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PUBBLICA AUTORITA’
Secondo il disposto dell’art. 51 c.p., un dovere il cui adempimento rende
lecita la realizzazione di fatti penalmente rilevanti può derivare anche da un
ordine legittimo dalla pubblica autorità.
La ratio è evidente: l’emanazione dell’ordine ha reso concreta la volontà di
una norma giuridica; pertanto, l’esecuzione dell’ordine legittimo non è
dunque che l’esecuzione sia pure mediata o indiretta, di quella norma.
L’ordine, in ogni caso promanante da una pubblica autorità, deve essere
legittimo sia formalmente sia sostanzialmente:
È formalmente legittimo quando concorrono 3 requisiti:
La competenza dell’organo che lo ha emanato
La competenza del destinatario ad eseguire l’ordine
Il rispetto delle forme eventualmente prescritte per la validità
dell’ordine
È sostanzialmente legittimo quando esistono i presupposti fissati
dall’ordinamento per la sua emanazione
LA RESPONSABILITA’ DI CHI EMANA E DI CHI ESEGUE UN ORDINE
ILLEGITTIMO
L’art. 51, commi 2 e 3 c.p. stabilisce che “se un fatto costituente reato è
commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico
ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito
l’ordine”.
Quanto alla responsabilità di chi ha emanato l’ordine illegittimo per il fatto
commesso dall’esecutore dell’ordine, il comma 2 dà esplicito rilievo ad una
normale ipotesi di concorso di persone nel reato: la responsabilità del
superiore discende dal suo ruolo di istigatore, e quindi di concorrente morale
nel reato commesso dall’esecutore.
Quanto alla responsabilità di chi ha eseguito l’ordine illegittimo, il comma 3 è
configurabile nei confronti di coloro che, come i pubblici impiegati, non sono
vincolati all’obbedienza degli ordini dei superiori: hanno anzi il preciso dovere
di astenersi dall’eseguire l’ordine del superiore quanto l’atto sia vietato dalla
legge penale. Il pubblico impiegato ha infatti il potere-dovere di controllare la
legittimità sia formale sia sostanziale dell’ordine: con la conseguenza che,
ove dia esecuzione all’ordine di commettere un reato, non potrà invocare la
causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere.
Del pari hanno il dovere di astenersi dall’eseguire un ordine la cui esecuzione
integra un reato i privati che ricevano un ordine illegittimo di polizia.
Es. Nel caso in cui una pubblica autorità (il prefetto, il ministro degli interni, il
ministro della sanità ecc.) emanasse un provvedimento nel quale si ingiunga
ai titolari degli enti privati che gestiscono autoambulanze di non prestare
soccorso ai feriti extracomunitari privi di permesso di soggiorno, l’esecuzione
dell’ordine integrerebbe il delitto di omissione di soccorso (art. 593 c.p.) e ne
risponderebbero come concorrenti sia chi ha emanato l’ordine ai sensi
dell’art. 51, comma 2 c.p., sia il titolare dell’ente che abbia imposto ai suoi
dipendenti di non prestare l’assistenza necessaria.
GLI ORDINI ILLEGITTIMI INSINDACABILI
L’art. 51, comma 4 c.p. stabilisce che “non è punibile chi esegue l’ordine
illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità
dell’ordine”.
Sembrerebbe evocare una categoria di soggetti ai quali sia preclusa qualsiasi
forma di sindacato sulla legittimità dell’ordine. Esistono nel nostro
ordinamento ordini illegittimi vincolanti, ma non si tratta mai di un vincolo
assoluto: i militari e gli appartenenti alla polizia di Stato hanno il dovere di
eseguire l’ordine dei superiori, ma tale dovere incontra 3 limiti:
L’ordine non deve essere formalmente illegittimo,
Anche se formalmente legittimo, l’ordine non deve essere
manifestamente criminoso (cioè non deve trattarsi di un ordine
manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui
esecuzione costituisce comunque manifestamente reato),
Il subordinato non deve comunque essere personalmente a conoscenza
del carattere criminoso dell’ordine.
Quanto al normale dovere di eseguire l’ordine che incombe ai militari e agli
appartenenti alla polizia di Stato, l’art. 729, comma 2 d.P.R. n. 90/2010
dispone che “il militare al quale è impartito un ordine che non ritiene
conforme alle norme in vigore deve, con spirito di leale e fattiva
partecipazione, farlo presente a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni,
ed è tenuto a eseguirlo se l’ordine è confermato”.
Da tale disciplina si ricava che il militare o equiparato ha il dovere di eseguire
l’ordine confermato dal superiore, purché non si tratti di un ordine
formalmente illegittimo, né di un ordine manifestamente criminoso, né di un
ordine del cui carattere criminoso il militare sia personalmente a conoscenza.
Tale dovere opererà come causa di giustificazione, fondata sulla prevalenza
dell’interesse ad un pronto adempimento degli ordini dei superiori rispetto
agli interessi tutelati dalle norme incriminatrici di volta in volta violate.
Se invece l’esecuzione dell’ordine è compiuta violando i limiti, vengono mene
la presunzione di legittimità dell’ordine e il correlativo dovere di obbedienza,
e chi esegue l’ordine risponde del reato commesso, in concorso con chi ha
emanato l’ordine.
