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CIRCOSTANZE DEL REATO

Le circostanze sono elementi accidentali del reato, non indispensabili per la sua esistenza. La presenza di una o più circostanze influisce soltanto sulla gravità del reato e sulla misura della pena per esso prevista. La ratio delle circostanze è da ravvisare nella continua aspirazione del diritto penale a rendere più aderente la valutazione penale e ad adeguare la pena al reale disvalore dei fatti concreti.

Le circostanze si dividono in:

  • aggravanti e attenuanti: le prime determinano una maggiore gravità del reato e comportano un aumento di pena, le seconde, una minore gravità di esso e una riduzione della pena;
  • comuni e speciali: le prime sono applicabili a tutti reati o quantomeno ad ampie categorie, le seconde sono previste soltanto con riferimento a un reato o alcuni reati;
  • sostanze attenuanti generiche: diverse da altre circostanze ma che possono concorrere qualora siano ritenute tali da giustificare una diminuzione della pena.
pena.-> ->Articoli di riferimento: Articolo 61 c.p. circostanze aggravanti comuni; Articolo 62 c.p. circostanze attenuanti->comuni; Articolo 62 – bis c.p. attenuanti generiche Prima della legge 19/1990 la disciplina in materia di valutazione delle circostanze era ispirata a un rigoroso criterio oggettivo per il quale le circostanze, sia attenuanti che aggravanti, si applicavano per il solo fatto di esistere. L’errore sulla loro esistenza o inesistenza non aveva alcuna rilevanza. La legge 19/1990 ha modificato il testo dell’articolo 59 c.p. e, ispirandosi al principio di colpevolezza o comunque di personalità della responsabilità penale, subordina l’applicabilità delle aggravanti alla conoscenza della loro esistenza da parte del soggetto agente o quantomeno all’ignoranza dovuta a colpa. Quindi l’aggravio di pena è consentito solo se la circostanza, obiettivamente sussistente, era stata ignorata dal soggetto agente persua colpa o errore determinato da colpa. Valutazione delle circostanze può quindi così distinguersi: - le circostanze attenuanti: sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute o per errore ritenute inesistenti; - le circostanze aggravanti: sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. La regola generale in materia di rapporti tra delitto tentato e circostanze è che sono compatibili con il delitto tentato tutte le circostanze (aggravanti o attenuanti) ad esclusione soltanto di quelle concernenti un'attività che nemmeno parzialmente sia stata posta in esecuzione e di quelle che presuppongono l'avvenuta consumazione del reato. Il concorso di circostanze può essere tra: - circostanze omogenee: si fa luogo a tanti aumenti o diminuzioni di pena quante sono le circostanze concorrenti. La legge prevede dei limiti con.

Riferimento sia all'aumento che alla diminuzione in caso di più circostanze omogenee:

  1. Se concorrono più circostanze aggravanti la pena irrogabile in concreto non potrà essere superiore al triplo del massimo stabilito dalla legge, né comunque superiore agli anni 30 in caso di reclusione, agli anni 5 in caso di arresto o a 10.329 euro e 2065 euro in caso rispettivamente di multa o ammenda.
  2. Se concorrono più circostanze attenuanti la pena da infliggere in concreto non potrà essere inferiore: a 10 anni, in caso di pena punita con ergastolo, ad un quarto della pena, in caso di più attenuanti a efficacia comune.
  3. Se una circostanza aggravante/attenuante contiene in sé un'altra circostanza aggravante/attenuante si valuta a carico o a favore del colpevole esclusivamente la circostanza che comporta il maggior aumento o la maggiore diminuzione della pena.

Circostanze eterogenee: si fa luogo, ai sensi dell'articolo 69 c.p.,

A un giudizio di prevalenza o equivalenza rimesso all'apprezzamento del giudice:

  1. Se si ritengono prevalenti le aggravanti si fa luogo solo agli aumenti di pena;
  2. se si ritengono prevalenti le attenuanti si fa luogo solo alle diminuzioni di pena;
  3. se si ritiene che vi sia equivalenza tra aggravanti e attenuanti si applica la pena che sarebbe stata inflitta in mancanza di circostanze.

La prevalenza delle attenuanti non può essere riconosciuta, se il reo è gravato da recidiva reiterata (art. 99 comma 4 c.p.).

Il sistema sanzionatorio

Le pene nell'ordinamento italiano

All'interno della categoria delle pene si possono individuare quattro sottocategorie: pene principali, pene sostitutive delle pene detentive, pene derivanti dalla conversione delle pene pecuniarie e pene accessorie. A queste classi di pene si aggiunge una serie di altre conseguenze giuridiche della condanna, che sono gli effetti penali della condanna.

- Pene principali

Le pene principali sono: l'ergastolo,

La reclusione, la multa, l'arresto e l'ammenda, alle quali si aggiungeva anche la pena di morte, successivamente eliminata. Inoltre, per i reati militari si fa ricorso alla reclusione militare e per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità.

Le pene principali si caratterizzano per essere inflitte dal giudice con la sentenza di condanna e assolvono alla funzione di identificare i reati, distinguendoli da ogni altra categoria di illeciti.

