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L’APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI
Il giudice, con sent., applica quella pena che è stata precisata da una concorde richiesta delle parti,
imputato e P.M. Al giudice spetta di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto
e la congruità della pena richiesta. La decisione avviene allo stato degli atti e la semplificazione
consiste nell'eliminare l'assunzione delle prove e nell'utilizzare i verbali degli atti di indagine ai fini
della decisione. Una volta pronunciata la sentenza, questa di regola non è appellabile e può essere
sottoposta a ricorso per cassazione per motivi estremamente limitati. Infine, la sentenza che accoglie
il patteggiamento non ha efficacia di giudicato agli effetti civili. La legge prevede un incentivo per
l'imputato che si accorda con il P.M. Nel determinare la pena, sulla quale si forma l'accordo, si deve
applicare una diminuzione fino a un terzo; la diminuzione opera dopo che è stato effettuato il computo
delle circostanze.
Nel patteggiamento l’imputato sa in anticipo quale è la quantità di pena che sarà applicata se il giudice
accoglierà l'accordo. Il sacrificio del diritto alla prova è compensato dal fatto che l'imputato,
accordandosi col P.M., incide direttamente sulla qualità e quantità della pena, in modo da poter
valutare in concreto se gli convenga abbandonare le garanzie che il dibattimento offre.
All'interno di un unico istituto che ha un nucleo comune di disposizioni, il codice contempla due
configurazioni di patteggiamento che hanno normative differenti quanto a requisiti e benefici. Il
patteggiamento "tradizionale" e il patteggiamento "allargato", introdotto dalla legge n. 134/2003. La
riforma Cartabia da un lato, ha ampliato l'oggetto dell'accordo tra imputato e P.M. estendendolo alle
pene accessorie e alla confisca, sia pure con alcuni limiti; da un altro lato, ha consentito che l'accordo
possa comportare l'irrogazione delle pene sostitutive fino a quattro anni di pena detentiva, evitando
così il passaggio attraverso il magistrato di sorveglianza al fine di applicare misure alternative ex art.
656. Infine, di regola sono stati eliminati gli effetti extrapenali del patteggiamento. In particolare, in
base al nuovo co. 1 dell'art. 444, l'imputato e il P.M. possono chiedere al giudice:
a) di non applicare le pene accessorie, o di applicarle per una durata determinata;
b) di non ordinare la confisca facoltativa, o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un
importo determinato.
Il patteggiamento "tradizionale": l'aspetto preponderante dei benefici.
Il patteggiamento viene denominato, nella prassi, tradizionale quando la pena irrogata, effettuata la
riduzione fino a un terzo, non supera i due anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria.
L'unico vero requisito di questo tipo di rito semplificato è quindi il tetto massimo di pena detentiva
(due anni) su cui le parti possono accordarsi. Vari sono i benefici che si applicano all'imputato che
stipuli il patteggiamento tradizionale con il P.M., oltre alla riduzione della pena. In primo luogo, la
sentenza che applica la pena, di regola, non comporta l'irrogazione di pene accessorie; è evidente
l'aspetto premiale poiché accade spesso che più della sanzione penale sia temibile quella accessoria
come, ad esempio, la sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte. In secondo luogo, la
parte può subordinare l'efficacia dell'accordo alla concessione della sospensione condizionale della
pena ad opera del giudice. Questi, se ritiene di non concedere il beneficio, deve rigettare la richiesta
di patteggiamento. Il giudice del patteggiamento è vincolato ad una scelta secca: può solo irrogare la
pena di cui si chiede l'applicazione oppure rigettare "in blocco" la relativa richiesta. Gli è preclusa
ogni modifica dell'accordo a cui sono giunti imputato e P.M., anche solo in relazione ad una singola
clausola che subordina il rito alla concessione della sospensione condizionale della pena. In terzo
luogo, la sentenza che applica la pena non comporta la condanna al pagamento delle spese del
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procedimento penale; tuttavia, l'imputato è tenuto al pagamento delle eventuali spese di
mantenimento in custodia cautelare e al pagamento delle spese di giustizia. In quarto luogo, la
sentenza che applica la pena non comporta l'applicazione di misure di sicurezza; tuttavia, consente di
applicare la confisca nelle ipotesi nelle quali, ex art. 240 c.p., è obbligatoria o facoltativa. In quinto
luogo, il reato è estinto se l'imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa
indole entro il termine di cinque anni (in caso di patteggiamento per delitto) o di due anni (in caso di
patteggiamento per contravvenzione). Il comportamento penalmente corretto estingue ogni effetto
penale. In sesto luogo, nel certificato del casellario giudiziale richiesto dall'interessato non devono
essere riportati i provvedimenti di applicazione della pena su richiesta delle parti quando la pena
irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria.
Il patteggiamento allargato consente all'imputato e al P.M. di accordarsi su di una sanzione da due
anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva in concreto, effettuata la riduzione fino a un
terzo. Se il codice penale prevede una pena pecuniaria, anche questa deve essere ridotta fino ad un
terzo.
