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IL COLONATO
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Fenomeno che si sviluppò e consolidò durante il Basso Impero.
I coloni erano persone libere di umile condizione, piccoli affittuari di terre; oppure umili liberi
lavoratori giornalieri dei campi che dietro compenso si obbligavano ad un lavoro subordinato
(=locatio operarum).
Nella grave crisi che travagliò l’impero romani, fu attuata una politica di irrigidimento delle classi
sociali, cosicché i coloni e le relative famiglie furono vincolati alla terra che coltivavano (o ai pascoli
che accudivano) al punto che non potevano esserne distaccati neanche dai proprietari, e venivano
alienati assieme al fondo (servi terrae). Subirono gravi limitazioni alla capacità giuridica e di agire: i
beni loro furono considerati quasi come un peculio servile, alienabile solo con il consenso del
proprietario del fondo, ne fu limitata la libertà matrimoniale essendo disapprovato il matrimonio con
persone di ceto diverso. E si ammise che su di essi il proprietario terriero potesse esercitare
legittimamente atti di coercizione fisica quasi ne fosse proprietario.
Lo status della persona
Per status della persona si intende la condizione giuridica in cui si trova una persona.
Possono essere colti in riferimento a distinti insieme di norme giuridiche che in certi casi coincidono
alo ius civilis e in altri casi sono indipendenti da esso, sono indifferenti.
● Status libertatis indica la condizione in cui un soggetto si trova in relazione alla
regolamentazione giuridica della libertà. → per Gaio, tutti gli uomini, in relazione a questa
definizione, o sono liberi o sono schiavi ;
● Status civitatis indicava la condizione del soggetto nei confronti delle norme giuridiche che
regolavano l'istituto della cittadinanza romana.
Il possesso della civitas romana , che presupponeva ovviamente lo stato di libertà, era una
delle condizioni per la piena capacità di diritto privato.
Cittadini romani si nasceva o si diventava.
Nascevano cittadini romani, secondo la regola, sia i nati da padre cittadino purchè procreati in
matrimonio legittimo sia i nati fuori da iustae nuptiae da madre cittadina.
Diventavano di norma cittadini romani gli schiavi liberati. Cittadini romani si diventava
altresì per concessione dello Stato romano, che poteva riguardare sia persone singole sia
intere comunità e a cui si procedeva secondo le contingenze politiche. Le concessioni di più
ampia portata furono: quella riguardante gli alleati italici (socii) in esito alla guerra sociale al
tempo di Silla; e l’altra attuata con la constitutio Antoniniana (di Antonio Caracalla) del 212
d.C. in favore di tutti gli abitanti liberi dell’Impero.
Perdevano la cittadinanza romana :
1. i cives che fossero stati ridotti in stato di schiavitù;
2. quelli che si fossero stabiliti in colonie di nuova istituzione
3. i cittadini che, liberamente o per sfuggire alla pena capitale , avessero scelto l’esilio presso
altro Stato sovrano legato a Roma da trattato;
4. i cittadini che per crimini commessi avessero subito condanna all’esilio (deportatio).
Ai cives Romani si contrapponevano i peregrini, persone libere ma non cives. Per i rapporti
privati si applicava loro il diritto proprio della comunità cui appartenevano; se del caso il
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ius gentium. Talora si concedeva ad essi il ius commercii (che comportava la capacità di
alienare ed acquistare con mancipatio) meno spesso il ius connubii ( la capacità di contrarre
matrimonio iustae nuptiae con cittadini romani).
Una categoria privilegiata di peregrini era quella dei Latini.
I Latini prisci ( cittadini delle città laziali vincolate a Roma da antica alleanza e
formalmente sovrane):
1. Diventavano cittadini romani trasferendosi stabilmente a Roma ed ivi iscrivendosi in una
delle tribù in cui era divisa la popolazione (ius migrandi)
2. mantenevano le loro istituzioni , di diritto pubblico e privato
3. godevano del ius commercii e del ius connubii
4. potevano ricevere per testamento da cittadini romani.
Ai Latini Prisci furono assimilati , quanto alla capacità di diritto privato, coloro che si
stabilivano nella colonie fondate da Roma (Latini coloniarii).
Ai Latini coloniarii furono a loro volta assimilati, ma solo parzialmente, gli schiavi liberati
nelle forme pretorie e minori di trent’anni manomessi senza le garanzie stabilite dalla lex
Aelia Sentia : furono detti Latini Iuniani.
Il gradino più basso nella gerarchia dei peregrini era rappresentato dai peregrini dediticii.
Erano i membri di collettività straniere che si erano arrese a Roma senza condizioni e
all’interno delle quali il vincitore aveva abrogato ogni ordinamento nazionale.
Partecipavano solo del ius gentium.
● Status familiae la posizione del soggetto nei confronti di tutte quelle norme giuridiche che
regolavano la famiglia romana e la loro appartenenza.
In relazione al rapporto tra un soggetto e norme giuridiche che regolano la famiglia romana
noi possiamo cogliere una differenza : i soggetti che sono sottoposti a una potestà famigliare e
chi non lo è.
La piena capacità giuridica, nel diritto romano, era riconosciuta alle persone sui iuris, che
erano le persone libere, cittadine romane e non soggette a potestà.
Ai sui iuris si contrapponevano gli alieni iuris, le persone soggette a potestà, che poteva
essere dominium, mancipium, patria potestas, manus.
