
precisare chi parlava e chi rispondeva
Platone
Riteneva che la “narrazione per via di mimesi” esercita un’influenza deleteria nella formazione dei
giovani e propone al suo posto una poesia che opti per la “narrazione semplice”.
Postula un’unità di base tra epos e tragedia, che sarà ribadita nel libro x della Repubblica con
l’asserzione “Omero è il più grande ed il primo dei tragediografi”.
Ravvisa il momento di rottura tra i due generi nella presenza/assenza del poeta in funzione di arbitro tra
i personaggi: riconosce nella scomparsa della voce fuori campo un elemento di drammatizzazione e di
maggiore tensione emotiva.
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ARATTERISTICHE DELLA RAGEDIA RISPETTO ALL EPOS
1) Il poeta tragico deve immaginare ex novo le concrete situazioni sceniche e le centinaia di battute da
attribuire ai personaggi (Questa forse è l’attesa dello spettatore: vedere e ascoltare come, da quella forma che sta
ferma e perfetta, il poeta riuscirà a ricavare una trama, a svolgere un’azione in canti e parole”).
2) Il mito viene reinterpretato, caricato di nuovi messaggi attraverso le battute dei personaggi.
3) Scomparso il tono super partes della voce narrante, il dissenso tra i personaggi assume un tono più
radicale e cupo (della tragedia): ogni personaggio sviscera fino infondo il proprio punto di vista,
rimanendo chiuso ed ostile a quello dell’altro.
4) Il punto focale è ciò che l’eroe patisce, non ciò che fa; interessa il momento del disastro e del fallimento,
della morte, della sconfitta e dell’umiliazione.
5) Il giudizio del pubblico non è guidato dalla voce del poeta, sebbene egli comunichi indirettamente il
suo messaggio attraverso la strategia/costruzione dei dialoghi e dei canti corali.
6) Le tre unità (azione, tempo, luogo) sono la naturale esplicazione della scelta del genere dr