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ECONOMIA DELLE ASSOCIAZIONI.

Il terzo settore è un “pezzo” di dimensioni assai significative della struttura produttiva della gran parte dei

paesi ad industrializzazione avanzata. Nella storia del capitalismo, il ruolo più rilevante dal punto di vista

dimensionale nella produzione di beni e servizi è stato svolto, con proporzioni relative variabili nel tempo, da

imprese di proprietà privata orientate al profitto e da organizzazioni produttive di proprietà pubblica. Il terzo

settore è considerato come una delle più imbarazzanti eresie economiche: a volte i capitali vengono impiegati

in attività produttive a dispetto del fatto che non fruttino guadagni e dell’assenza di meccanismi coercitivi. Il

controllo che le autorità di governo esercitano sulle variabili micro e macroeconomiche di riconosciuta

rilevanza collettiva fa in gran parte leva sul potere di orientare il comportamento delle organizzazioni

produttive. Venendo da un ventennio in cui sono state disattese le aspettative di diffusione della

globalizzazione con la diffusione del benessere materiale, si è estesa un'instabilità di violenza inusitata.

L’espressione “Terzo settore” indica il variegato mondo delle organizzazioni produttive caratterizzate da:

natura giuridica privata (che distingue le OTS dalle organizzazioni a carattere non volontario) e il divieto di

distribuzione degli utili (distingue le OTS dalle organizzazioni produttive che attribuiscono il diritto a chi ha

conferito risorse di appropriarsi dei relativi guadagni).

L’economia delle associazioni viene anche definita “Economia civile”, “Economia del Non profit”, «Economia

del Terzo settore»… ecc. Una scienza a cavallo tra l’economia, la sociologia ed il diritto. Studia i meccanismi

di funzionamento delle organizzazioni che appartengono al Terzo settore (o settore Non profit) e le

interazioni tra queste e la collettività (in special modo fruisce dei servizi da queste erogate). Non analizza

(come nell’economia tradizionale) i comportamento di mercato (tra produttori e consumatori) ma il

funzionamento di categorie specifiche di organizzazioni (con assetto più o meno imprenditoriale) che

operano senza finalità di lucro. Quindi tutte quelle attività che vengono svolte per finalità di interesse sociale.

I meccanismi con cui queste organizzazioni operano sono del tutto (o quasi) differenti da quelli che guidano

il mondo dell’impresa capitalistica (o for profit). Infatti l’imprenditore for profit ha l’obiettivo di massimizzare

i propri utili producendo beni e servizi mentre le organizzazioni di Terzo settore hanno l’obiettivo di

massimizzare il benessere sociale. Questa materia va ad analizzare il comportamento di questi enti che non

hanno scopo di lucro, va ad analizzare la relazione che c’è tra questi enti che producono servizi per un fine

sociale diverso dallo scopo di lucro e la comunità. Il Terzo settore si colloca tra lo Stato ed il Mercato. Ecco

perché viene definito “Terzo”. Quindi, esistono vari modi per definire la stessa categoria di organizzazioni (o

quasi):

- Organizzazioni Non Profit (ONP)

- Organizzazioni di Terzo settore (OTS)

- Istituzioni Non Profit (definizione utilizzata dall’Istat)

- Organizzazioni non lucrative

- Enti di Terzo settore (ai sensi della nuova normativa in vigore)

A partire dagli anni 70 e ’80 vengono avanzati i primi tentativi (da parte degli studiosi) di trovare spiegazione

sull’esistenza del Terzo Settore nelle difficoltà che le forme “tradizionali” di organizzazione produttiva

incontrerebbero nel dare risposta ad alcuni bisogni aspecifici. Le persone iniziano ad organizzarsi

autonomamente in modo informale per soddisfare servizi non garantiti dallo stato. Iniziano a sorgere le prime

organizzazioni di volontari di Welfare, con il fine di colmare le lacune del servizio pubblico.

Nel 1977, Weisbrod suggeriva che la diffusione di organizzazioni produttive espressione della spontanea

associazione tra i cittadini e caratterizzate dall’assenza di finalità lucrative, avrebbe potuto essere

interpretata come una soluzione efficiente al problema della produzione di beni e servizi collettivi in presenza

di consumatori con preferenze eterogenee. Quindi il terzo settore (o Non profit) nasceva per rispondere ad

esigenze a cui lo Stato non riusciva a rispondere. Nei suoi scritti, lo studioso statunitense parla genericamente

di beni collettivi, intendendo con tale espressione i «... Beni che entrano nella funzione di utilità di gran

numero di persone simultaneamente ed in maniera non rivale»

Intorno agli anni 70/80 si iniziò a provare ad analizzare questo fenomeno, in questi anni le associazioni del

terzo settore cominciavano ad espandersi perché dopo il secondo dopoguerra, nella fase di ripresa

economica, lo stato era in grado di fornire dei servizi di welfare adeguati. Il sistema di erogazione di servizi

però iniziò a non riuscire più a soddisfare le esigenze; dunque diverse comunità territoriali hanno iniziato a

ribellarsi, si organizzarono in gruppi informali che volevano (Weisbrod, 1976) colmare le lacune dello stato,

legate al fatto che molti servizi pubblici non venivano garantiti a tutti ma solo a determinate categorie. Da

qui nasce la teoria del fallimento dello stato. Molti studiosi sono stati critici in merito, non trovando senso in

una organizzazione che agisce senza finalità lucrativa. Inoltre la maggior parte di essi avevano la caratteristica

comune di concentrare l’attenzione sul lato della domanda, ossia sui vantaggi che deriverebbero a queste

organizzazioni.