Quanto al bene sul quale incidono - libertà personale o patrimonio - si distingue tra pene detentive/restrittive della libertà personale (ergastolo, reclusione, arresto e reclusione militare + permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità che sono limitative della libertà personale) e pene pecuniarie (multa e ammenda).

[Pena di morte] La pena di morte non esiste più nel nostro ordinamento mentre nel Codice penale del 1930

Era prevista per le ipotesi considerate più gravi. Essa è stata abolita anche grazie a Beccaria, il quale disse che ancor più afflittiva della pena di morte fosse la pena dell'ergastolo. Inoltre, è contraddittorio per lo Stato punire chi uccide e poi fare lo stesso; è in contrasto con la funzione rieducativa; contrario al diritto alla vita; la pena di morte non disincentiva la criminalità e soprattutto perché in caso di errore giudiziario è irrimediabile.

Abolita nel Codice penale Zanardelli (1889), primo codice dopo l'unificazione, di impianto liberale. Ripristinata nel regime fascista nel 1926; ampiamente utilizzata nel Codice penale Rocco (1930) [art. 576-577]. Eliminata poi dal codice penale nel 1944 e nelle leggi speciali nel 1948 e, infine, eliminata dalle leggi militari di guerra nel 1994.

Articolo 27, comma 4 (modificato nel 2007) → Non è ammessa la pena di morte [se non nei casi previsti dalle

leggimilitari di guerra].

PENE DETENTIVE

Ergastolo 40

L'ergastolo è previsto per alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro l'incolumità pubblica e contro la vita; il suo ambito di applicazione si è dilatato per la progressiva sostituzione alla pena di morte. L'articolo 22 del Codice penale dice che la pena dell'ergastolo è perpetua, cioè nella prospettiva del codice fascista del 1930, la pena dell'ergastolo era per tutta la vita, senza possibilità di uscire dal carcere.

L'ergastolo è compatibile con la funzione rieducativa che la Costituzione assegna alla pena?

Oggi l'ergastolo è compatibile solo perché la Corte costituzionale (con sentenza 264 del 1974) prevede che dopo 26 anni [prima 28 = legge 663/1986], il condannato all'ergastolo possa chiedere di accedere alla liberazione condizionale (articolo 176 c.p.). In realtà questa è una misura rara e

solo pochi escono grazie alla liberazione condizionale. Secondo tale misura si è liberi sotto condizione, ovvero per i primi 5 anni si è sottoposti alla libertà vigilata, che è una misura di sicurezza che comporta un controllo del soggetto. I presupposti della liberazione condizionale (norma del 1930) sono quelli del sicuro ravvedimento, ci deve essere prova di tale ravvedimento, partecipazione all'educazione. La revisione consiste nel sottoporre di nuovo a un tribunale il caso, perché sono emerse nuove prove (ad eccezione delle prove fornite ma non considerate nella sentenza). Inoltre, si consente che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso, dopo l'espiazione di almeno dieci anni di pena ai permessi-premio, nonché, dopo venti anni alla semilibertà. La Corte costituzionale è intervenuta nel 1980, affermando che la previsione di una pena fissa non è illegittima se, per la natura dell'illecito e per.

La misura della sanzione, "appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato".

L'uscita di prigione deve essere valutata da un sistema giurisdizionale e non prevista da un potere politico (es. grazia): non sarebbe una garanzia sufficiente per il rispetto del principio rieducativo.

Ergastolo ostativo

Con ergastolo ostativo si designa il particolare regime previsto per l'ipotesi in cui la condanna all'ergastolo sia stata pronunciata per uno dei gravi delitti di cui all'articolo 4 bis comma 1 ord. Penit., ovvero alla situazione in cui si trova un condannato all'ergastolo legato alla criminalità organizzata, alle associazioni di tipo mafioso o per delitti commessi con finalità di terrorismo. Nel caso in cui il condannato non collabori con la giustizia (anche se impossibilitato o irrilevante), questo osta alla concessione di benefici penitenziari, come permessi-premio.

del lavoro all'esterno, delle misure alternative alla detenzione (detenzione domiciliare, semilibertà) e della liberazione condizionale. Il senso della disciplina è quello di incoraggiare la collaborazione, non ottenuta durante il processo (pochi collaborano durante l'esecuzione della pena). L'ergastolo ostativo può presentare i connotati di una vera e propria pena perpetua. Problemi di legittimità costituzionale L'ergastolo è da tempo oggetto di seri dubbi di legittimità costituzionale. Se con rieducazione si intende l'offerta di aiuto al condannato perché possa aumentare le sue chances di vivere nella società rispettandone le regole, questa idea non si concilia con una pena che comporta una definitiva espulsione dal consorzio civile. La Corte costituzionale ha però più volte respinto questioni di legittimità fondate sul principio della rieducazione del condannato. Nella sentenza del 21novembre 1974, n. 264, la Corte ha affermato la legittimità dell'ergastolo in relazione all'art. 27 co.3, Cost., sulla base di un duplice ordine di considerazioni: da un lato, negando che "funzione e finalità della pena siano esclusivamente rieducative" e, dall'altro, ritenendo che "la pena dell'ergastolo non sia incompatibile con il principio di umanità della pena".
Dettagli
A.A. 2022-2023
54 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Mariannaiavarone03 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Pecorella Claudia.