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SEZ. DUE
Antigiuridicità
1. Premessa
Anche nell’ambito del reato colposo, la tipicità ha una funzione indiziante rispetto all’antigiuridicità
concepita come assenza di cause di giustificazione: onde, se si accerta l’esistenza di un'esimente, il
fatto commesso non costituisce reato. La dottrina italiana non ha dedicato particolare attenzione al
problema delle cause di giustificazione nel reato colposo, lasciando così quasi supporre che
l’antigiuridicità obiettiva del fatto tipico si atteggi allo stesso modo che nel reato doloso. E’ fondato,
tuttavia, ritenere che la diversità strutturale registrabile tra i due tipi di illecito condizioni in qualche
modo l’operatività delle cause di giustificazione, almeno nel senso che nel reato colposo non sono
forse prospettabili tutte le scriminanti esistenti: lo comprova l’esperienza giurisprudenziale, sul cui
terreno la questione dell’applicabilità degli esimenti al reato colposo si è in concreto prospettata
soprattutto con riferimento al consenso dell’avente diritto, alla legittima difesa e allo stato di
necessità. 252
253
2. Consenso dell’avente diritto
La giurisprudenza prevalente tende ad escludere l’efficacia scriminante del consenso nei reati colposi,
facendo leva su due ordini di argomentazioni.
1. il consenso dell’avente diritto non può intervenire come causa di giustificazione in relazione
ai beni di vita e integrità fisica, beni indisponibili a presidio dei quali si pongono i reati
colposi.
Questo argomento coglie nel segno. Solo che esso non vale a dimostrare una sorta di inconciliabilità
di principio tra esimente del consenso e reato colposo: dimostra solo che la tesi della compatibilità
ha una portata pratica assai limitata, considerato lo scarso numero di reati colposi posti a tutela di
interessi disponibili.
2. il consenso quale volontà di lesione è incompatibile con il carattere involontario del reato
colposo; di consenso dell’avente diritto si può parlare solo in rapporto ad un reato doloso.
Contro questa affermazione si può obiettare che si può acconsentire ad un’attività pericolosa senza
per questo volere l’effettiva verificazione dell’evento lesivo. Es. tre giovani salgono sulla motocicletta
di un amico pur consapevoli che la strada sconnessa può provocare una caduta, che poi si verifica.
Così la volontaria assunzione del rischio da parte del titolare del bene varrà certamente a scagionare
l’agente (nei limiti delle lesioni consentite dall’art.5 del codice civile). anche se sono pochi esistono
comunque dei reati colposi posti a tutela di diritti disponibili. D’altra parte non è neanche del tutto
vero che non si possa mai acconsentire ad esporre a pericolo il bene della vita. L’obbligo di non
esporre a rischio la vita altrui trova un limite nel riconoscimento del principio di autodeterminazione
responsabile. Se ad es. un equipaggio di pescatori segue il capogruppo pur consapevole delle
pessime condizioni del tempo, in caso di morte di qualche membro dello stesso, per scagionare il
capobarca dall’imputazione di omicidio colposo basterà accertare, da un lato, che questi aveva
adpttato tutte le misure precauzionali necessarie a ridurre il rischio e, dall’altro, che le vittime erano
in grado di valutare il pericolo, in modo da poterlo accettare in maniera libera e autoresponsabile.
Tradizionalmente, la scriminante del consenso ha esercitato un ruolo per circoscrivere la
responsabilità colposa nei due importanti settori dell’attività medica e dell’attività sportiva. Ma la
dottrina oggi prevalente tende a ridimensionare la funzione scriminante del consenso, rinvenendo il
fondamento della liceità sia dell’attività medica sia dell’attività sportiva nell’art. 51, quali attività
giuridicamente autorizzate.. Al consenso rimane così uno spazio residuale, nel senso che esso o
costituisce soltanto una condizione aggiuntiva della legittimità di un’attività già lecita nel suo
fondamento (consenso del paziente nell’attività terapeutica), ovvero serve a rendere legittime
condotte che fuoriescono dallo schema delle attività autorizzate (certe forme di violenza che
travalicano i limiti della violenza-base insita negli sport giuridicamente autorizzati). 253
254
3. Legittima difesa
L’applicabilità della legittima difesa al reato colposo è contestata da una parte della giurisprudenza:
per giustificare un simile orientamento negativo, si fa leva sul rilievo che la legittima difesa
presuppone la volontà di ledere l'aggressore, mentre nel reato colposo fa difetto proprio la volontà
dell’offesa. Tale assunto non convince: è ben possibile che nell’ambito dell’azione difensiva si possa
provocare anche un evento lesivo non voluto e che l’agente avrebbe potuto evitare con l’uso della
diligenza dovuta. Oltretutto sarebbe davvero strano se l’ordinamento consentisse di ledere
volontariamente l’aggressore (legittima difesa come causa di giustificazione nel delitto doloso) e
punisse invece le conseguenze involontarie di un’azione difensiva (legittima difesa come causa di
giustificazione nel delitto colposo).
