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CAPITOLO 5. IL DIRITTO DELLA FAMIGLIA

1. La famiglia in senso ampio. Cenni introduttivi

In senso ampio, la famiglia è composta da parenti e affini. “La parentela è il vincolo tra le persone che

discendono da uno stesso stipite” (art. 74 c.c.). Sono parenti in linea retta le persone di cui l’una discende

dall’altra (il nipote e la nonna); in linea collaterale quelle che, pur avendo uno stipite comune, non discendono

l’una dall’altra (il fratello e la sorella). Nella linea retta si contano altrettanti gradi quante sono le generazioni,

escluso lo stipite (il figlio e il padre sono parenti in primo grado); nella linea collaterale i gradi si contano dalle

generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente,

sempre restando escluso lo stipite (i fratelli sono parenti in secondo grado). In termini generali, “la legge non

riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado” (art. 77 c.c.). L’affinità, invece, è il vincolo tra un coniuge

e i parenti dell’altro coniuge; il legame di affinità non cessa per la morte del coniuge da cui deriva.

Gran parte delle norme giuridiche attribuiscono rilevanza solo alla famiglia intesa in senso stretto, cioè al

legame fondato sul matrimonio o su rapporto di filiazione. Una certa rilevanza assumono, in alcuni contesti, i

rapporti tra ascendenti (genitori, nonni, bisnonni, ecc.) (diversi dai genitori) e discendenti (figli, nipoti in linea

retta, ecc.) (ad esempio il rapporto tra nonna e nipote), nonché i rapporti tra fratelli e sorelle.

La nostra Costituzione parla espressamente solo dei rapporti di matrimonio e di filiazione. “La Repubblica

riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29 Cost.). Da questa

disposizione la Corte Costituzionale ha sempre fatto discendere che, sebbene il legislatore sia libero di

riconoscere rilevanza, a vari fini, alle coppie di fatto, la Costituzione non lo obbliga a equipararle, sul piano dei

diritti e dei doveri, alle coppie sposate. D’altra parte, la Costituzione riconosce che “è dovere e diritto dei

genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio” (art. 30 Cost.): il rapporto

tra genitori è figli è costituzionalmente tutelato, a prescindere dal fatto che i genitori siano sposati o meno.

Per quanto riguarda gli altri rapporti di parentela o di affinità, essi rilevano rispetto alla successione per causa

di morte. A livello di successione necessaria sono tutelati solo il coniuge, i figli, gli ascendenti (art. 536 c.c.):

solo questi soggetti sono tutelati anche contro la volontà testamentaria del defunto. A livello di successione

legittima, invece, possono assumere rilevanza anche rapporti di parentela di grado più elevato; però, in

presenza di matrimonio e di figli, qualunque altro parente non ha diritti successori; solo in assenza di figli, con

il coniuge concorrono gli ascendenti e i fratelli e le sorelle del defunto (avendo diritto a 1/3 dell’eredità,

mentre 2/3 spettano al coniuge, art. 582 c.c.). I parenti di grado ulteriore possono entrare in gioco, a livello

di successione legittima, solo in assenza di matrimonio, di ascendenti e di fratelli o di sorelle; in tal caso, la

successione si apre in favore dei parenti prossimi (art. 572 c.c.).

Un altro profilo rispetto al quale possono assumere rilevanza rapporti diversi rispetto al coniuge e alla

filiazione è quello degli alimenti. Il diritto ritiene che determinati soggetti siano tenuti a versare gli alimenti, i

quali possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio

mantenimento. Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni

economiche di chi deve somministrarli, ma non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita

dell’alimentando (art. 438 c.c.). Alcuni soggetti sono tenuti ad aiutare, ammesso che le loro condizioni

economiche lo permettano, chi non è in grado di mantenersi, o mediante un assegno alimentare oppure

accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto (art. 443 c.c.). Secondo l’articolo 433 c.c.,

all’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:

1. Il coniuge.

2. I figli verso i genitori. 23

3. I genitori verso i figli.

4. I generi e le nuore verso i suoceri.

5. I suoceri verso i generi e le nuore.

6. I fratelli e le sorelle.

Per lungo tempo la convivenza di fatto non ha avuto, nel nostro diritto, alcun riconoscimento generale. Più di

recente, il legislatore è intervenuto a disciplinare le convivenze di fatto (legge 20 maggio 2016, n. 76). Secondo

la legge, si intendono per conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di

coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. Gli effetti principali della convivenza di fatto:

• In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può stabilire il diritto del convivente di

ricevere dall’altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al

proprio mantenimento, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza; ai fini della

determinazione dell’ordine degli obbligati agli alimenti, l’ex convivente di fatto si colloca prima dei

fratelli e delle sorelle.

• In caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha

diritto di continuare ad abitare nella stessa per un periodo pari alla convivenza e comunque non oltre

i 5 anni.

