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IL DIRITTO ALLA SALUTE NELLA CEDU

La convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) non riconosce espressamente il diritto alla salute, ma

la Corte EDU ne ha fondato la tutela in via interpretativa sui diritti affermati dalla convenzione stessa.

In particolare i principali diritti che hanno formato la base interpretativa del riconoscimento della tutela della

salute nella CEDU sono: il diritto alla vita (art. 2), il divieto della tortura e di atti inumani e degradanti (art. 3) e

il diritto alla tutela della vita privata e familiare (art. 8).

Dalla giurisprudenza CEDU emerge come, sebbene la Convenzione non contenga una previsione specifica

del diritto alla salute, lo stesso venga garantito attraverso la tecnica della c.d. protezione "par ricochet", una

protezione in altre parole di riflesso delle diverse norme delle Convenzione precedentemente richiamate.

1. I modelli organizzativi sanitari

All’entrata in vigore della Costituzione non è seguita, almeno inizialmente, l’attuazione del diritto alla salute

in senso universalistico. L’eguaglianza dei cittadini nella tutela della salute si afferma, infatti, solo col

riconoscimento dell’universalismo dell’accesso alle cure come principio ispiratore del Servizio Sanitario

Nazionale (L. 23 dicembre 1978, n. 833).

Il modello vigente fino agli anni Sessanta prevedeva piuttosto una tutela assicurativa – previdenziale dei

lavoratori, secondo i principi di cui all’art. 38 Cost. Il carattere “volontaristico-caritatevole” del sistema

sanitario italiano inizia a essere superato solo con l’introduzione della c.d. legge di riforma ospedaliera, che

istituisce gli enti ospedalieri (nota come legge Mariotti, l. 12 febbraio 1968, n. 132), poi con la soppressione

degli enti mutualistici (l. 17 agosto 1974, n. 386 e l. 29 giugno 1977, n. 349). È solo con la legge istitutiva del

Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che si supera il sistema mutualistico con piena attuazione della

Costituzione: la riforma anzi supera il dettato costituzionale, prevedendo che la salute – tutelato dalla

Repubblica come «fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» – sia garantito «a tutta la

popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali» (art. 1, comma 2, l. n. 833 del 1978). La

garanzia del diritto alla salute si afferma perciò in maniera universalistica.

L’obbligo di tutela del diritto alla salute (fisica e psichica) è posto in capo alla Repubblica attraverso tutte le

sue articolazioni (Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni e Stato: art. 114 Cost., co. 1º). La sua

attuazione deve conformarsi al rispetto della dignità e della libertà della persona umana, con ciò

richiamando sia i diritti inviolabili dell’uomo (Art. 2 Cost.), sia il principio di eguaglianza (Art. 3 Cost.).

Questo impegno si traduce nell’obbligo di promuovere politiche sanitarie atte a realizzare l’uguaglianza

sostanziale dei cittadini. Nel corso degli anni, il Servizio Sanitario Nazionale è stato interessato da

importanti riforme attraverso vari provvedimenti normativi. In particolare, il D. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502

di riordino del servizio nazionale, perseguiva anzitutto finalità di contenimento della spesa sanitaria, oltre

che di riduzione del ruolo della politica nella gestione della sanità: configurando le Usl come enti regionali, la

riforma dà avvio al processo che ha visto, per tutto il decennio successivo, la progressiva sottrazione della

gestione ai comuni e l’introduzione delle “aziende” come modello gestionale (c.d. aziendalizzazione),

secondo un processo che giunge a compimento con il successivo D. lgs. 19 giugno 1999, n. 229.

Da segnalare, sin da ora, è inoltre la c. d. riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione (L. cost. 18

ottobre 2001, n. 3), che individua la “tutela della salute” come materia di competenza concorrente Stato-

Regioni (Art. 117, Cost., co. 3º). Di conseguenza, spetta allo Stato stabilire i principi fondamentali della

materia, mentre alle Regioni è demandata la relativa attuazione con norme legislative e regolamentari.

Pur confermando la competenza concorrente (o ripartita) già prevista dall’assetto previgente, la riforma

costituzionale rileva anzitutto per il superamento della locuzione «assistenza sanitaria e ospedaliera», con

individuazione della più ampia nozione di tutela della salute, che di per sé è idonea a ricomprendere.

Contemporaneamente, con la riforma del Titolo V lo Stato attrae alla propria competenza esclusiva la

«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere

garantiti su tutto il territorio nazionale» (Art. 117 Cost., co. 2º lett. m).

VIDEO:

Teoria dell’organizzazione sanitaria riconduce i sistemi sanitari a 3 modelli: modello della assicurazione

volontaria, modello della assicurazione sociale, modello del servizio sanitario nazionale.

Il primo è caratterizzato da adesione volontaria degli individui, i singoli non tenuti ad assicurarsi e

amministrazione non ha obbligo di erogare prestazioni.

