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TEORIE SULLE FUNZIONI DELLA PENA
Le teorie sulle funzioni della pena danno risposta a domande come:
- Che senso ha punire?
- Cosa legittima l’applicazione della pena da parte dello stato?
- Qual’è la giustificazione della pena?
In particolare si affrontano due prospettive:
Retribuzione (Teoria assoluta) → L’inflizione della pena è svincolata da uno scopo ulteriore
❖ rispetto alla punizione in sé e per sé. Pena intesa come giusto prezzo per ripagare il reato:
“Punitur quia peccatum est” (“si punisce perché è stato commesso un reato”); tramite la
sofferenza della pena viene riequilibrata la sofferenza del reato. E’ una teoria che guarda
al passato, e viene vista nella pena il prezzo con cui si rimedia al reato, con cui si ripaga
agli altri e alla società il male causato, con cui si ristabilisce la giustizia; per comprendere
si segue lo schema per cui, se il reato è la negazione del diritto e la pena la negazione del
reato, la negazione della negazione, quindi il pagamento della pena, equivale alla
riaffermazione del diritto. In particolare, a livello storico, si susseguono 3 tipi di forme di
funzione retributiva:
1. Vendetta → Reazione più istintiva e privata al reato, non regolata dallo stato e
quindi gestita in privato, volta ad ottenere soddisfazione da parte della vittima per il
male commesso
2. Legge del taglione → Possibilità di una persona, che ha ricevuto un danno causato
da un’altra persona, di infliggere a quest’ultima un danno uguale, o comunque
equivalente, al danno ricevuto. Si ha qui un’idea della proporzione, quindi
evoluzione rispetto alla vendetta; si trovano formulazioni della legge del taglione nel
codice di Hammurabi (più antica formulazione) e nella Bibbia.
3. Garanzia → Vengono previsti alcuni strumenti di garanzia, come:
■ Applicazione della pena solo in presenza del reato
■ Applicazione della pena solo all'autore del reato
■ Applicazione della pena in entità proporzionale al male subito dall’offeso.
Prevenzione (Teoria relativa o consequenzialista) → Questa teoria muove dall’idea che si
❖ punisce non perché la pena sia giusta in sé, ma perché consente di raggiungere uno
scopo, una finalità, cioè il prevenire la commissione di ulteriori reati; per utilizzare una
citazione di Seneca: “nemo prudens punit quia peccatum est, sed ne peccetur” (nessuna
persona prudente punisce perché un male è stato commesso, ma affinché un male non
venga commesso). Le teorie di prevenzione guardano al futuro, e in particolare a evitare la
commissione di ulteriori reati; questa teoria si divide in:
○ Generale → Obiettivo riguarda la generalità dei consociati: si punisce l’autore del
reato affinché gli altri consociati non commettano reati in futuro. La teoria
general-preventiva si esplica lungo 2 diversi canali:
22 ■ Deterrenza-Intimidazione-Paura → La punizione di Tizio spaventa gli altri e li
blocca dal commettere un reato: lo spettacolo della punizione altrui ingenera
la paura di poter essere puniti in casi simili.
■ Orientamento culturale → La minaccia della pena, sul lungo periodo, può
esplicare un’azione pedagogica che favorisce una adesione spontanea ai
valori espressi dalla legge penale: il consociato orienta il suo comportamento
in base ai valori protetti ed ai disvalori puniti dalla legge penale.
Ad ogni modo, entrambi questi canali, e quindi in generale l’efficacia della
prevenzione generale, sono subordinati ad alcune condizioni:
- Il comportamento richiesto dalla legge deve essere ragionevolmente
esigibile dal cittadino: si deve trattare di un comportamento che rientri nella
sfera dei poteri d’azione e di controllo del cittadino.
- Conoscenza o conoscibilità della legge
- Applicazione certa e pronta della pena → Deve sussistere un nesso di
consequenzialità tra fatto di reato e pena inflitta
La gravità della pena non è un elemento che influisce sull’efficacia
general-preventiva: è sicuramente giusto che ci sia una giusta correlazione tra
gravità del reato ee gravità della pena, ma in realtà capita spesso che una pena
eccessiva ma non certa spaventa sicuramente meno pesante ma certa. Inoltre, una
pena ritenuta eccessivamente severa, può essere percepita come ingiusta e avere
l’effetto opposto, cioè un ulteriore effetto criminogeno. Infine, una pena percepita
come eccessiva e ingiusta, costituisce un ostacolo a qualsiasi opera di
rieducazione nei suoi confronti.
○ Speciale → Obiettivo di prevenzione riguarda il singolo autore del reato, che si
punisce per evitare che possa commettere ulteriori reati. La funzione
special-preventiva opera su 3 livelli, uno successivo all’altro, quindi si passa al
successivo solo in caso di fallimento del precedente:
1. Rieducazione → Unica finalità della pena esclusivamente prevista dalla
costituzione (articolo 27.3): bisogna offrire al condannato delle chances di
reinserimento in società. Rieducazione non significa predicazione di valori,
indottrinamento e rieducazione coatti o correzione morale, ma riacquisizione
delle condizioni basilari che consentono al condannato di tornare nella
società rispettando le leggi. La rieducazione deve essere offerta, e non
imposta, in considerazione della dignità umana (articolo 3 costituzione) e del
divieto di trattamenti contrari al senso di umanità (articolo 27.3 e 3 CEDU).
