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Principio di supremazia del diritto dell'Unione Europea
Principio affermato per la prima volta nella Sent. Del 1964, Costa v. Enel: "La validità e l'efficacia del diritto dell'unione non possono essere condizionati dalla legge (nel senso di fonte del diritto) nazionale. I giudici nazionali hanno l'obbligo di assicurare l'efficacia del diritto disapplicando le fonti nazionali di qualsiasi livello e forza giuridica che sia in contrasto con il diritto UE."
La disapplicazione non comporta l'annullamento della fonte interna, la quale potrà essere ancora applicata.
Dottrina della supremazia:
- Sviluppatasi nel 1978 dalla Sent. Simmenthal dove si è precisato che il principio del primato vale sia con il riguardo al diritto nazionale previgente, sia con il diritto nazionale successivo alla norma UE che assume rilievo. Esso preclude l'adozione di norme UE successive all'entrata in vigore del diritto dell'UE che siano in conflitto.
- In caso di conflitto il giudice è obbligato alla
disapplicazione indipendentemente dalla circostanza se il diritto nazionale sia precedente o successivo alla regola del diritto EU. La corte ha aggiunto che anche se nell'ordinamento di uno stato membro è prevista una corte costituzionale competente a giudicare della costituzionalità della l.. il giudice comune deve dare applicazione al diritto europeo e disapplicare la norma interna incompatibile senza aspettare per una corte della C. Cost.
Giurisprudenza: Il principio Del primato dell'unione europea e il conseguente obbligo di d'applicazione della norma nazionale incompatibile riguardano non solo i giudici nazionali ma anche le P.A.
Si è introdotta un'innovazione circa il ruolo dei giudici ordinari, cui viene affidato il compito di applicare direttamente il diritto europeo anche a costo di disapplicare le norme nazionali.
Sistema accentrato di controllo: Il controllo di costituzionalità è un sistema accentrato di controllo,
La verifica di compatibilità tra normativa europea e normativa nazionale ha dato il via ad un controllo diffuso, affidato a ciascun giudice che spetta applicare il principio di supremazia e quello dell'effetto diretto disapplicando la norma nazionale incompatibile con quella dell'Unione dotata di effetto diretto. La garanzia di uniformità dell'interpretazione è un compito riservato alla Corte di giustizia.
Diritto Costituzionale 2
- Il giudizio in via incidentale
- Ordinanza di rimessione
- Vizi di legittimità costituzionale
- Oggetto del giudizio
- Parametro del giudizio
- Decisioni della Corte
- Il giudizio in via principale (o d'azione)
Il giudizio in via incidentale rappresenta il procedimento quantitativamente prevalente e, in questo senso soltanto, ordinariamente seguito della Corte costituzionale nello svolgimento del controllo sugli atti legislativi. In questo giudizio vi è un "introduttore necessario".
Cioè un giudice che, nel corso di un processo (di qualunque tipo, civile, penale, amministrativo, e così via) che si stia svolgendo innanzi a lui – e che viene detto procedimento principale –, solleva d'ufficio o su istanza di parte davanti alla Corte costituzionale la questione sulla legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, e che per questo è chiamato dalla dottrina giudice a quo, cioè dal quale è sollevata tale questione mediante un'apposita ordinanza, detta ordinanza di rimessione (cfr. art. 1 l. cost. 1/1948).
Il giudice non può rimettere alla Corte la decisione sulla costituzionalità di una legge qualsiasi, ma soltanto se si rispettano due condizioni che diventano quindi requisiti di ammissibilità del giudizio di costituzionalità: che il giudice stesso stia per applicare quella legge nell'ambito del suo processo (requisito della rilevanza) e che egli abbia
almeno un dubbio sulla legittimità costituzionale di quella legge, ossia ritenga – fornendo sufficiente motivazione – che la questione di costituzionalità non sia manifestamente infondata (requisito della non manifesta infondatezza). Contemporaneamente, proprio perché il giudice ha sollevato la questione in via incidentale, in attesa della decisione della Corte, lo stesso giudice deve disporre la sospensione del suo processo, giacché la conclusione di questo sarà necessariamente condizionata dalla soluzione che la Corte costituzionale darà circa il dubbio di costituzionalità. 2. Ordinanza di rimessione L’ordinanza di rimessione può essere adottata dal giudice d’ufficio, cioè su sua propria iniziativa, oppure su istanza presentata da una delle parti del processo principale o dal pubblico ministero (cfr. art. 1 l. cost. 1/1948 e art. 23 l. 87/1953). Va aggiunto che anche la Corte costituzionale, in quanto giudice,Può sollevare davanti a se stessa questioni di legittimità costituzionale, quando essa si trova ad applicare norme di dubbia costituzionalità all'interno dei suoi propri giudizi (cfr. Corte cost. 22/1960). Invece, non essendo titolare di funzioni giurisdizionali, il pubblico ministero ha soltanto la facoltà di presentare al giudice l'istanza volta a fare sollevare la questione di legittimità, ma non dispone del potere di rimettere direttamente la questione alla Corte (cfr. art. 23, comma 1 e 3, l. 87/1953).
