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UN'IPOTESI INTERPRETATIVA IN TEMA DI PROCESSO ESECUTIVO ROMANO
1. Processo pubblico/privato e processo penale/civile
Nell'ordinamento giuridico romano non è teorizzata la distinzione moderna tra processo penale e civile, bensì, a Roma, la distinzione esiste tra processo pubblico e processo privato, per due ragioni:
- Perché civilis assume solo in epoca tarda un significato antitetico a criminalis;
- Perché nel mondo romano le pene sono distinte in pubbliche e private:
Pubbliche: inflitte a pubblica richiesta, cioè per iniziativa del magistrato o per azione popolare ed il profitto va allo Stato;
Private: inflitte su richiesta dell'interessato e il profitto è destinato a quest'ultimo, al cittadino o all'accusatore.
L'espressione "processo privato" si attribuisce al processo romano di età arcaica fino a quella classica, per l'importanza che l'attività delle parti assume.
Rispetto a quella del magistrato giudicante, che si limita a dirigere le parti nell'impostazione della controversia e a garantire l'esatta formulazione delle loro pretese. La decisione, invece, è rimessa ad un iudex privato, scelto o quantomeno accettato dalle parti.
Quindi, il processo privato romano appare come l'attività svolta dalle parti di un rapporto giuridico privato di natura controversiale, ove una affermi la violazione del proprio diritto per raggiungere, con il concorso di organi terzi, una dichiarazione sull'esistenza o meno della violazione e la conseguente sanzione.
L'attuale concezione dei rapporti giuridici permette di descrivere gli stessi nel loro stato di godimento e attuazione e di attribuire all'applicazione della sanzione una portata sussidiaria.
Gli istituti giuridici romani, invece, hanno origine dal mezzo di difesa concesso a chi si trovava in determinate situazioni e non dai rapporti di diritto materiale considerati.
in sé medesimi.
- Nelle XII tavole sono descritte relazioni di diritto materiale che nascono dal fatto o dall'atto giuridico e i mezzi di difesa contro i trasgressori sono trattati in connessione ad esse;
- L'editto pretorio, invece, è fonte di mezzi giudiziari disposti per proteggere i rapporti già riconosciuti dallo ius civile o considerati di mero fatto: i mezzi procedurali sono preordinati rispetto alle norme primarie da essi difese.
Solo in seguito ad una lenta evoluzione della coscienza sociale quelle situazioni di mero fatto assumono, attraverso i mezzi giurisdizionali, l'aspetto di atti e rapporti giuridici e conseguenti sanzioni.
2. Lo stato della dottrina romanistica
Il sistema procedurale romano è stato oggetto di trattazioni generali della dottrina tra la fine dell'800 e gli inizi del '900. Gli studi hanno evidenziato in numerosi aspetti il carattere privatistico di alcuni tipi di processi relativi a controversie fra privati,
Rendendo così chiara l'espressione iudicium privatum ed introducendo nella scienza del diritto il concetto di processo romano. Ma sono anche giunti a mettere in luce schemi processuali a cui i romani davano la qualifica di pubblici. L'osservazione di una duplicità di tipi e strutture è stata però frammentaria, ciò in quanto è mancata una visione d'insieme, che fosse capace di valutare con un criterio comune i molteplici sistemi processuali in vigore a Roma. La profonda difformità esistente poi fra il diritto classico ed il diritto Giustinianeo ha reso difficile la conoscenza dei modi processuali di difesa. Inoltre, se è vero che per il processo classico le Istituzioni Gaiane hanno rappresentato una fonte di conoscenza rilevante, va rivelato che il manuale Gaiano ha rafforzato l'impressione dell'esistenza di un rito e di una prassi consolidati, al punto da trasformare riflessioni prima manualistiche in canone.
