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Mondo dell'economia: dapprima la fame e altri bisogni primari hanno fatto sorgere delle forme per il loro
soddisfacimento. Poi emerge un mondo autoregolato da leggi formali oggettive e tecniche. Gli esseri umani vengono così
ridotti a strumenti, a meri veicoli: l'operaio e l'imprenditore sono allo stesso modo schiavi del processo di produzione.
L'economia non si cura più della volontà dei soggetti. In questo modo la rotazione assiale ha avuto effetti distruttivi,
spietati e demoniaci.
Mondo etico: questa rotazione assiale dai contenuti interni al flusso vitale a forme spirituali ideali, stabili ed eterne è
assimilabile alla differenza che sussiste tra l'imperativo ipotetico (legato alla teleologia vitale) e l'imperativo categorico
(universale ed assoluto) kantiani. Esistono infatti per la vita continui slittamenti fra i due.
Come, sul piano fisiologico, la vita risulta sempre più vita, così sul piano dello spirito, essa produce qualcosa che è più
che vita, cioè l'oggettività valida di per sé. Questo accrescersi oltre di sé non è aggiunto dall'esterno bensì è immanente
alla vita stessa. La vita creatrice genera dal piano psicologico e fisico delle forme oggettive, che però sono parte del
medesimo processo. Infatti, successivamente riassorbe di nuovo questi significati ideali nel suo fluire, la forma oggettiva
retroagisce perché viene riconosciuta anch'essa come soggettiva, e la vita avrà già creato una forma superiore di
oggettività. E in ciò si gioca anche la tragedia della vita spirituale, soprattutto dal punto di vista umano. Infatti, il flusso
eterno della vita cozza spesso violentemente contro queste formazioni obiettive, che la vita stessa ha prodotto in sé.
Morte e immortalità
Esiste una differenza sostanziale tra il corpo inorganico ed il corpo vivente: nel corpo inorganico la forma che lo delimita
viene dall'esterno, esso cessa quando inizia un altro corpo. Il corpo vivente si dà la forma dall'interno, la sua forma e il
suo essere e il suo non essere più. Poi. La forma nel corpo organico dipende per la maggior parte dal fatto che essa muoia.
Tuttavia, anche per gli esseri viventi la morte viene generalmente considerata ancora come il filo delle Parche che viene
reciso. Questa è una concezione meccanicistica che farebbe derivare la morte dall'esterno, ma in realtà la morte risulta
congiunta a priori e intrinsecamente con la vita. Essa è sintonizzata con la morte. Occorre liberarsi sia dall'immagine delle
Parche che recidono il filo della vita, sia dalla concezione cristiana della morte, come stato estremo, in cui si giocano la
salvezza e la perdizione dell'anima. La vita che si fa più vita e più che vita, in realtà è sempre in connessione con la
morte. La morte è l'antitesi materiale della vita prodotta dalla vita in sé. La morte modella e agisce su ciascuno dei
contenuti della vita. Gli esseri umani nascono e muoiono in ogni movente della propria vita, come dimostrano le
alterazioni prodotte dalla malattia e della vecchiaia.
I nostri progetti, il nostro vivere, sono proporzionati ad una vita determinata dalla morte. Noi infatti siamo certi del fatto
che moriremo, ma non del momento in cui ciò avverrà, è questa incertezza che ci permette di vivere con gioia. La morte è
il fattore condizionante della forma della vita. La morte è insita nella vita, riguardo essa noi siamo certi e incerti allo
stesso tempo. In questa concezione la morte, dunque, viene percepita come al di fuori, ma è in realtà al di dentro e plasma
ogni momento della vita. Il Cristianesimo ha separato nettamente la morte dalla vita, e così facendo ha negato la morte
stessa. Da qui si innesta l'idea di immortalità, nata soprattutto per supportare il peso irriducibile della responsabilità
umana dinanzi a Dio.
La morte, dunque plasma a priori ogni passo della vita che ci avvicina ad essa. La vita, il tempo è approssimarsi alla morte
e al contempo fuga dalla morte. La dialettica hegeliana tra la tesi e l'antitesi e la superiore sintesi si applica perfettamente
alla vita e alla morte: la vita esige da sé la morte come suo opposto, senza cui non avrebbe senso. Dunque, la vita e la
morte si pongono su un medesimo gradino dell'essere, come tesi e antitesi. Oltre a esse si eleva un tertium, ossia dei valori
che sopravvivono alla morte e con cui la vita diviene propriamente sé stessa. La vita assurge alla sua altezza più pura
grazie ai contenuti a temporali, procede così oltre sé stessa, anzi guadagnando sé stessa soltanto così. La vita anzitutto
separa questi contenuti da sé per potersi elevare ad essi. E la morte non può annullare il significato intrinseco di questi
valori ideali.
Affinché la vita proceda oltre sé stessa, è necessario che sia che ci siano delle potenzialità irrealizzate che fanno sorgere il
profondo desiderio di superare il contingente: i contenuti della volontà, ad esempio, devono poter non essere realizzati del
tutto. Inoltre, la coscienza non assorbe mai tutti i possibili contenuti, lascia sempre un po’ di vita dietro di sé. Di tutte le
potenzialità si realizza nella vita effettiva soltanto una di esse. La necessità, la causalità del mondo, la storicità in cui gli
uomini sono immersi impedisce la totale realizzazione dei loro desideri. Da queste potenzialità che non raggiungono mai
l'atto sorge un presentimento di un'infinità intensiva. E in questo modo emerge l'idea dell'immortalità.