La legge riconosce che i conviventi di fatto possano disciplinare i loro rapporti patrimoniali attraverso la

sottoscrizione di un contratto di convivenza, in cui ad esempio potranno disciplinare i loro obblighi di

mantenimento e stabilire un regie di comunione dei beni, in analogia a quanto accade con il matrimonio.

2. Il matrimonio e l’unione civile

Quando si parla di matrimonio ci si può riferire al matrimonio come atto (a un certo negozio giuridico, a cui

partecipano le due persone che intendono sposarsi) oppure ai suoi effetti, cioè al rapporto coniugale che

consegue al matrimonio come atto. Attengono al primo profilo le regole che disciplinano come si celebra il

matrimonio e a quali condizioni esso è valido; al secondo profilo le regole che disciplinano i rapporti, sia

patrimoniali che non patrimoniali, tra i coniugi.

Possiamo avere regole diverse, fissate dal diritto dello Stato e dalle religioni, in ordine alle condizioni e alle

modalità per contrarre matrimonio e ai diritti e obblighi che ne derivano. Chi vuole essere sposato sia agli

occhi dello Stato che della propria religione deve concludere, separatamente, entrambi i matrimoni, secondo

le loro rispettive regole. È possibile, però, che lo Stato riconosca effetti anche al matrimonio religioso. Così

accade, in Italia, per quanto riguarda il matrimonio cattolico, grazie ai Patti Lateranensi sottoscritti tra l’Italia

e la Santa Sede nel 1929. In sostanza, in virtù di questi Patti, il matrimonio religioso cattolico produce effetti

anche secondo il diritto dello Stato italiano (matrimonio concordatario). La legge (legge 25 marzo 1985, n.

121) stabilisce, infatti, che “sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto

canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella

casa comunale” (art. 8).

Per quanto riguarda il matrimonio come atto, in Italia esistono due forme di matrimonio: il matrimonio civile,

sottoposto, per quanto riguarda la sua celebrazione e i requisiti per la sua validità, al diritto dello Stato

italiano; e il matrimonio concordatario, che, invece, per la forma e i requisiti di validità è regolato dal diritto

canonico cattolico. Per quanto riguarda gli effetti, invece, essi coincidono, e sono quelli stabiliti dal diritto

dello Stato italiano (fermo restando che il matrimonio cattolico produce anche effetti entro l’ordinamento

della Chiesa, che però non interessano il diritto dello Stato italiano).

Per quanto riguarda le altre religioni, non esiste un matrimonio concordatario. È previsto che i ministri di altri

culti possano celebrare il matrimonio civile, ma solo in quanto delegati dell’ufficiale di stato civile (al posto

del Sindaco c’è un ministro di culto).

Il matrimonio civile è interamente regolato, per quanto riguarda la sua celebrazione e la sua validità, dal diritto

dello Stato italiano. Esso disciplina, ad esempio, le formalità preliminari al matrimonio (pubblicazioni: artt. 93

ss. c.c.). Stabilisce le condizioni necessarie per contrarre matrimonio: la maggiore età (ma il Tribunale, per

24

gravi motivi e accertata la maturità psico-fisica dell’interessato, può ammettere al matrimonio anche il

16enne: art. 84 c.c.); la non interdizione per infermità di mente (art. 85 c.c.); la libertà di stato (non può

contrarre matrimonio chi è vincolato da un altro matrimonio: art. 86 c.c.); l’assenza di stretti vincoli di

parentela o affinità tra i coniugi (art. 87 c.c.); il non essere responsabile per omicidio consumato o tentato del

coniuge dell’altro (art. 88 c.c.). La mancanza di una di queste condizioni, insieme ad alcune altre circostanze

(ad esempio, l’incapacità di intendere e di volere al momento della celebrazione del matrimonio: art. 120 c.c.;

la estorsione del consenso con minacce: art. 122 c.c.), sono causa di invalidità del matrimonio.

Con il matrimonio, il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Le decisioni

fondamentali relative alla vita familiare devono essere prese di comune accordo: “i coniugi concordano tra di

loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia” (art. 144 c.c.). Dal matrimonio deriva

l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della

famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla

propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.). Il

dovere di fedeltà non deve intendersi come esclusivamente limitato al campo sessuale; insieme a quello di

assistenza morale, infatti, esso confluisce in un più generale obbligo di lealtà e trasparenza; dunque, anche

un legame platonico può essere sufficiente a far ritenere violato l’obbligo di fedeltà. Infine, l’obbligo di

coabitazione non implica che i coniugi debbano necessariamente coabitare, ma che qualsiasi situazione

diversa dalla coabitazione richiede il consenso di entrambi. Le violazioni dei doveri coniugali entrano in gioco

in caso di separazione della coppia.

Il matrimonio dà luogo an

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
39 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/15 Diritto processuale civile

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sarapinna di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Elementi di diritto e procedura civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Caterina Raffaele.