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TECNICHE DIAGNOSTICHE MAGGIORMENTE UTILIZZATE:

- Tecniche tradizionali: (in particolare la sola osservazione al microscopio) sono poco efficaci, perché è

necessario osservare tutte le fasi di sviluppo del patogeno per la sua corretta identificazione. Richiedono

quindi tempi di attesa elevati;

- Tecniche sierologiche, utili per virus e batteri, ma poco utilizzati o quasi inutili per i funghi. In ambito

forestale, virus e batteri contribuiscono in minima parte a causare danni alle piante, quindi è una tecnica non

molto utilizzata;

- Tecniche biochimiche, che restituiscono delle informazioni legate all’identità del microrganismo, basate

sull’impronta metabolica (cosa utilizzano i m.o. per svilupparsi). Tecnica molto costosa e molto limitata per la

quantità di microrganismi che riesce ad identificare (poco più di 3000 a fronte delle 150.000 specie conosciute

di funghi);

- Tecniche biomolecolari: di gran lunga le più diffuse, permettono di identificare correttamente qualsiasi specie

o stabilire se si tratta di una specie nuova. Il costo è elevato e servono competenze elevate per chi esegue le

analisi. 15

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Tecnica Tradizionale:

Attraverso l’osservazione del patogeno e delle sue strutture è possibile risalire per

esclusione (attraverso delle chiavi di lettura) alla specie osservata. I limiti sono

rappresentati principalmente dal tempo: spesso la malattia ha sviluppi rapidi e analisi di

laboratorio richiedono spesso tempi prolungati. È comunque importante possedere delle

conoscenze identificative per riuscire a descrivere una specie nel caso in cui se ne

dovesse scoprire una nuova.

Tecnica Sierologica:

Si basa su una reazione anticorpo-antigene ed è utilizzata per individuare

virus o batteri. Si deve però avere già un’ipotesi di diagnosi, perché si deve

sapere quale anticorpo utilizzare. Se l’ipotesi di diagnosi è corretta, l’antigene

si lega all’anticorpo e non viene lavato via. Aggiungendo un coniugato (stesso

anticorpo ma che possiede un enzima, spesso la fosfatasi alcalina) e del

substrato, il pozzetto si colorerà: ipotesi di diagnosi corretta. L’intensità del

colore indica la quantità di patogeno presente. Non è un metodo ottimale

contro i funghi, e per questo ha un utilizzo limitato, serve inoltre avere

un’ipotesi di diagnosi per avere un’idea dell’agente di malattia. Ha però costi e

tempi di diagnosi limitati.

Tecnica Biochimica

Utilizzata sia per funghi che per batteri. Utilizza piastre e pozzetti, ciascuna dei quali contiene fonti diverse di

carbonio e azoto. Il livello di utilizzo di questi elementi è un’impronta metabolica, che è specifica per ciascun organismo

(impronta metabolica). I limiti di questa tecnica sono rappresentati dai costi (molto elevati) e dalla memoria del

database per il riconoscimento della specie (solo 3.000 specie, circa il 2% delle specie totali conosciute).

Tecnica Molecolare

Si basa sull’analisi di determinate sequenze di DNA del patogeno, che viene fatto moltiplicare in maniera

esponenziale (reazione a catena della polimerasi, PCR). Alcune regioni sono specifiche per ciascun organismo e l’ordine

con cui si susseguono le basi azotate determinano il riconoscimento preciso di ciascuna specie. I database, la banca

dati, è molto ricca di informazioni e sequenze per il riconoscimento. Con questa tecnica si possono analizzare un numero

molto elevato di campioni in breve tempo ed è molto precisa (elevata sensibilità), ma ha costi elevati e maggiori

difficoltà (necessarie competenze biotecnologiche).

Per l’estrazione del DNA serve una colonia pura di patogeno, attraverso dei kit rapidi in poche ore è possibile

ottenere del DNA in forma libera, sia molecolare che mitocondriale (totale). Si aggiungono dei primers, che si

attaccano a monte o a valle della sequenza necessaria per l’identificazione del patogeno (tratto informativo).

Queste sequenze identificative vanno moltiplicate attraverso la tecnica della PCR, composta da 3 fasi:

1. Denaturazione del DNA: apertura della doppia elica di DNA (94°C);

2. Attacco alle regioni di aggancio dei primers di moltiplicazione (72°C);

3. Costruzione del filamento complementare (40°C).

La DNA polimerasi moltiplicherà in maniera esponenziale solo il frammento di DNA compreso tra i due primers

inseriti. Ogni fase precedentemente descritta avviene a temperature differenti.

Per assicurarsi di aver isolato correttamente il tratto identificativo di interesse, si inserisce il contenuto del kit

all’interno di una cella elettroforetica, che separerà le molecole di DNA o RNA: il materiale genetico migrerà

attraverso un gel (di agarosio o poliacrilammide) e si disporrà in base alle dimensioni e secondo l’attrazione

elettrostatica verso il polo positivo. Frammenti di DNA più piccoli migrano più velocemente.

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Le bande, lette attraverso l’ultravioletto da un macchinario,

serviranno ad identificare il microrganismo grazie al supporto di una

banca dati. Ogni banda corrisponde ad un microrganismo, e la presenza di

una doppia banda costituisce un errore (DNA appartenente a due specie

diverse, materiale genetico non puro).

