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COMUNI, DALLE PROVINCE, DALLE CITTÀ METROPOLITANE, DALLE REGIONI E DALLO
STATO>> – è <<UNA E INDIVISIBILE>>.
Per una parte della dottrina tale formula è idonea ad impedire un’eventuale trasformazione
dello Stato in senso federale. Si ritiene altresì che, mentre il riferimento all’unità rappresenta
un limite flessibile, dalle diverse applicazioni e va interpretato nel senso che esso impedisce
la rottura dell’unità politica dello Stato, quello all’indivisibilità, consistente nel divieto di
dividere la Repubblica in più Stati indipendenti ovvero di operare la secessione di parte del
suo territorio, si sostanzia invece in un limite assoluto, non superabile neppure da parte del
legislatore costituzionale.
– In secondo luogo, la Repubblica <<riconosce e promuove le autonomie locali>>. Con tale
affermazione la Costituzione abbandona la precedente visione dell’ente locale come ente
autarchico, per inaugurare una stagione nella quale gli enti territoriali, in quanto autonomi,
divengono titolari di un proprio indirizzo politico e amministrativovolto alla soddisfazione
degli interessi della comunità di riferimento.
– In terzo luogo, la Costituzione richiama la nozione di decentramento amministrativo,
fenomeno che consiste nella dislocazione dei poteri tra soggetti e organi diversi, da attuarsi
nei servizi che dipendono dallo Stato. Significa che la macchina amministrativa statale deve
essere organizzata nel rispetto di tale criterio generale, il quale si sostanzia tradizionalmente
in due sottocriteri distinti, entrambi contemplati nell’art. 5: si parla infatti di decentramento
burocratico quando si trasferiscono competenze dagli organi centrali agli organi periferici
dello Stato, al fine di rendere più accessibili i servizi per gli utenti; al contrario, si parla
di decentramento autarchico quando la competenza viene trasferita ad un ente periferico
diverso dallo Stato. Il decentramento burocratico dovrebbe implicare la responsabilità
esclusiva degli organi nelle materie loro trasferite e l’assenza di un rapporto di rigida
subordinazione con il centro.
– Nella parte finale dell’art. 5, inoltre, il Costituente si rivolge al legislatore imponendogli
l’adeguamento alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Il principio
autonomistico e il decentramento amministrativo sono stati pensati dal Costituente come
due processi paralleli. La loro attuazione, tuttavia, ha seguito in Italia percorsi e tempi assai
diversi. Infine, al principio autonomistico si collega strettamente quello di sussidiarietà,
inteso ora nella sua dimensione verticale, anche in questo caso dopo la riforma costituzionale
del 2001 il richiamo è stato inserito esplicitamente nell’art. 118, 1° comma, laddove si
stabilisce che queste ultime <<sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne
l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla
base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza>>.
6) Il principio di solidarietà
Il principio di solidarietà trova il suo fondamento nell’art. 2 Cost., nella parte in cui prevede,
in perfetta simmetria con il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e del principio
personalista, che la REPUBBLICA <<richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale>>. L’esplicito richiamo a tale principio giustifica la
previsione di un vasto numero di doveri fissati dalla Costituzione, il cui soddisfacimento può
comportare talora la conseguente compressione di alcuni diritti individuali. Occorre
segnalare, inoltre, che la solidarietà non conosce soltanto la dimensione degli obblighi
giuridicamente imposti ma si estende anche a quella dei comportamenti volontari. La
solidarietà, infine, viene solitamente distinta in “fraterna” e “paterna”:
– nella prima accezione essa opera su un piano orizzontale, nei rapporti tra i cittadini, anche
con riguardo alle diverse generazioni;
– nella seconda opera invece su un piano verticale, quale funzione attiva dello Stato, che si
sostanzia nella previsione di specifici obblighi ed è volta a rimuovere gli ostacoli che di fatto
limitano la libertà e l’eguaglianza tra cittadini, in attuazione anche del principio di
eguaglianza sostanziale.
7) Il principio di eguaglianza
Con il principio d’eguaglianza si afferma il riconoscimento a tutti gli uomini delle stesse
libertà e la pari soggezione degli stessi ad un’unica legge. Tuttavia, soltanto
nel Novecento si è affermata pienamente l’idea che il principio d’eguaglianza possa vincolare
anche i pubblici poteri e comportare un divieto di discriminazione idoneo a condizionare il
contenuto della legge. Prima di allora, come ben si evince dall’art. 24 dello Statuto albertino,
le enunciazioni solenni del principio convivevano con la previsione della possibilità per il
legislatore di derogare allo stesso. Poi, grazie alla trasformazione degli ordinamenti
democratici e all’avvento dello stato sociale, alla accezione classica di eguaglianza, così
detta formale, se ne è affiancata un’altra, così detta sostanziale, volta a porre rimedio alle
disuguaglianze di fatto e a impegnare lo Stato nella protezione dei soggetti più deboli.
Storicamente il valore dell’eguaglianza si è posto in antitesi a quello della libertà, atteso che
il massimo di libertà corrisponde alla massima diversità tra individui, così come il massimo
grado di eguaglianza può determinare la compressione delle libertà individuali.