Es. Tizio, attorniato da alcuni giovani che stanno per percuoterlo, estrae un’arma e li minaccia: ma i
giovani, anziché fuggire, tentano di disarmarlo per cui, nella colluttazione che ne consegue, parte
involontariamente un colpo che uccide uno degli aggressori. In questo caso non si può parlare di
eccesso colposo punibile ai sensi dell’art. 55, poiché manca la volontà di aggredire. Ma va altresì
escluso che il fatto sia comunque punibile a titolo di omicidio colposo.
4. Stato di necessità
La configurabilità dello stato di necessità nel delitto colposo è generalmente ammessa in dottrina e
giurisprudenza.Es. Un padre alla guida dell’auto vede il figlio pedone in pericolo ed arresta
bruscamente il mezzo, provocando le lesioni di un motociclista che si scontra con il mezzo
imprudentemente abbandonato. La giurisprudenza in casi simili, tratta lo stato di necessità come
causa di esclusione della colpa e non come causa di giustificazione. Perché sussista lo stato di
necessità occorre che l’azione necessitata violi il dovere obiettivo di diligenza (è il caso dell’esempio
del genitore). In altre ipotesi invece, l’azione necessitata viola solo apparentemente il dovere di
diligenza. Ci avviene ad es. nel caso dell’autista dell’autobus che per evitare un incidente freni
bruscamente provocando lesioni ai passeggeri: il comportamento del soggetto, essendo diretto a
tutelare anche il bene della persona che ne risulta offesa, realizza in concreto il migliore
adempimento possibile del dovere generale di prudenza posto a garanzia della sicurezza della
circolazione.
Distinguere tra i due casi è importante: non potrà riconoscersi il diritto all’indennità fissato dall’art
2045 del codice civile (indennità prevista per la vittima di un fatto dannoso compiuto in stato di
necessità) quando il fatto tipico viene a mancare per la conformità del comportamento necessitato
alla regola precauzionale. L’indennità si riconoscerebbe quindi solo al motociclista e non ai
passeggeri dell’autobus. 254
255
SEZ. TRE
Colpevolezza
1. Struttura psicologica della colpa
Anche nel reato colposo la colpevolezza ha la funzione di racchiudere i presupposti dell’imputazione
soggettiva del fatto al soggetto agente. Il concetto di imputabilità e il problema della coscienza
dell'illiceità non presentano, sul terreno della colpa, caratteristiche fondamentalmente diverse da
quelle discusse nell’ambito del delitto colposo: sicché è sufficiente esaminare la struttura psicologica
della colpa, la c.d. misura soggettiva del dovere di diligenza e le cause di esclusione della
colpevolezza. Dal punto di vista psicologico la colpa presume, innanzitutto, l’assenza della volontà
diretta a commettere il fatto: la realizzazione della fattispecie colposa deve essere non voluta.
Si distingue tra:
➔ colpa propria: caratterizzata dalla mancanza di volontà dell’evento, rappresenterebbe
l’ipotesi tipica di colpa.
➔ colpa impropria: costituirebbe un’ipotesi eccezionale, in quanto, a differenza della prima,
riguarda le ipotesi in cui l’evento è voluto e che tuttavia si fanno rientrare nella fattispecie
colposa (es. eccesso colposo nelle cause di giustificazione, erronea supposizione colposa di
una scriminante, errore di fatto determinato da colpa).
↓
A ben vedere, la stessa etichetta di colpa impropria rischia di creare fraintendimenti: essa
suscita l’impressione che si sia di fronte a fatti intrinsecamente dolosi, trattati come se
fossero colposi sul piano delle conseguenze sanzionatorie. In realtà, anche i fatti in questione
sono strutturalmente colposi: nonostante la volizione in senso psicologico dell’evento, il dolo
non è configurabile perchè manca la conoscenza e la volontà dell'intero fatto tipico, stante
l’erronea rappresentazione di elementi non corrispondenti alla realtà. Inoltre, ciò che ri
simprovera all’agente non è di aver voluto l’evento, bensì di averlo provocato con negligenza
o imperizia.
Quanto all’elemento conoscitivo, occorre precisare che non v’è incompatibilità tra colpa e previsione
dell’evento (art. 43 co.3): si parla infatti di colpa cosciente o colpa con previsione rispetto alle ipotesi
nelle quali l’agente non vuole commettere il reato, ma si rappresenta l’evento come possibile
conseguenza della sua condotta ( ).
riguarda differenza dolo eventuale e colpa cosciente
I casi statisticamente più frequenti sono però quelli di colpa incosciente: questa ricorre quando il
soggetto non si rende conto di potere con il proprio comportamento ledere o porre in pericolo beni
giuridici altrui. In questi casi, il rimprovero che si muove al soggetto è di non aver prestato sufficiente
attenzione alla situazione pericolosa. Nonostante si sia soliti considerare la colpa incosciente come
una delle due forme tipiche dell’elemento psicologico del reato colposo, la gran parte dei casi di
colpa inconsapevole difetta di coscienza e volontà come coefficienti psicologici reali: si pensi alle
azioni impulsive o automatiche o a certe ipotesi di omissione dovute a pura dimenticanza.Dunque la
struttura della colpa incosciente finisce col non essere costituita da componenti psicologiche in senso
stretto, il giudizio di imputazione diventa così di natura schiettamente normativa, e