Di particolare interesse per l’identificazione molecolare, sono le

regioni ITS1 ed ITS2 (sono sequenze spaziatrici), comprese tra le regioni

18S, 28S e 5.8S. Queste ultime sono perfettamente conservate in tutte le specie e non sono mutate nel tempo, mentre

le due bande ITS sono mutate e quindi caratteristiche di ciascuna specie, come un codice a barre. Le due fasce 18S e

28S, essendo uguali per tutte le specie, permettono l’utilizzo di primers universali. In genere, la regione ITS1 è meglio

conservata rispetto alla regione ITS2, che invece varia più facilmente.

È sufficiente una differenza anche di due o tre nucleotidi su una regione di 500 per determinare la differenza tra

due specie e il software restituisce anche la percentuale di probabilità.

Se si pensa di aver riconosciuto una nuova specie, è necessario fare una ricostruzione filogenetica. Un valore

superiore a 70 indica l’identificazione di una nuova specie.

Postulati di Koch

1. L’agente patogeno deve essere costantemente associato alla malattia;

2. Deve essere isolato e coltivato in purezza;

3. Inoculando nell’ospite sano deve riprodurre la malattia;

4. Lo stesso microrganismo deve essere reisolato dall’ospite infettato artificialmente (con una percentuale di

isolamento maggiore dell’80-90%).

Sbagliare l’identificazione del patogeno, comporta lo sviluppo di un errato piano di difesa e/o contrasto della

malattia.

PPT.9 Interazioni pianta-patogeno

Una pianta può essere attaccata da batteri aerei, virus e viroidi, funghi e oomiceti aerei e piante parassite. Le

piante hanno sviluppato dei metodi per difendersi.

Il processo di invasione di una pianta, inizia sempre con

la presa di contatto del parassita, che nella maggior parte

dei casi avviene tramite una spora o un conidio, che quando

si appoggia su una superficie, la deve riconoscere per

sapere se si trova su una pianta sensibile. Se avviene il

riconoscimento, emettono un tubetto germinativo e si

agganciano all’ospite attraverso un appressorio e ne

penetrano i tessuti grazie ad uno stiletto.

Gli obiettivi di un patogeno sono: nutrirsi a carico

dell’ospite (patogeni biotrofi o patogeni necrotrofi) e

riprodursi. Alcuni patogeni causano la morte delle cellule

(necrosi), mentre altri al contrario ne stimolano la produzione.

Gli organismi biotrofi non causano mai la morte immediata della pianta ma al contrario ne stimolano il metabolismo,

per sottrarre i nutrienti. Distruggono la parete vegetale (non la membrana) e il patogeno si sviluppa all’interno della

cellula attraverso una struttura specializzata chiamata austorio. La membrana cellulare è a diretto contatto con la

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parete del fungo. Attacco caratteristico degli agenti di mal bianco, ma anche agenti scopazzi e di ruggini che causano

tumori. Questi ultimi due in particolare sono fitoregolatori (alterano gli ormoni vegetali).

Gli organismi necrotrofi portano alla morte le cellule, di cui poi si nutrono, e causano quindi la comparsa di necrosi,

che avviene in maniera contemporanea alla colonizzazione. Il patogeno produce sostanze fitotossiche (che possono

essere selettive o meno), che sono quelle che portano alla morte la cellula. Si tratta in genere di metaboliti secondari a

basso peso molecolare. Pochi patogeni sono in grado di produrre metaboliti ospite-specifici. Questi organismi possono

anche produrre enzimi (cutinasi, pectinasi, cellulasi o ligninolitici).

Le strategie di difesa delle piante sono costituite da:

- Barriere morfo-strutturali: sempre presenti, cercano di evitare la presa di contatto del patogeno;

- Meccanismi biochimici: attivate solo quando la pianta riconosce il patogeno.

Le difese possono quindi essere pre-infezionali (difese passive, costitutive) o difese post-infezionali (difese attive,

inducibili).

Difese pre-infezionali morfo-funzionali

- Strato ceroso: barriere idrorepellenti che sfavoriscono l’ancoraggio del patogeno;

- Cuticole e tricomi idrorepellenti:

- Microscalanature e rilievi cuticolari: le piante simulano siti di attacco che però non corrispondono ad aperture

naturali (come ferite) per ingannare il patogeno;

- Forma delli stomi;

- Spessore della cuticola;

- Forma delle lenticelle;

- Presenza di sughero (ritidoma).

Difese pre-infezionali biochimiche

- Assenza di composti attratti;

- Assenza di promotori di aggressione;

- Concentrazione elevate o minimi di zuccheri;

- Condizioni di pH non ottimali per il patogeno;

- Presenza di composti in grado di neutralizzare enzimi e tossine;

- Presenza di composti ad azione antimicrobica (fitoanticipine): sono sostanze che la pianta produce a

prescindere anche senza la presenza del patogeno.

Difese post-infezionali morfo-strutturali

In questo caso è essenziale la reattività della pianta alla produzione di queste difese. Se la pianta è abbastanza

reattiva, riesce da sola ad allontanare il patogeno prima che si sviluppi troppo in profondità.

- Papille di callosio e lignificazione della parete cellulare;

- Produzione di tessuto suberoso a formare una barriera protettiva;

- Gomme, tille e resina: le tille in particolare servono a bloccare gli agenti di tracheomicosi, che bloccano i vasi

per impedire la diffusione del patogeno. Pericolosa per la pianta se la malattia è già diffusa perché può bloccare

tutti i suoi vasi e “suicidarsi”. Le gomme e la resina hanno proprietà antimicrobiche;

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
47 pagine
SSD Scienze agrarie e veterinarie AGR/12 Patologia vegetale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher anna3andrea di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Elementi di patologia forestale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Linaldeddu Benedetto Teodoro.