Negli ordinamenti moderni i due valori sono posti in equilibrio, ciò che nella Costituzione
italiana si realizza negli artt. 2 e 3.
7.1) Il principio di eguaglianza come EGUAGLIANZA FORMALE
La Costituzione italiana, all'art. 3, accoglie il principio d'eguaglianza tanto nella sua
accezione formale che sostanziale. Per quanto attiene all'eguaglianza formale, essa è
contemplata al 1° comma, laddove si prevede che <<tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge, distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali>>. L'eguaglianza formale è stata intesa
quale <<norma di chiusura dell'ordinamento>>.
Malgrado l'art. 3 si riferisca espressamente ai soli cittadini, è pacifico che il principio
d'eguaglianza formale, sotto il profilo soggettivo, si rivolga ad ogni individuo, sia
esso cittadino o straniero. Il principio d'eguaglianza opera nei confronti del legislatore e
della pubblica amministrazione.
Secondo la visione liberale tradizionale, l'eguaglianza davanti alla legge comporta che
queste ultime devono essere generali e astratte, risultando di conseguenza precluse, almeno
in linea di massima, le LEGGI AD PERSONAM, le LEGGI SPECIALI o ECCEZIONALI, e
ammettendosi soltanto le differenziazioni fondate su elementi oggettivi e mai su elementi
soggettivi.
Il 1° comma dell'art. 2 richiama anche il concetto di pari dignità sociale. La genesi e il
significato di tale formula sono dubbi e diverse sono state le letture offerte dalla dottrina, che
la interpreta ora come un’anticipazione dell'eguaglianza sostanziale, ora come una
ripetizione del divieto di discriminazioni basate sulle condizioni personali o sociali, e
comunque sovente negandone una precisa consistenza giuridica, ma al più attribuendo alla
stessa una valenza morale.
Alcuni autori, peraltro, accordano alla pari dignità sociale il ruolo di “cerniera” tra il 1° e il 2°
comma dell’art. 3, ovvero la considerano il fondamento stesso del principio d'eguaglianza.
Sempre al 1° comma dell'art. 3 sono indicate una serie di discriminazioni tipiche vietate
dalla Costituzione, il così detto “nucleo forte” del principio d'eguaglianza, ovvero una serie
di qualità che il legislatore è tenuto a non considerare come eventuali presupposti
giustificativi per operare scelte legislative differenziate.
Si tratta di un elenco non tassativo, essendo pacificamente ritenuta possibile l'affermazione
di altri criteri di distinzione; d'altra parte, è altrettanto pacifico che non tutti i
caratteri indicati in tale catalogo comportano il medesimo grado di rigidità nel valutare le
eventuali discriminazioni.
All'art. 3 1° comma, si collegano poi numerose altre previsioni costituzionali che ne
rappresentano dei corollari: si pensi, all'art. 8, ove si afferma l'eguale libertà delle
confessioni religiose, all'art. 29, sull'uguaglianza morale e giuridica fra i coniugi, all'art. 48,
sull'eguaglianza del voto, all'art. 51, sulla parità nell'accesso ai pubblici uffici, all'art. 111,
sulla parità delle parti nel processo.
7.2) Il sindacato sull'EGUAGLIANZA e sulla RAGIONEVOLEZZA delle leggi
Il principio di eguaglianza viene utilizzato assai spesso dalla Corte costituzionale al fine di
sindacare la legittimità delle leggi. Le forme di controllo che si sono sviluppate
nella giurisprudenza sono principalmente due.
Ï La prima tende a verificare l'esistenza di disparità di trattamento presenti nelle scelte
legislative e si svolge con uno schema a carattere ternario
Ï La seconda forma di controllo è il così detto giudizio di ragionevolezza.
Svolgendo tale tipo di sindacato, la Corte costituzionale accerta
la legittimità delle disposizioni impugnate alla luce di parametri diversi, quali quello della
sua razionalità e congruità, della sua intrinseca coerenza e compatibilità con il sistema
normativo, ovvero valutando la stessa nell'ambito di un bilanciamento tra i diversi principi
costituzionali coinvolti.
Quando la Corte costituzionale svolge un controllo di ragionevolezza sulle scelte
del legislatore, il suo sindacato diviene così penetrante da risultare prossimo al confine, che
la Consulta non può tuttavia travalicare, tra sindacato di legittimità e sindacato sulla
discrezionalità legislativa, ovvero sull'esercizio del potere legislativo.
7.3) Il PRINCIPIO D'EGUAGLIANZA come EGUAGLIANZA SOSTANZIALE
Al 2° comma dell'art. 3 si accoglie invece il principio d'eguaglianza inteso in
senso sostanziale. Non si tratta di una norma di natura esclusivamente programmatica, ma
di un principio giuridico che esprime l'obiettivo dell'ordinamento statale di garantire ad ogni
individuo le condizioni materiali, culturali e sociali sufficienti a condurre una vita libera e
dignitosa e a poter esercitare i diritti che la stessa Costituzione