Precisazioni sul concetto di destino: il destino è una direzione di senso, una tendenza intrinseca della propria esistenza.
E tuttavia è proprio la direttrice della corrente intrinseca della vita a decidere cosa debba essere destino e cosa no. La vita
stessa adopera una selezione tra tutti i contenuti, tra tutti gli eventi, e inserisce soltanto alcuni di essi del concetto di
destino. Il destino, dunque, determina la vita dell'individuo, ma solo perché in precedenza la vita stessa ha scelto quegli
eventi cui assegnare un senso particolare per noi. Il destino diviene così uno degli a priori della vita, al pari di quello che
investe la vita a partire dall'idea o dal dover essere.
L'importanza dell'individualità dell'anima per l'immortalità: l'animale non può propriamente morire, esso assurge
all'immortalità come genere, come specie. Soltanto l'individuo nella sua unicità può incontrare la morte. Essa, dunque, si
configura come il sigillo dell'esistenza superiore. A tal proposito, Goethe riteneva che soltanto gli uomini davvero unici
potessero morire. L'individualità si configura come una sintesi peritura, mortale di una materia più o meno indistruttibile
sul piano temporale, e di una forma che è immortale sul piano atemporale, ideale. La materia indistinta viene plasmata da
tale forma e soltanto con ciò si sviluppa l'individualità.
Sorge a questo punto un paradosso: l'immortalità dell'anima appare come un'estensione su un piano atemporale, astorico
di qualcosa di massimamente storico. Quest'idea tipica della religiosità, tuttavia, possiede un riscontro sul piano effettivo
della vita: infatti, il mondo oggettivo dello spirito, quelli che chiamiamo propriamente “opere immortali” dell'umanità, ad
esempio le idee, le scoperte e la cultura tutta sono sorte dalla storicità; e si configurano adesso come un plusvalore
irrevocabile che arricchisce il mondo. La genesi del contenuto dell'idea, atemporale e indipendente è nel flusso della vita.
Da qui sorge l'idea comune che le grandi idee e le opere siano latenti e vengono semplicemente portate alla luce dai
grandi uomini.
Metempsicosi: essa è l'antica dottrina greca che prevede la trasmigrazione di un'anima immortale in corpi anche molto
diversi (e.g. di un uomo, di una tigre, etc). Già, Aristotele, razionalista, critica l'idea di un'anima intesa come sostanza che
possa migrare invariata in corpi massimamente diversi. Tuttavia, tale aporia può essere risolta parzialmente sostituendo la
rappresentazione sostanziale di quest'anima con una rappresentazione legale funzionale: esiste una legge essenziale,
unitaria che si pone al di sopra di tutti i contenuti dell'essere. Essa pertiene ad un'unica individualità, ad un'unica
personalità, ma è al contempo atemporale. Non un'anima sostanza, dunque, bensì una forma ideale sorta dalle connessioni
vitali, deputata al funzionamento dell'essere dell'individuo trasmigrerebbe. Sorgerebbe allora l'idea di individuo
immortale, la cui continuità è determinata dall'identica legge essenziale e la cui vita sarebbe scandita dalla generazione,
dalla morte di singoli individui diversi. Questa interpretazione della metempsicosi incontra la realtà effettuale della nostra
quotidianità. Questo individuo immortale saremmo infatti noi: nella nostra vita quotidiana, percepiamo un'infinita
variabilità di eventi; eppure, siamo sempre noi stessi, cambiamo continuamente ma perduriamo sempre nel nostro essere.
Esiste però un tertium tra questi due poli che sta al di là di essi e che si può soltanto vivere e non designare tramite
concetti. Dunque, in questo modo la vita e la morte dei diversi corpi attraverso cui l'anima passa, sono in realtà i diversi
stati che l'individuo sperimenta in sé. E con ciò si sarà anche finalmente chiarito il relativismo di vita e morte, sia rispetto
al flusso continuo della vita, al suo espandersi in più vita, sia dal punto di vista dell’ordine ideale-atemporale che
sopravvive alla morte.
La legge individuale
Quando qualifichiamo un oggetto come reale, gli conferiamo consistenza e assolutezza sui generis, ma solo in quanto è il
modo con cui esperiamo la realtà dell'oggetto, come la prima forma d’essere in ordine cronologico, ma ciò non implica
una maggiore dignità rispetto alle altre rappresentazioni (ad esempio quella artistica, desiderativa, religiosa, etc). La realtà
è consustanziale alla vita effettiva del soggetto, alla sua esperienza vissuta. Tuttavia, parallelo all'ordine della realtà sta il
dover essere, che designa non soltanto l'ambito dell'etica, ma anche delle speranze, i desideri: la vita nel suo fluire
continuo e incessante è al contempo vita effettiva e vita dovuta, nel suo fluire essa produce contenuti in questa, e in
quella forma.
Il dover essere non sta su un piano ulteriore, bensì è parte dell'unità della vita. È il modo primario con cui la coscienza
individuale esperisce la vita. Inoltre, il dovere è imprev