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Elementi essenziali dell'elocuzione e del pensiero
Degli altri elementi essenziali si è parlato ma resta da dire dell'elocuzione e del pensiero. Le questioni concernenti il pensiero debbono trovare il loro posto nei libri della Retorica, giacché si tratta di una materia che è piuttosto propria di quella ricerca. Rientra poi nella trattazione del pensiero tutto quanto deve essere procurato dal discorso. Ne sono parti il dimostrare, il confutare, il procurare emozioni (come ad esempio la pietà o il terrore o l'ira e così via) ed ancora l'amplificazione e la diminuzione.
È chiaro che anche nelle azioni bisogna fare così partendo dagli stessi principi quando si debbano procurare effetti di pietà o di terrore o di grandiosità o di verosimiglianza, sennonché la cosa tanto differisce che in questo caso i sentimenti si debbono manifestare senza bisogno dell'insegnamento, mentre nel discorso sono procurati da chi discorre e si generano ad opera del discorso. Giacché quale sarebbe la funzione
di chi discorre se la cosa già si manifestasse come doveva e non permezzo del discorso? Delle questioni che riguardano l'elocuzione una branca della ricerca è costituita dalle figure dell'elocuzione, [10] che è cosa che deve sapere l'attore e chi di quest'arte possiede una conoscenza professionale, come ad esempio che cosa sia il comando e che cosa la preghiera, e così anche per la narrazione, la minaccia, la domanda, la risposta e quant'altro rientra in questo genere di cose. Giacché a motivo della conoscenza o dell'ignoranza di queste cose non si porta nei confronti dell'arte poetica nessuna critica degna di seria considerazione. [15] E, difatti, chi potrebbe ammettere che Omero sia incorso nell'errore rimproveratogli da Protagora e cioè che, pensando di pregare, invece comanda dicendo "l'ira cantami, o dea"? Giacché – osserva Protagora – il dire di fare o non fare una cosa è un comando. E perciòPer la lunghezza e la brevità, ed ancora per l'accento che può essere acuto o grave o intermedio; argomenti tutti sui quali particolareggiatamente conviene che si indagini nei trattati di metrica.
La sillaba è una voce non significativa composta da una muta e da una lettera avente voce, giacché GR è sillaba sia senza A sia assieme ad A come in GRA. Ma l'indagare anche sulle differenze delle sillabe è proprio della metrica.
Il connettivo è una voce non significativa, la quale né impedisce né fa sì che da parecchie voci si componga naturalmente un'unica voce significativa e che si possa trovare sia alle estremità sia nel mezzo, ma che non conviene porre al principio di un discorso indipendente, come mevn, h[toi, dev. Oppure è una voce non significativa che da più di una sola voce, ma significativa, è capace per sua natura di produrre un'unica voce significativa.
L'articolazione è quella voce non significativa che del
discorso indica o il principio o la fine o una divisione, come ajmfiv, periv e altri simili.[10]
Il nome è una voce composta significativa senza tempo, di cui nessuna parte è di per sé significativa; nei nomi doppi infatti la parte non viene impiegata come di per sé significativa, come in Deodato "dato" non significa niente.
Il verbo è una voce composta significativa con tempo, [15] di cui nessuna parte significa di per sé, come anche per i nomi; giacché "uomo" o "bianco" non significano il quando, mentre "cammina", "ha camminato" significano, il primo il tempo presente e il secondo quello passato.
La flessione è propria del nome e del verbo e significa a volte "di questo", "a questo" [20] e così via, a volte il singolare o il plurale come ad esempio "uomini", "uomo", ed altre volte ancora l'inflessione della voce, come ad esempio la domanda e il comando, giacché
"camminava?" o "cammina" sono flessioni del verbo secondo queste specie.
Il discorso è una voce composta significativa, di cui alcune parti di per sé considerate significano qualche cosa (giacché non ogni discorso è costituito di verbi e nomi, ma è possibile che ci sia discorso senza verbi, come ad esempio la definizione di uomo; avrà però sempre almeno una parte che significa qualcosa come ad esempio "Cleone" in "Cleone cammina"). Il discorso è unitario in due modi diversi, perché lo è o in quanto significa un' unica cosa o per un legame di più cose, come ad esempio l'Iliade è unitaria per legame, mentre la definizione di uomo per il significare una unica cosa.
21. Analisi del linguaggio poetico
I nomi sono di due specie, semplici, e tali chiamo i nomi che non sono costituiti da parti significative, come ad esempio "terra", e doppi; di quest'ultima specie alcuni sono formati da una parte
significativa e da una no (benché, significativa e no, non inquanto sono nel nome), mentre altri sono formati da parti significative. Ci possono poi essere anche nomi composti da tre, quattro o più parti, ad esempio [35] molti dei nomi dei Massalioti, come Ermocaicoxanto ** [1457 b].
