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SEZIONE I – LA TIPOLOGIA
Le fonti statali: a) le leggi ordinarie e le fonti equiparate
L’esistenza della riserva relativa di legge sancita dall’art. 23 Cost. fa sì che le principali fonti di
produzione delle norme tributarie siano costituite dalle leggi ordinarie, nonché dagli atti
normativi promananti dal Governo cui l’ordinamento riconosce lo stesso rango e la stessa
efficacia delle leggi suddette. Con riguardo a tali ultimi atti vengono in considerazione, in primo
luogo, i decreti legge, in relazione ai quali art. 77 Cost. prevede che il Governo possa adottarli in
casi straordinari e d’urgenza, con l’obbligo di presentarli lo stesso giorno alle Camere per la
conversione. In questo contesto vale la pena rilevare che le situazioni di straordinarietà e di
urgenza assai di frequente ricorrono proprio in materia tributaria, vuoi per la necessità di
acquisire rapidamente nuove entrate, vuoi per il celere raggiungimento degli obiettivi di politica
economica connessi alla manovra fiscale: onde il frequente ricorso alla decretazione d’urgenza
quale forma di normazione in ambito tributario. Fermo ciò, non vi è dubbio che anche in ambito
tributario si siano registrati fenomeni di abuso dello strumento in questione in spregio al dettato
costituzionale, cui peraltro si è inteso porre un argine con l’art. 4 dello Statuto dei Diritti del
Contribuente (L. 212/2000): la norma in questione ha introdotto limiti alla facoltà per il Governo
di utilizzare lo strumento del decreto legge con specifico riferimento alla materia tributaria,
sancendo, in particolare, che al decreto legge non si possa far ricorso per istruire nuovi tributi né
per estendere l’applicazione dei tributi esistenti a nuove categorie di soggetti.
Passando ai decreti legislativi che in forza dell’art. 76 Cost. il Governo può emanare su delega
delle Camere, rammentiamo che detta delega deve contenere la determinazione di principi e
criteri direttivi e può essere rilasciata soltanto per tempi limitati e oggetti definiti. In questa sede
è opportuno rilevare che tale potestà normativa ha conosciuto negli ultimi tempi un notevole
sviluppo in ambito tributario, in specie a motivo dell’accentuato e diffuso tecnicismo che
impronta la materia; onde la necessità del possesso di particolari e specifiche cognizioni alle
quali il Governo può, meglio del Parlamento, sopperire con l’ausilio dei vari apparati
amministrativi, nonché con il ricorso a organismi tecnici e a esperti esterni.
Si deve infine ricordare che secondo alcuni orientamenti costituiscono fonti del diritto tributario
anche le sentenze della corte costituzionale sia perché, nella loro forma tipica delle sentenze di
mero accoglimento, sono idonee a eliminare gli effetti normativi di altre fonti di produzione; sia
perché la corte ha elaborato particolari tipi di sentenze e, in specie quelle interpretative e quelle
additive, che hanno un ancor più intenso valore innovativo dell’ordinamento.
Segue: b) i regolamenti
L’altra e residuale categoria di fonti di produzione delle norme tributarie(tenuto conto che la
vigilanza nella nostra materia della riserva di legge, sia pur relativa preclude qualsiasi ambito di
operatività alla fonte fatto consuetudinaria), è costituita dai regolamenti nei limiti consentiti dalla
riserva relativa di legge di cui all’art.23 cost.
Per quanto attiene ai regolamenti statali nella nostra materia assumono rilevanza: tanto i
regolamenti meramente esecutivi, i quali essendo preordinati a introdurre semplici disposizioni di
dettaglio indispensabili per la concreta operatività di norme di legge risultano compatibili
addirittura con la riserva di legge assoluta e non richiedono per la loro natura innovativa così
circoscritta neppure la previa indicazione di criteri o principi direttivi; quanto ed altresì i
regolamenti attuativi e integrativi, i regolamenti delegati, i regolamenti ministeriali o
interministeriali nonché quelli promananti dal presidente del consiglio dei ministri. Come es. di
regolamenti esecutivi si possono citare i vari decreti solitamente di provenienza del ministro
dell’economia e delle finanze con i quali vengono approvati i modelli della dichiarazione di
imposta o di domande che il contribuente è obbligato o facoltizzato a presentare; mentre sono
da annoverare fra i regolamenti integrativi o attuativi quelli sia governativi che ministeriali o del
presidente del consiglio dei ministri, con i quali si provvede a completare il regime della
prestazione impositiva, sempre nei limiti derivanti dalla riserva relativa di legge, come es.: i
regolamenti con cui viene fissata l’aliquota fra il minimo e il massimo individuati dalla legge,
quelli che provvedono all’adeguamento degli scaglioni delle aliquote nonché delle detrazioni e
dei limiti di reddito ai fini dell’IRPEF.
Oltre ai regolamenti statali vengono talvolta in considerazione in materia di tributi erariali anche
i regolamenti delle regioni e degli enti locali territoriali con riferimento ai quali assumono
peculiare importanza dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo i regolamenti attuativi o
integrativi.