Nell'ordinanza di rimessione il giudice deve indicare i termini ed i motivi della questione, ossia gli elementi che concorrono a determinare il thema decidendum che il giudice offre alla Corte. In particolare, mentre i motivi riguardano la sussistenza dei requisiti di ammissibilità voluti dalla legge (la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione), i termini sono costituiti dall'oggetto e dal parametro.
L'oggetto è rappresentato dalladisposizione o dalle disposizioni della legge o dell'atto avente forza di leggedello Stato o delle Regioni (o ancora delle Province autonome di Trento eBolzano), sulla quale o sulle quali, a parere del giudice, è prospettabile undubbio di legittimità costituzionale. Il parametro risulta dalle disposizioni dellaCostituzione o di leggi di rango costituzionale che, sempre a parere del giudice,si presumono violate dalle predette disposizioni legislative (art. 23, comma 1 e2 l. cit.).
Vizi di legittimità costituzionaleI vizi di legittimità costituzionale sono comunemente distinti in vizi formali evizi sostanziali, a seconda che la violazione (o la non conformità) riguardi leregole costituzionali relative al procedimento di formazione e l'esternazionedell'atto legislativo, ovvero quelle che impongono un determinato contenutonormativo alla legge. Tra i vizi della legge, poi, deve farsi cenno al
cosiddetto eccesso di potere legislativo, vizio elaborato traendo esempio dalla giurisprudenza amministrativa e dal vizio di eccesso di potere, configurato per valutare la correttezza dell'esercizio della discrezionalità nell'adozione dei provvedimenti amministrativi, o meglio lo sviamento o la deviazione dell'atto dal fine di interesse pubblico cui tale atto è per legge destinato. La legge impone alla Corte di escludere dal suo sindacato di legittimità costituzionale "ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento" (cfr. art. 28 l. 87/1953); con ciò si intende che la Corte non può mai sostituire la propria valutazione politica - ed in tal senso "di merito" - a quella già compiuta dal legislatore. Va sottolineato che, per espressa previsione legislativa, la Corte è chiamata a pronunciarsi soltanto rispetto all'oggetto ed al parametro.così come sono definiti dal giudice a quo: si deve infatti rispettare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ovvero, come dice la legge, si può decidere soltanto "nei limiti dell'impugnazione" (art. 27 l. cit.). Ma, se la Corte non può andare al di là dei confini testuali dell'oggetto e del parametro indicati dal giudice a quo, non si deve parimenti negare alla Corte autonomia interpretativa circa le disposizioni – sia legislative, che costituzionali – che le sono sottoposte. Tuttavia, per ridurre divergenze interpretative che possono dare luogo a conflitti di non facile soluzione, in ordine all'oggetto del suo giudizio la Corte tende frequentemente a privilegiare il diritto vivente (per lo meno là dove questo sia rintracciabile), vale a dire quella più diffusa interpretazione della legge che è stata già elaborata dagli organi deputati all'applicazione di quest'ultima,
in specie da quelli giurisdizionali. Ancora, e stavolta utilizzando una deroga consentita dalla legge al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Corte può giudicare su "altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata" (art. 27, ult. cpv., l. cit.). A questa modalità di intervento della Corte, che viene definita in dottrina come illegittimità costituzionale consequenziale, si ricorre quando, nella stessa o in altra legge, si ritrovano disposizioni che riproducono il medesimo contenuto normativo della disposizione dichiarata illegittima o che sono collegate da un nesso di strumentalità o funzionalità con la norma incostituzionale, oppure ancora quando dalla dichiarazione di illegittimità consegua che la presenza di altre disposizioni legislative non sia più costituzionalmente giustificata.
4. Oggetto del giudizio
Il giudizio di costituzionalità tende a
Concentrarsi sulle norme desumibili in via interpretativa dalle disposizioni legislative, norme che, tra l'altro, possono anche rivestire il ruolo di principi e quindi distanziarsi ancor di più dalle disposizioni scritte. Ciò determina l'emergere di pronunce della Corte costituzionale con le quali vengono annullate solo talune norme desumibili dalla disposizione legislativa, cosicché questa continua a far parte del testo della legge vigente.
Parametro del giudizio: Esso è formalmente costituito dalle disposizioni, e dai principi da questi ricavabili, posti dalla Costituzione e dalle leggi di rango costituzionale, cui si aggiungono le norme interposte, cioè quelle norme di rango legislativo che, per espressa previsione costituzionale, integrano il parametro di costituzionalità relativo ad altre fonti legislative (come, ad esempio, nel caso delle leggi adottate dalle Regioni nell'esercizio della potestà legislativa).