Purtroppo, non sempre la funzione rieducativa è possibile, poiché servono:
● Disponibilità del condannato alla rieducazione → Riguardo a ciò la
pena deve essere percepita come equa e non come eccessiva
● Offerte di possibilità di studio, lavoro, crescita personale,..., per le
quali sono necessarie risorse economiche che mancano o che
comunque non sono destinate a questi scopi
In relazione a questi punti si nota come l’istituzione carceraria non è
strutturalmente idonea a rieducare i condannati (si limitano la libertà e altri
diritti del condannato al fine di rieducarlo alle stesse libertà), inoltre
23 l’esperienza in carcere è spesso occasione di ulteriori contatti criminogeni.
Infine molto è svolto anche dallo stigma sociale e dal marchio con cui
vengono segnati tutti i carcerati.
Il fallimento della rieducazione però non deve necessariamente coincidere
con una rinuncia a questa finalità, infatti si potrebbe ripensare radicalmente
la pena carceraria in modo da attribuire effettivi ed efficaci contenuti
rieducativi. Scarsa potenzialità rieducativa ha, invece, la pena pecuniaria.
2. Intimidazione/Deterrenza → L’esperienza della pena subita, con il ricordo
delle sofferenze ad essa legata, trattiene il condannato dalla commissione di
ulteriori reati. La pena pecuniaria può svolgere una funzione
special-preventiva solamente attraverso l’intimidazione.
3. Neutralizzazione → Può essere:
a. Totale → Attraverso la pena di morte, che non è legittima nel nostro
paese
b. Tramite incapacitazione → Il soggetto viene reso incapace di
commettere ulteriori reati attraverso il suo isolamento verso l’esterno;
l’incapacitazione è manifestazione, nel nostro ordinamento, di un
particolare istituto del diritto penitenziario: il cosiddetto “carcere duro”
previsto dall’articolo 41 bis della Legge sull’ordinamento penitenziario
(Legge 334/1975).
L’articolo 41 bis è stato introdotto nel 1992, anno dell’uccisione di
Sandro Lima, all’indomani degli attentati a Falcone e Borsellino,
pensata soprattutto per i detenuti per reati di criminalità organizzata,
soprattutto a stampo mafioso. Si caratterizza per la detenzione con un
elevato grado di segregazione in appositi istituti ad elevata sicurezza,
ed una serie di limitazioni alle visite, corrispondenze, telefonate, ore
d’aria, colloqui con gli avvocati, oggetti che possono essere portati in
cella,...
Per l’applicazione di questo istituto è necessario che ricorrano 3
requisiti:
- Detenzione per alcuni specifici reati, come ad esempio i delitti
associativi o connessi con la criminalità organizzata
- Ricorrenza di gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica
- Elementi che facciano ritenere la sussistenza di legami del
detenuto con la criminalità organizzata
Rispondere alla domanda su quale di queste teorie debba essere seguita, e quale segua effettivamente il
nostro ordinamento è particolarmente complesso, e si deve partire da alcune premesse:
● Occorre fornire una risposta dal punto di vista dello stato come collettività organizzata e
non dal punto di vista del singolo cittadino
● La risposta non può essere valida in assoluto, ma va riferita ad un preciso ordinamento
giuridico in una precisa epoca storica: dipende dal sistema costituzionale di riferimento e
dai valori ivi espressi
● E’ difficile individuare un ordinamento che segua unicamente una teoria
24 ● La risposta va declinata sui 3 poteri dello stato che, pur con compiti diversi, partecipano
alla gestione della potestà punitiva:
○ Potere legislativo → Finalità preventiva generale tramite l’individuazione dei singoli
fatti costituenti reato attraverso l’emanazione di legge generale e astratta; tuttavia,
non deve essere preclusa dalle leggi del parlamento la successiva prevenzione
speciale, e dunque non devono essere previste pene sproporzionate ed eccessive
a tal punto da precludere la disposizione alla rieducazione del condannato né
possono consistere nella segregazione a vita, la quale renderebbe a priori
impossibile la prevenzione speciale e la rieducazione. In relazione a ciò, sembra
strutturalmente incompatibile alla rieducazione del detenuto l’ergastolo.
○ Potere giudiziario → Finalità preventiva speciale tramite l’individuazione di una
pena e una quantità di pena idonee. In particolare, il potere giudiziario è chiamato
all’accertamento del reato dando attuazione a tutte le teorie, e alla successiva
inflizione della pena attraverso il procedimento di inflizione giudiziale della pena.
○ Potere esecutivo → Entra in campo durante l’esecuzione della pena, e per svolgere
ciò si avvale di organi del Ministero della giustizia (amministrazione penitenziaria,
cancelleri) e di organi del Ministero dell’Interno (polizia di stato) quindi si occupa
della funzione rieducativa attraverso l’offerta di occasioni che consentano la
riacquisizione dell’ingresso in società e della capacità di rispettare le leggi. In
particolare, il sistema esecutivo dovrebbe ispirarsi a criteri di:
Prevenzione ge