L’ERRORE DI FATTO SULLA LEGITTIMITA’ DELL’ORDINE
Non risponde a tutolo di dolo il subordinato che dia esecuzione ad un ordine
illegittimo, qualora egli ritenga per un errore di fatto di eseguire un ordine
legittimo (art. 51, comma 3 c.p.).
Es. Un agente di polizia il quale riceve ed esegua un provvedimento di
custodia cautelare materialmente falsificato in tutti i suoi elementi costitutivi:
il fatto di sequestro di persona (art. 605 c.p.) non è giustificato, trattandosi di
un ordina illegittimo, ma il reato di sequestro di persona non è integrato
perché l’errore dell’agente escluderà il dolo. Qualora l’errore in cui è caduto
l’agente sia inescusabile perché dovuto a colpa, non si configurerà nei suoi
confronti alcuna responsabilità penale perché la legge non prevede un’ipotesi
colposa di sequestro.
LA LEGITTIMA DIFESA
L’art. 52, comma 1 c.p. stabilisce che “non è punibile chi ha commesso il fatto
per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od
altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata all'offesa”.
In deroga al principio del monopolio statale dell’uso della forza, l’ordinamento
attribuisce al cittadino la facoltà legittima di autotutelare i propri diritti
quando corrano il pericolo di essere ingiustamente offesi da terzi e lo Stato
non sia in grado di assicurare una tempestiva ed efficace tutela attraverso i
suoi organi, sempreché la difesa sia necessaria e proporzionata. La deroga si
estende anche ai casi in cui siano ingiustamente messi in pericolo i diritti
individuali di un terzo (art. 52, comma 1 c.p. “diritto proprio od altrui”).
I PRESUPPOSTI DELLA LEGITTIMA DIFESA
La legittima difesa esige come presupposto che un diritto proprio o
altrui corra il pericolo attuale di essere ingiustamente offeso (art. 52
c.p.)
Pericolo probabilità della lesione / lesione soltanto potenziale.
Il giudice deve compiere una prognosi postuma in concreto: deve accertare
se al momento del fatto, tenendo conto di tutte le circostanze esistenti in
quel momento (cd. giudizio ex ante a base totale) vi era la probabilità del
verificarsi di un’offesa ad un diritto dell’agente o di un terzo, probabilità che
andrà accertata utilizzando tutte le leggi scientifiche o le massime di
esperienza disponibili al momento del giudizio.
Es. Se un gruppo di energumeni si avventa su una donna che percorre
nottempo una strada di periferia e le strappa di dosso i vestiti per poi passare
a uno stupro di gruppo, i componenti di quel gruppo avranno creato un
pericolo per la libertà sessuale della donna, che potrà giustificare una sua
reazione difensiva. Se invece, in analoghe circostanze di tempo e di luogo, un
gruppo di “gentiluomini” si limita ad esprimere pesanti apprezzamenti su una
donna, ma quest’ultima, supponendo erroneamente che a quegli
apprezzamenti seguirà uno stupro, estrae un’arma da taglio e ferisce uno dei
supposti aggressori, nessun pericolo avrà corso al momento del fatto la
libertà sessuale della donna. Potrà residuare una responsabilità per lesioni
colpose, qualora quell’erronea supposizione fosse dovuta a colpa (art. 59,
comma 4 c.p.).
FONTE DEL PERICOLO
Il pericolo deve scaturire da una condotta umana, si tratti di
un’azione o di un’omissione.
Quanto all’omissione, potrà rilevare:
L’omesso impedimento di un evento lesivo ex art. 40, comma 2 c.p.
Le omissioni costitutive di reati omissivi propri, quando si violi il dovere
giuridico di rimuovere un pericolo incombente su un diritto individuale
È controverso se la legittima difesa possa invocarsi quando il pericolo di
un’offesa ingiusta sia stato volontariamente cagionato dall’agente: la
giurisprudenza esclude l’applicabilità della legittima difesa.
L’ATTUALITA’ DEL PERICOLO
Facendo riferimento ad un pericolo attuale, l’art. 52, comma 1 c.p. esclude
senz’altro che la legittima difesa possa sussistere quando il pericolo è ormai
passato, o perché di è tradotto in danno, o perché il pericolo è stato
definitivamente neutralizzato o si è altrimenti dissolto.
La causa di giustificazione non sussiste quando si tratti di un pericolo futuro.
La formula “pericolo attuale” abbraccia due classi di ipotesi:
quelle in cui la verificazione dell’offesa sia temporalmente imminente
è attuale il pericolo perdurante, cioè che si verifica quando l’offesa è
già in atto, ma ancora non si è esaurita.
È controverso se il concetto di attualità del pericolo debba determinarsi
esclusivamente con riferimento al momento della sua insorgenza, ovvero
anche con riferimento alla improcrastinabilità dell’azione difensiva: se cioè si
possa parlare di pericolo attuale anche nel caso in cui il pericolo non sia
imminente, né vi sia un’offesa in atto, e nondimeno sia necessario agire
subito per evitare il prodursi, in un futuro più o m