Ex art. 444 co. 1-bis, il patteggiamento allargato è escluso:
- Sotto un profilo oggettivo, per tre categorie di delitti, e cioè quelli di associazione mafiosa e
assimilati, quelli di terrorismo ed una serie nutrita di delitti di violenza sessuale e assimilati.
- Le cause di esclusione soggettive riguardano gli imputati che siano stati dichiarati delinquenti
abituali, professionali, per tendenza ed i recidivi reiterati di cui all'art. 99, co. 4, c.p.
Nonostante le menzionate cause di esclusione, i reati che possono diventare oggetto di pena
concordata sono numerosi; si tratta di tutti quei reati per i quali la pena da concordare, prima di
operare la riduzione fino a un terzo, si colloca fino a sette anni e sei mesi. Ciò significa che, ove le
attenuanti prevalgano sulle aggravanti, sono teoricamente negoziabili reati punibili con una pena base
fino ad undici anni circa di reclusione. Resta il limite in base al quale il patteggiamento allargato non
può comportare i benefici della omonima figura tradizionale, poiché le modifiche apportate ai commi
1 e 2 dell'art. 445 escludono tale possibilità.
In base alla riforma Cartabia l'imputato e il P.M. possono chiedere al giudice: a) di non applicare le
pene accessorie, o di applicarle per una durata determinata; b) di non ordinare la confisca
facoltativa. Inoltre, la confisca può essere concordemente riferita a specifici beni o a un importo
determinato.
In detti casi la riforma attribuisce al giudice il compito di valutare la correttezza dei patti relativi alle
pene accessorie e alla confisca. La legge anticorruzione aveva reso possibile applicare le pene
accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica
amministrazione, e ciò quando l'addebito concerne determinati gravi delitti contro la pubblica
amministrazione. L'art. 444, co. 3-bis ha oggi permesso alla parte, nel formulare la richiesta di
applicazione della pena, di subordinarne l'efficacia all'esenzione dalle pene accessorie previste
dall'art. 317-bis c.p.; o anche di subordinare l'efficacia della richiesta all'estensione degli effetti della
sospensione condizionale anche a tali pene accessorie. Il giudice, se non ritiene corretta l'applicazione
delle pene accessorie o della sospensione condizionale, rigetta la richiesta.
Possono prendere l'iniziativa tendente all'accordo sia l'imputato, sia il difensore munito di procura
speciale, sia il P.M. L'imputato può rinunciare a difendersi nei confronti degli elementi raccolti a suo
carico durante le indagini e, quindi, ritenere preferibile un accordo con la pubblica accusa sulla
quantità della pena. Il P.M., al fine di evitare le incognite del dibattimento, può sondare la disponibilità
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dell'indagato. Una richiesta unilaterale, che provenga da una sola delle parti potenziali nel corso
delle indagini preliminari, obbliga il giudice a fissare un termine perché la controparte esprima un
eventuale consenso: prima della scadenza di tale termine, la richiesta non è revocabile. Nel decreto
di fissazione dell'udienza è indicata l'informazione alla persona sottoposta alle indagini della facoltà
di accedere ai programmi di giustizia riparativa. Il termine finale per la presentazione della richiesta
di patteggiamento è la formulazione delle conclusioni nell'udienza preliminare. La richiesta di
patteggiamento è un atto personale: la volontà dell'imputato è espressa personalmente o a mezzo di
procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal
difensore.
Vi è la possibilità, attribuita all'imputato, di concordare con il P.M. anche la specie della pena da
applicare. L'accordo può consistere nell'applicazione di una pena sostitutiva di una detenzione breve.
L'imputato che riesca a concordare con la pubblica accusa una pena sostitutiva, una volta che il
giudice si sia espresso positivamente sulla congruità, ha la certezza di evitare l'ingresso in carcere;
tuttavia l'esecuzione della pena sostitutiva sarà ravvicinata nel tempo poiché non è ammesso l'appello;
inoltre, il ricorso per cassazione è concesso per motivi limitati. Viceversa, se l'imputato opta per un
accordo su una pena detentiva fino a quattro anni, potrà soltanto sperare nella possibilità di ottenere,
in sede di esecuzione della pena, una misura alternativa al carcere ex art. 656, co. 5 c.p.p.; ma dovrà
affidarsi alla valutazione discrezionale del tribunale di sorveglianza.
Il P.M. ed il giudice hanno una discrezionalità vincolata nel valutare la richiesta di patteggiamento
proveniente dall'imputato. Le loro determinazioni sono sottoposte ad un successivo controllo. Il P.M.
può dissentire rispetto ad una richiesta di accordo formulata dall'imputato, ma deve enunciarne le
ragioni. Il diniego del P.M. impedisce al giudice dell'udienza preliminare di decidere sulla richiesta
unilaterale dell'imputato. Il giudice valuta la legittimità e la fondatezza dell'accordo delle parti sulla
base di tutti gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini, e quindi anche sulla base della eventuale
documentazione delle investigazioni difensive. Egli svolge un controllo sos