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KARL MARX
Secondo Marx, la disuguaglianza non era una caratteristica del capitalismo;
anche se questo generava continuo cambiamento e crescita della produzione.
Il cambiamento continuo derivava dal fatto che i capitalisti potevano
sopravvivere solo introducendo tecnologie e prodotti sempre nuovi, trovando il
modo di ridurre i costi e reinvestendo i loro profitti in attività in espansione.
Acquistare e vendere beni sul mercato appariva come uno scambio alla pari,
ma questo non valeva nel mercato del lavoro. Secondo Marx, questo fu la
ragione del conflitto tra capitalisti e lavoratori.
I capitalisti prendevano in “affitto” il lavoratore e ne dirigevano le azioni
all’interno delle imprese, in cambio di un salario. Gli operai obbedivano per
paura di perdere il posto di lavoro.
Marx riteneva che il potere esercitato dai capitalisti sugli operai fosse il
problema centrale del capitalismo.
Riteneva che il capitalismo, organizzando la produzione e l’allocazione delle
risorse e dei beni attraverso mercati anonimi, non potesse creare comunità
integrate.
Se le imprese non possono misurare direttamente l’impegno, perché i
lavoratori lavorano duramente? Per:
Motivi etici;
Responsabilità;
Reciprocità (per esprimere gratitudine per le buone condizioni di lavoro
offerte)
Ottenere promozioni;
Paura di essere licenziati.
Spesso, i dipendenti lavorano molto perché sono incoraggiati dai manager
tramite incentivi.
Le leggi che riguardano la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro per
giusta causa cambiano da un Paese all’altro.
In alcuni paesi, il proprietario ha il diritto di licenziare il dipendente a sua
discrezione; mentre in altri invece il licenziamento è regolato da leggi precise e
risulta essere costoso.
Per un lavoratore è un problema perdere il lavoro? Se egli fosse pagato il
minimo possibile, la risposta sarebbe no. Ma, nella pratica, quasi tutti i
lavoratori tengono molto a restare occupati.
I lavoratori temono il licenziamento quando vengono pagati più della loro
opzione di riserva (quando ricevono una rendita da occupazione).
Rendita da occupazione: rendita economica che un lavoratore ottiene
quando il beneficio netto derivante dall’essere occupato è maggiore del
beneficio netto della sua opzione di riserva.
La rendita da occupazione coincide con il costo della perdita di lavoro. Questo
costo include:
• Il reddito perso durante la ricerca di un nuovo lavoro;
• I costi necessari per iniziare un nuovo lavoro (es. spostamenti etc.);
• La perdita di altri benefici del lavoro (assicurazione sanitaria, etc.);
• I costi sociali.
L’impresa paga un salario maggiore del prezzo di riserva del lavoratore, perché
così il lavoratore è stimolato a impegnarsi per evitare di perdere la rendita da
occupazione.
L’utilità di un individuo aumenta all’aumentare dei beni e servizi che questi può
acquistare con il suo salario e diminuisce all’aumentare delle ore di lavoro e
dell’intensità del suo impegno. Il lavoro procura cioè una disutilità,
proporzionale all’impegno dell’individuo.
Rendita da occupazione oraria = retribuzione oraria – disutilità del lavoro
La rendita da occupazione totale (costo di perdere il lavoro) dipenderà dal
periodo in cui, in caso di licenziamento, l’individuo rimarrà senza lavoro.
Rendita da occupazione totale = Rendita da occupazione oraria x ore di lavoro
perse
Chi perde il lavoro normalmente riceve un sussidio di disoccupazione, cioè
un’assistenza finanziaria dal governo.
Se l’individuo riceve un sussidio di disoccupazione, compenserà in parte la
perdita di lavoro. Il sussidio è il suo salario di riserva.
In questo caso, il calcolo della rendita da occupazione dovrà tenere conto
anche del salario di riserva.
Rendita da occupazione oraria = retribuzione oraria – sussidio di
disoccupazione - disutilità del lavoro
Salario di riserva: reddito che un lavoratore otterrebbe nel caso in cui non
avesse l’attuale occupazione. E’ pari al salario che otterrebbe nella migliore
occupazione alternativa o al sussidio di disoccupazione.
Considerando che:
l’impegno non è osservabile perfettamente, ma un maggiore impegno
diminuisce la probabilità di essere licenziati;
il lavoratore vuole minimizzare la probabilità di essere licenziato;
il costo del licenziamento dipende dalla rendita di occupazione;
ceteris paribus l’impegno dipende positivamente dal salario. Quindi, se il
salario aumenta, aumentano anche la rendita di occupazione, il costo di
perdere il lavoro e l’impegno.
Per aumentare il costo della perdita del lavoro (e indurre il lavoratore a
impegnarsi di più), l‘impresa dovrà aumentare il salario.
IL GIOCO DEL LAVORO
Due giocatori: il principale (il proprietario o il manager) ed una sola dipendente,
Maria.
Il gioco è sequenziale e ripetuto.
Il principale sceglie un salario e il dipendente sceglie il livello di impegno da
applicare al rispettivo salario offerto dal proprietario.
Il payoff per il principale è il profitto, mentre quello della dipendente è pari alla
retribuzione che le viene corrisposta.