Ogni nome poi è o una parola comune o peregrina, o una metafora o un ornamento o una parola coniata dall’autore, o una parola allungata o abbreviata o modificata.
Chiamo comune il nome di cui si servono tutti, peregrino invece quello di cui si servono altri popoli; di modo che è manifesto che la stessa parola [5] possa essere assieme peregrina e comune, ma non rispetto alle stesse persone, giacché si vgunon per i Ciprioti è parola comune, per noi invece peregrina.
La metafora è il trasferimento ad una cosa di un nome proprio di un’altra o dal genere alla specie o dalla specie al genere o dalla specie alla specie o per analogia. Mispiego: esempio di metafora dal genere [10] alla specie,
"ecco che la mia nave si è fermata", giacché "ormeggiarsi" è un certo "fermarsi"; dalla specie al genere, "edinvero Odisseo ha compiuto mille e mille gloriose imprese", giacché "mille" è "molto" ed Omero se ne vale invece di dire "molte"; da specie a specie, "con il bronzo attingendo la vita" e "con l'acuminato bronzo tagliando", [15] giacché là il poeta chiama "attingere" il "recidere", mentre nel secondo caso chiama "recidere" l'"attingere", perché ambedue i verbi rientrano nel toglier via qualcosa. Chiamo poi relazione analogica quella in cui il secondo termine sta al primo nella stessa relazione in cui il quarto sta al terzo, giacché allora si potrà dire il quarto termine invece del secondo o il secondo invece del quarto. E a volte i poeti pongono in luogo di quel che si vuol dire [20] ciò con cui si trova in relazione. Vogliodire ad esempio che come la coppa sta a Dioniso così lo scudo sta a Ares, e si potrà dunque chiamare la coppa scudo di Dioniso e lo scudo coppa di Ares. Oppure quel che è l'età rispetto alla vita lo è la sera rispetto al giorno e dunque si potrà chiamare la sera età del giorno o anche, come fa Empedocle, chiamare l'età sera della vita o tramonto della vita. Alcuni dei termini che si trovano in proporzione non hanno un nome già esistente, ma cionondimeno si farà egualmente la metafora, per esempio lasciar cadere il grano si dice seminare, mentre non ha nome il lasciar cadere la vampa da parte del sole; ma poiché la relazione rispetto al sole è la stessa di quella del seminare rispetto al grano, si potrà dire "seminando la vampa nata dal dio". Ma è possibile valersi di questo modo di metafora anche in altro modo: chiamando una cosa con il nome di un'altra, togliere a quest'ultima qualcosa di quello che le è proprio, come adesempio se si chiamasse lo scudo "coppa" non già "di Ares" ma "senza vino" *** . Coniato dall'autore è poi quel nome che, mai adoperato da alcuno, pone lo stesso poeta, giacché sembra proprio che ci siano dei casi simili [35] come "ernuga" per le corna e "ajrhth'ra" per il sacerdote. Una parola può anche essere allungata [1458 a] o abbreviata a seconda che ci si serva di una vocale più lunga di quella ordinaria o di una sillaba aggiunta, o che invece le si tolga qualcosa; esempio di nome allungato è "povlho" al posto di "povlew" e "Phlhi>avdew" anziché "Phleivdou"; esempio di parola abbreviata [5] "kri'" e "dw'" e "mivagivnetai ajmfotevrwn o[y". Alterata è la parola quando del nome di una cosa una parte rimane ed un'altra è coniata, come ad esempio "dexiterovn" per "dexitero;n kata;mazovn". Dei nomi poi in sé considerati, alcuni sono maschili, altri femminili ed altri intermedi; maschili quelliChe terminano con le lettere N, R e S e [10] con le lettere composte da quest'ultima (queste son due, Y e X); femminili i nomi che escono in quelle tra le vocali che sono sempre lunghe, come in H e W, e tra le vocali che si possono allungare i nomi che terminano in A, così che accade che i nomi maschili sono per numero eguali a quelli femminili giacché Y e X sono lettere composte. Nessun nome termina con una muta [15] né con una vocale breve. Terminano in I solo tre parole mevli, kovmmi e pevperi, cinque invece in U ** ; i nomi intermedi terminano in queste due vocali e in N e S.
22. Le regole del linguaggio poetico
La virtù propria dell'elocuzione è di essere assieme chiara e non pedestre. Chiarissima è quella costituita da parole comuni, ma [20] è anche pedestre; ne è esempio la poesia di Cleofonte e quella di Stenelo. Elevata invece e diversificata rispetto all'uso comune è l'elocuzione che si serve di termini esotici, e chiamo esotici la parola peregrina,
la metafora, l'allungamento e tutto quanto è fuori del comune. Ma se si facessero tal