Va detto da ultimo e per completezza che la dottrina suole distinguere i regolamenti, quali atti
normativi dagli atti amministrativi generali che si risolvono nel concreto esercizio dei poteri
attribuiti all’amministrazione per la cura di interessi pubblici; sicchè i secondi a differenza dei
primi non hanno carattere innovativo dell’ordinamento giuridico non essendo destinati a
produrre effetti costitutivi in punto di disciplina delle fattispecie e nemmeno il carattere
dell’astrattezza pur essendo rivolti ad una pluralità di soggetti non determinati né determinabili
a priori. Fra quest’ultimi vanno annoverati tra gli altri i decreti ministeriali che fissano i
coefficienti di ammortamento dei beni materiali strumentali per l’esercizio dell’impresa ai sensi
dell’art.102 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con DPR 1986, come pure i
decreti ministeriali che con cadenza biennale sono incaricati d’individuare la valenza reddituale
induttiva attribuibile a elementi indicativi di capacità contributiva mediante l’analisi di campioni
significativi di contribuenti differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area
territoriale di appartenenza.
Merita per completezza segnalare che con sempre maggiore frequenza il legislatore demanda
l’integrazione e l’attuazione della disciplina ai cosiddetti decreti di natura non regolamentare i
quali dovrebbero avere natura di atti generali. Ancorché questa scelta non sia in sé incompatibile
con la riserva di legge occorre osservare che la natura di regolamento o di atto generale non può
essere stabilità in via normativa poiché essa dipende dal grado di astrattezza dei contenuti
dell’atto amministrativo. Ne discende che il rinvio a decreti di natura non regolamentare si
risolve in una elusione dei limiti al potere regolamentare disposti dalla l.n°400 del1988.
Le fonti regionali, provinciali e comunali: il processo evolutivo e la disciplina
introdotta dalla L. Cost 3/2001
Venendo alle fonti regionali, provinciali e comunali è opportuno tracciare, in via preliminare, un
rapido quadro dell’evoluzione verificatasi in ordine all’assetto della finanza degli enti locali sotto
il profilo impositivo. Al riguardo, per quanto riguarda gli enti locali (Provincie e Comuni), risulta
opportuno ricordare che con la riforma Minghetti del 1865 la disciplina della finanza locale fu
ispirata ad un criterio di sostanziale separazione dalla finanza statale. Il quadro d’insieme della
finanza locale rimase sostanzialmente immutato fino alla riforma tributaria degli anni 70, quando
si incise in senso pesantemente riduttivo sulla potestà impositiva, preferendo devolvere a tali
enti quote di tributi erariali o l’intero gettito di alcuni di quest’ultimi, piuttosto che dotarli di un
autonomo potere impositivo. L’assetto così impresso alla fiscalità locale è rimasto
sostanzialmente inalterato fino a tempi relativamente recenti sebbene, col tempo, da più parti si
fosse progressivamente sottolineato come una situazione di così marcato svilimento
dell’autonomia degli enti locali sul versante finanziario mal si conciliasse con l’art. 5 Cost., il
quale costituisce espressione inequivocabile della volontà del costituente di attribuire agli enti
locali un importante ruolo nel contesto dell’organizzazione statuale, investendoli
conseguentemente di un potere di autodeterminazione che mal si concilia con la dipendenza di
questi enti dallo Stato sul piano fiscale.
Passando a considerare le Regioni, anche con riferimento a queste è possibile rilevare come alla
autonomia riconosciuta sul piano politico-amministrativo alle Regioni non corrispondeva
un’analoga autonomia sul piano fiscale. In particolare, per quanto riguarda le Regione a statuto
ordinario, la problematica in oggetto nasce dall’interpretazione restrittiva dell’originario dettato
dell’art. 119 Cost., il quale, dopo aver proclamato al primo comma l’autonomia finanziaria delle
Regioni, sia pure nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica ai fini del
coordinamento con la finanza dello Stato, prevedeva al secondo comma che a tali enti fossero
attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali. In questo contesto, la L. 281/1970 in tema di
finanza regionale, recepì una lettura alquanto restrittiva del precetto costituzionale di cui
trattasi: per un verso, individuando in modo tassativo i tributi istituibili dalle Regioni a statuto
ordinario e, per l’altro, disciplinando assai dettagliatamente gli elementi essenziali delle varie
fattispecie impositive (presupposti, soggetti passivi, basi imponibili) oltre alle modalità di
accertamento, liquidazione e riscossione dei predetti tributi, così riservando al legislatore
regionale soltanto la fissazione delle aliquote entro i limiti minimo e massimo predeterminati.
Com’è noto un tale sistema improntato ad una spiccata centralizzazione a favore dello Stato
della potestà normativa in materia tributaria è stato pesantemente messo in discussione
soprattutto a partire dalla metà degli anni 90 quando si è venuta consolidando la convinzione
che il sistema tributario italiano dovesse essere improntato al federalismo, volendo con ciò
intendere una maggior dislocazione della potestà impositiva a livello degli enti regionali, nonché
dei tradizionali enti locali territoriali (Provincie e Comuni). Da qui le modifiche al Titolo V Parte II
della Costituzione, concernente le Regioni, le Province e i Comuni, introdotte dalla L. Cost.
3/2001.
I punti salienti della nuova disciplina, per quanto ci i