Le casse mutue erogano prestazioni direttamente o rimborsano le prestazioni erogate da terzi. Le società

mutialistiche inoltre garantiscono un indennità ai propri iscritti nel caso di perdita anche temporanea del

lavoro. Le prestazioni sanitarie sono gestite prevalentemente dai privati. Il modello di assicurazione sociale

è differente perché L assicurazione è obbligatoria ed è innestata in rapporto di lavoro. La legge obbliga tutti

i lavoratori a contribuire ad una cassa di malattia che finanzia ed eroga direttamente le prestazioni sanitarie

a questi necessarie. Il modello di assicurazion sociale do malattia (DA FINIRE DI ASCOLTARE)

Il diritto alla salute e i livelli essenziali delle prestazioni

Si è detto che in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione (L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) si è

verificata una significativa modifica nel riparto delle competenze legislative Stato-Regioni in materia di

salute.

Originariamente, la competenza legislativa concorrente riguardava esclusivamente l’“assistenza sanitaria e

ospedaliera” (Art. 117 Cost.), secondo una formulazione che la riforma costituzionale ha sostituito con

quella di «tutela della salute» (Art. 117 Cost., co. 3), del pari attribuita alla competenza concorrente Stato-

Regione. L’attuale formulazione è chiaramente più ampia della precedente, consentendo alle Regioni di

legiferare non solo sugli aspetti assistenziali (sanitario e ospedaliero), ma anche su ulteriori aspetti

(dall’organizzazione sanitaria alla disciplina della dirigenza medica, alla sicurezza veterinaria, all'ippoterapia).

Tuttavia, è importante notare che l’ambito dell’assistenza sanitaria e ospedaliera si stava progressivamente

ampliato verso un’unificazione della materia sanitaria già prima della suddetta riforma costituzionale.

In ragione della competenza concorrente, lo Stato elabora la disciplina di principio della materia, mentre alla

Regione è attribuita la competenza per l’adozione della disciplina di dettaglio, con norme legislative e

regolamentari nei limiti definiti dai principi stabiliti dalla legge statale (Art. 117 Cost., co. 6°).

La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto la maggiore ampiezza della materia della tutela della salute

rispetto alla precedente definizione (cfr. Corte cost., 23 giugno 2005, n. 270). La tutela della salute

comprende ad esempio l’organizzazione sanitaria (pertanto oggetto della legislazione di principio adottata

dallo Stato) e l’organizzazione del servizio farmaceutico in quanto preordinato ad assicurare l’accesso dei

cittadini ai prodotti medicinali. Nella competenza statale rientra anche la disciplina autorizzatoria dei

farmaci, da collocarsi tra i principi fondamentali in materia di tutela della salute (cfr. Corte cost., 20 giugno

2013, n. 141).

Occorre evidenziare inoltre che sulla disciplina della tutela della salute incidono una serie di materie c.d.

trasversali – anche definite “materie non materie” o “materie-obiettivo” – ovvero competenze esclusive

statali in grado di giustificare un intervento statale anche in ambiti attribuiti alla competenza concorrente o

residuale regionale, cui vanno a sovrapporsi. Sono tali la competenza esclusiva statale in materia di «livelli

essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio

nazionale» (Art. 117 Cost., co. 2, lett. m) e la tutela dell’ambiente (Art. 117 Cost., co. 2, lett. s).

I livelli essenziali delle prestazioni, individuati dall'art. 117 Cost. tra le materie riservate alla competenza

esclusiva dello Stato, non debbono intendersi come una “materia” in senso stretto. Invece, stabiliscono una

competenza del legislatore statale che si integra con le altre materie, consentendo al legislatore di emanare

le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni

garantite come contenuto “essenziale” di tali diritti. Queste norme definiscono, infatti, standard minimi

ritenuti coessenziali al concetto di unità nazionale, che il legislatore regionale non può limitare o

condizionare (Corte cost. 26 giugno 2002, n. 282).

La competenza statale trasversale in tema di livelli essenziali delle prestazioni giustifica, dunque, una

disciplina statale estesa fino alle norme di dettaglio, sovrapponendosi alla competenza concorrente in

materia di tutela della salute. Quest’ultima limita l’intervento dello Stato alla definizione dei principi che

devono trovare attuazione nella disciplina regionale.

La «tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» legittima, inoltre, l’esercizio

del potere sostitutivo del Governo rispetto agli organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province

e dei Comuni (Art. 120 Cost., co. 2). La scelta di costituzionalizzare la competenza esclusiva statale nella

definizione dei livelli essenziali delle prestazioni intende prevenire un’eccessiva frammentazione territoriale

della garanzia dei diritti.

Nella storia dell’ordinamento giuridico italiano in materia di salute, i livelli essenziali di assistenza (c.d. LEA)

hanno assunto significati diversi nel corso del tempo. Il vincolo stabilito da tali livelli è stato riconosciuto fin

dall’istituzione del SSN (Servizio Sanitario Nazionale), ove si prevedeva che in sede di programmazione

sanitaria nazionale – determinata dalla Stato con il concorso delle Regioni – la legge statale stabilisse «i

livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini» (l. 23 dicembre

1978, n. 833, art. 3).

Pi&ugra

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Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

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