Il principale riceve delle informazioni riguardo all’impegno dei suoi sottoposti.
Nel caso in cui un dipendente non si impegni, può essere licenziato.
Il lavoratore sceglie un livello di impegno, tenendo conto dei costi derivanti
dalla perdita del posto di lavoro nel caso in cui non si impegni abbastanza.
Se il datore offrisse a Maria un salario pari al salario di riserva, ella non
metterebbe alcun impegno nel
suo lavoro.
Un salario più alto del salario di
riserva, invece, aumenta la
rendita da occupazione di Maria,
che sceglierà un livello di
impegno più alto.
La risposta ottima di Maria (il suo
livello di impegno) aumenterà
all’aumentare del salario offerto
dal principale.
La curva di risposta ottima è la frontiera dell’insieme delle combinazioni
possibili di salario e impegno che il proprietario può ottenere dai suoi
dipendenti.
La pendenza della curva di risposta ottima rappresenta il SMT dei salari in
impegno.
La curva di risposta ottima è concava. Essa si appiattisce man mano che il
salario e l’impegno aumentano.
Dal punto di vista del principale, la curva di risposta ottima dimostra che
pagare salari più elevati induce un impegno maggiore, ma con rendimenti
marginali decrescenti. Infatti più alto sarà salario, minore sarà l’aumento di
impegno e l’output che il principale otterrà.
Dal grafico, possiamo capire che per ottenere più impegno i datori di lavoro
devono pagare salari più alti.
Nella realtà, per massimizzare i profitti, le imprese devono minimizzare i costi
di produzione. Questo non significa però pagare il salario più basso possibile.
Infatti, se l’impresa pagasse il salario di riserva, i lavoratori non metterebbero
nessun impegno nel lavoro che svolgono.
Per massimizzare i profitti, quindi, il principale deve trovare la giusta
combinazione che permetta di:
minimizzare il salario;
massimizzare l’impegno a parità di salario.
L’impresa, quindi, massimizza il rapporto:
e impegno profuso
=
w salario pagato
Attraverso questo rapporto possiamo trovare la retta di isocosto per
l’impegno, ovvero quella retta che unisce tutti i punti che comportano lo
stesso costo per ogni unità di impegno.
Per minimizzare i costi, il principale cerca di raggiungere la retta di isocosto più
ripida, che corrisponde al minor costo unitario dell’impegno.
Però, visto che non può imporre al dipendente il livello di impegno, quello che
può fare è fissare il salario sull’isocosto che è tangente alla curva di risposta
ottima di Maria.
L’impresa minimizza i costi e massimizza i profitti nel punto in cui il SMS
(pendenza della curva di isocosto) è uguale al SMT (pendenza della curva di
risposta ottima).
I salari fissati in questo modo sono chiamati salari di efficienza.
Salario di efficienza: salario fissato ad un livello superiore rispetto al salario
di riserva del lavoratore, allo scopo di indurlo a fornire un livello superiore di
impegno, con lo scopo di non perdere il lavoro.
Questo modello è chiamato modello dell’efetto disciplinante del salario.
Il modello implica che in caso di licenziamento ci debba essere un periodo nel
quale il lavoratore resta disoccupato. E’ necessario che vi sia sempre
disoccupazione involontaria.
Disoccupazione involontaria: la condizione di chi è senza lavoro, ma
preferirebbe essere occupato ad un salario e a condizioni di lavoro identiche a
quelle dei lavoratori occupati con le stesse caratteristiche.
In equilibrio, sia i salari sia la disoccupazione involontaria devono essere
abbastanza alti da garantire che la rendita da occupazione sia abbastanza alta
da spingere i lavoratori ad impegnarsi.
In caso contrario, se un lavoratore venisse licenziato e riuscisse a trovare
subito un altro lavoro per lo stesso salario, avrebbe una rendita da occupazione
pari a zero. Egli sarebbe quindi indifferente tra il conservare il posto di lavoro e
perderlo.
Il lavoratore, quindi, apporterà un livello di impegno pari a zero, ma il principale
non sarà disposto a pagare un dipendente che non mette impegno nel suo
lavoro.
I cambiamenti nelle condizioni economiche o le politiche pubbliche possono
modificare la funzione di risposta ottima, che si può spostare.
La posizione della funzione di risposta ottima dipende da:
L’utilità derivante dai beni
che possono essere
acquistati;
La disutilità dell’impegno
(costo del livello di
impegno);
Il salario di riserva;
La probabilità di perdere il
lavoro anche se ci si
impegna.
Se uno di questi fattori cambia la
funzione viene traslata. Cambia l’opzione di riserva e la distribuzione della
forza contrattuale.
Un aumento nella durata del periodo di disoccupazione ha due effetti:
1. Riduce il salario di riserva, aumentando la rendita da occupazione oraria;
2. Aumenta il numero di ore di lavoro perse e quindi la rendita da
occupazione totale.
Un aumento del tasso di disoccupazione trasla la curva a sinistra. Per un dato
salario, l’impegno fornito dal lavoratore aumenta. O viceversa, dato un certo
livello di impegno, il salario che l’impresa dovrà pagare diminuirà.
D’altra parte un aumento del sussidio di disoc