- A dominium erano soggetti gli schiavi
- a mancipium le persone in causa mancipii;
- a patria potestas i filii familias (maschi e femmine) ;
- a manus le donne (solitamente mogli) per le quali avesse avuto luogo conventio in
manum.
Familia è un termine che assume nelle fonti giuridiche significati diversi (personali e patrimoniali).
Ma la familia cui si fa riferimento, quando si parla di status familias, è la familia proprio iure dicta,
gruppo unitario composto da una sola persona sui iuris (libera e cittadina romana) e, quando questa
era di sesso maschile, eventualmente anche dai filii familias e dalle donne in manu (pure essi liberi e
cives) assoggettati alla sua potestà: che era patria potestas sui figli, e pur sempre potestas, ma più
specificamente manus, sulle donne in manu.
La familia romana aveva struttura rigidamente patriarcale: solo i patres familias, e quindi solo i sui
iuris maschi quali possibili detentori di patria potestas potevano avere filii (e donne in manu) sotto la
propria potestà.
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Le potestà familiari, esercitata dal pater familias nei confronti del filius o filas familias, erano
sostanzialmente due :
- Patria potestas spettava al genitore maschio e non spettava alle donne, inoltre
rispecchiava la struttura patriarcale della società di quel tempo era stato escogitato sul
dominio (potere es domini dominus)
Era ricalcata sulla base della proprietà e permetteva al pater familias di fare del figlio
e ogni altro membro della famiglia ciò che voleva (poteva metterlo a morte e privarlo
dei suoi diritti)
N.B → il pater familias poteva vendere il figlio ma dopo la terza vendita egli (il
padre) perdeva la patria potestas: ciò veniva fatto per ottenere risorse economiche
Il potere del pater familias non è mai venuto meno al potere della stato (in ogni età di
Roma) → la patria potestas proveniva da una realtà primitiva, dunque lo stato non
proibiva al pater di esercitare qualsiasi tipo di potere che riguardava la familias
- familia potestas: si parla della potestà del pater familias sul filius familias
Il CONCETTO DI FAMIGLIA del diritto romano: era detta “familias proprio iure dicta” e
riguardava i rapporti giuridici che intercorrono tra certi soggetti e facevano riferimento a:
1. rapporti di consanguinei tra ascendenti e discendenti → comunanza di sangue tra soggetti
2. ma anche rapporti potestativi → esercitato dal pater familias sugli altri soggetti della famiglia
(anche no consanguinei)
I maschi sui iuris sono chiamati nelle fonti patres familias, a prescindere dall’effettiva paternità.
Tale qualifica esprimeva l’attitudine ad esercitare la patria potestas. La familia romana aveva struttura
rigidamente patriarcale: solo i patres familias, e quindi solo i sui iuris maschi quali possibili detentori
di patria potestas potevano avere filii (e donne in manu) sotto la propria potestà. Più tipica è l’ipotesi
di familiae nelle quali un pater familias esercitasse potestà familiari, presupposto ne era il matrimonio.
GLI SPONSALI
Il matrimonio era generalmente preceduto dalla promessa di matrimonio. Nell’età più antica questa si
compiva mediante sponsio, per mezzo della quale il pater familias della donna, o ella stessa se sui
iuris, facevano al fidanzato promessa si matrimonio. Si parlò pertanto di sponsalia.
Dall’età preclassica almeno, la promessa di matrimonio si compì col semplice consenso reciproco
comunque espresso: non ne nascevano obligationes , né comunque sorgeva obbligo giuridico a
contrarre matrimonio.
Conseguenze giuridiche minori: da età postclassica, una volta rotto il fidanzamento, l’obbligo, a certe
condizioni, della restituzione dei doni.
IL MATRIMONIO
Presupposto per la costituzione di una familia proprio iure dicta era il matrimonio legittimo, o iustae
nuptiae.
Per iustae nuptiae si richiese il connubium, che gli sposi fossero almeno in età pubere, il consenso
reciproco degli sposi.
Si trattava di una sorta di capacità civile, che rilevava non tanto in sé quanto con riferimento all’altro
coniuge. La regola era che esso sussistesse tra cittadini romani. L’antico divieto di connubium tra
patrizi e pelbei fu rimosso dalla lex Canuleia del 445 a.C., i classici collegavano al requisito del
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connubium anche il divieto di matrimoni tra parenti: tra parenti in linea retta senza limiti di grado, tra
parenti in linea collaterale dapprima entro il 6° grado, poi entro il 4°, dall’ultima età repubblicana
entro il 3° grado (zii e nipoti).
I matrimoni tra affini (parenti dell’altro coniuge) appaiono in età classica proibiti in linea retta, in età
postclassica anche in linea collaterale ma non oltre il 2°.
Il fatto che tra gli sposi mancasse il connubium, che gli sposi non fossero in età pubere, che non
avessero espresso valido consenso alle nozze era di impedimento all’esistenza di iustae nuptiae,
invece la violazione del lutto vedovile no.
Quando si parla di lutto vedovile si fa riferimento all’antico precetto per cui era vietato alla vedova
un nuovo matrimonio prima del decorso del tempus lugendi (“tempo di piangere”), che era di dieci
mesi dalla morte del marito.
La violazione del lutto vedovile dava luogo dapprima solo a sanzioni di carattere sacrale; poi l’editto
pretorio com