Alla nascita della teoria di Weisbrod che giustifica la natura di questi enti, si innesca la teoria del bene

pubblico, che è un bene prodotto dallo stato per il quale nessuna impresa avrebbe convenienza a produrre.

Il bene pubblico ha due caratteristiche: non escludibilità perché tale bene è escludibile nel momento in cui

può essere escluso al godimento di alcune persone. La diffusione delle organizzazioni del Terzo Settore

sarebbe un riflesso dell’eterogeneità delle domande che i cittadini rivolgono ai propri governi relativamente

alla fornitura di beni collettivi; quindi restando insoddisfatte le preferenze eccentriche.

Per iniziare l’attività, l’impresa ha bisogno di acquistare dalle famiglie il lavoro e il capitale necessario

all’attività di produzione. L’acquisto del lavoro avviene tramite la cessione del salario; l’acquisto del capitale

può invece avvenire: a titolo di prestito (chi cede l’uso del capitale acquisisce il diritto a ricevere l’interesse

mentre non gode di alcun potere di governo dell’attività dell’organizzazione) o a titolo di partecipazione alla

proprietà dell’impresa (chi cede l’uso del capitale ottiene un diritto di proprietà sull’impresa. Una volta che

l’impresa sia entrata in possesso del capitale, lo utilizzerà per acquistare ciò che gli occorre e anticipare il

pagamento dei salari; l’applicazione della forza lavoro al processo di trasformazione delle materie prime

permetterà la realizzazione di beni e servizi che verranno portati al mercato e ceduti ottenendo un prezzo

che darà vita a ricavi di vendita. L’impresa capitalistica è dunque, geneticamente, un’organizzazione

maximizing.

La teoria del bene pubblico: pubblico è quel bene che deve essere prodotto dallo stato, considerando che

nessuna impresa avrebbe intenzione ed interesse a produrlo. L’acquisto dei fattori produttivi viene finanziato

attraverso il prelievo coattivo delle risorse a carico delle famiglie, mentre il ricorso al debito può entrare in

gioco per coprire eventuali squilibri di cassa dovuti allo sfasamento temporale tra entrate e uscite. Differenza

fra le diverse tipologie di bene:

- Bene privato: tale bene è soggetto ai criteri di escludibilità, è disponibile quando si può escludere, e

al criterio di rivalità. Escludibilità e rivalità sostanzialmente si esplicano in godimento e disposizione

del bene. Nessun altro può avere il bene, è escludibile e rivale.

- Bene spurio: categoria di bene non rivale ma escludibile, esempio: spettacolo teatrale.

- Bene pubblico: né rivale né escludibile, non si può escludere nessuno dal suo godimento, i soggetti

ne possono godere in contemporanea, esempio: illuminazione pubblica.

Erogato dallo stato, pagato coattiva mente dallo stato con il pagamento del bene a sua volta.

La produzione del bene pubblico: un bene o servizio può essere “rivale” ed “escludibile”:

- Rivale: nel momento in cui ne godo io non può goderne un’altra persona (es. la mela);

- Escludibile: può essere escluso dal godimento (es. l’automobile).

In questa ipotesi (Escludibilità e Rivalità) abbiamo il cosiddetto bene o proprietà privata. Però il bene

potrebbe essere Escludibile ma non rivale. Tipico esempio è lo spettacolo al teatro. E’ escluso chi non paga il

biglietto ma poi non è rivale e quindi possono goderne tutti coloro che sono entrati nella sala del Teatro. (Si

tratta del bene spurio – ne pubblico e ne privato). Se il bene è ESCLUDIBILE E RIVALE invece si tratterà di bene

pubblico (es. l’istruzione, la difesa, la sanità pubblica … ecc.). In questa ultima ipotesi, le imprese private non

avranno convenienza a produrre tali categorie di beni. Perché non potrebbero guadagnarci in quanto non

potrebbero fissare un prezzo. Ecco perché li produrrà lo Stato. Il fatto che il bene sia escludibile rende

possibile condizionare il suo trasferimento all’effettuazione di una prestazione corrispettivo; però se il

consumo del bene da parte di un individuo esclude la possibilità di utilizzo da parte degli altri, coloro che

volessero consumarlo dovrebbero imporsi ai venditori offrendo prezzi più alti rispetto agli altri potenziali

acquirenti. Queste due condizioni permettono quindi la formazione del mercato. Quando vengono meno la

rivalità e l’escludibilità del consumo, il funzionamento del meccanismo di fornitura basato sulla cessione

contro corrispettivo diventa tecnicamente impossibile. Weisbrod sostiene che questo sistema funziona bene

solo se la collettività ha preferenze sostanzialmente simili. Quindi ovviamente una parte resterà

insoddisfatta, in questo caso, i consumatori insoddisfatti possono acquistare sul mercato dei beni privati

sostituti dei beni pubblici.

La produzione del bene pubblico è di competenza dello Stato. Nessuna impresa capitalistica avrà convenienza

a produrre tali categoria di beni per i quali non potrà essere richiesta alcuna controprestazione in termini

economici (proprio p

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
19 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/01 Economia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher VeronicaV23 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia delle associazioni e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale o del prof Amati Francesco.