processuale, come codice della procedura formulare. Da ciò è conseguita una visione sistematica delle fasi processualiche, in qualche modo, permette di adottare prospettive di comparazione in tema di processo esecutivo. In tale ottica, ho avuto modo recentemente di interessarmi proprio al processo esecutivo romano quale archetipo della procedura esecutiva moderna. Da tali riflessioni nasce il presente lavoro, volto ad una mediata analisi del concetto di esecuzione nel processo privato romano, che consente di analizzare il ruolo fino ad ora non sufficientemente rilevato dell'autorità pubblica.3. I caratteri del processo privato romano: una nuova prospettiva di studio del processo esecutivo
Il presente lavoro, pertanto, parte dall'esigenza di una valutazione unitaria che metta in luce le conseguenze della discriminazione dei processi privati dai pubblici e indaghi, di conseguenza, sulla reale funzione della fase esecutiva del processo romano. In via preliminareva ricordato che la distinzione tra iudicia privata e iudicia publica, regolati in modo distintto dalle leggi processuali emanate da Augusto nel 17 a.C., non si limitò al potere di iniziativa, ma riguardò la natura e la composizione dell'organo giudicante nonché il tipo di potere conferito alle parti e agli organi pubblici. Il carattere negoziale della litis contestatio, intesa come accordo delle parti, mette in luce la natura privatistica del processo formulare, cui si aggiunge il fatto che il giudice era un privato. Fuori dal sistema delle leges Iuliae, va detto che nel processo per legis actiones la qualifica di processo privato scaturisce dalla sua diretta derivazione dalle antiche forme di autodifesa, la quale si rifletteva nell'assoluta prevalenza dell'attività delle parti su quella del magistrato. Tale qualifica deriva, poi, dall'esigenza della collaborazione del convenuto e dalla natura privata dell'organo giudicante. Roma, fino a circala metà del IV secolo a.C., conobbe un processo lasciato ai privati e senza intervento di organi del potere politico, le cui prime manifestazioni si concretizzarono nella predisposizione di rigorosi e formalischemi procedurali (la manus iniectio e l'agere sacramento), entro i quali doveva incanalarsi l'agere dei privati ritualizzato, cioè l'attività auto-satisfattiva dei privati. Un processo che si svolgeva secondo regole il cui rispetto era assicurato dal controllo sociale, dalla partecipazione 'corale' della comunità, nonché dal fattore religioso, ma senza l'intervento magistratuale. La iurisdictio magistratuale o altra forma di intervento 'statuale', pertanto, non è elemento funzionale estrutturale indefettibile del processo privato. La dottrina dominante parla soltanto di collaborazione del creditore, nel processo esecutivo, ma in realtà la situazione mi appare diversa: già in origine.La manus iniectio, al pari della vindicatio, consiste in un atto privato e violento con cui si afferma una potestà assoluta su di una persona. Tale atto violento degrada, nella forma della legis actio, da violenza effettiva a cerimonia che deve attuarsi dinanzi il magistrato, il quale con l'addictio del iudicatus si limita a legittimare l'impossessamento della persona del debitore.
La struttura delle più antiche forme di lege agere, nonostante l'assenza di una carica magistratuale giudicante, tuttavia, è presentata da Gaio come implicante la presenza di un magistrato. Ma qui è la funzione che genera l'esigenza della creazione di un organo. E non il contrario. In una con il controllo sociale proteso a svolgere le funzioni del giudice e del magistrato, si passerebbe ad un sistema di giudizi privati, in cui ancora senza alcun intervento formale della civitas, le parti, in modo del tutto privato, risolvono le controversie insorte per poi
innestarsi il ruolo del magistrato nell'ultima fase.Il processo romano classico fu caratterizzato da un forte elemento volontaristico.La comunità, pertanto, all'interno della quale viene applicato un qualsiasi sistema di soluzione delle controversie, presenta elementi rilevanti di organizzazione, sia pur funzionale. Tale sistema di soluzione delle controversie, quindi, è avvertito in quel contesto sociale e politico come idoneo a risolvere un conflitto privato senza l'uso della forza fisica e nel rispetto della pace sociale, indispensabile prerequisito perché il gruppo stesso esista come comunità stabile. In sostanza, il riconoscimento sociale suggella, sulla base del senso comune, la giuridicità de facto del sistema processuale. Considerare, invece, il processo stesso come pre-requisito per l'acquisizione di un ordine giuridico da parte di una collettività, significa non valutare come una società strutturata e fondata
sul consenso attorno a vincoli pregnanti sia già, di fatto, ordinata, sia già collettività strutturata. I sistemi di composizione dei conflitti interni hanno peraltro efficacia solo perché una comunità organizzata preesiste ad essi e il ricorso a tali sistemi è solo eventuale e non caratterizzante. Lo stesso Pugliese, sia pure con prudenza, non considerava affatto l'intervento degli organi pubblici ed i controlli da essi eseguiti come indispensabili per qualificare come processuale il sistema delle legis actiones: egli osservava come nella stessa manus iniectio il procedimento incanalato nelle forme e nei riti prescritti (dal costume, prima, dalle XII Tavole, poi), pur prevedendo il controllo del re o del magistrato, non poteva prescindere dal controllo della comunità. La formula che identifica Stato e processo, dunque, non sembra assoluta e non credo possa essere intesa in senso restrittivo, come sostiene chi considera possibile parlare di.processo si verifica solo quando lo Stato, come apparato pubblico in senso moderno, sovrintende alle modalità di soluzione delle controversie. Secondo tale orientamento dottrinario, prima dell'intervento degli organi della comunità, potrebbe essere individuata solo una forma di composizione delle controversie in autotutela dei diritti. Si avrebbe, pertanto, processo solo quando lo Stato sovrintenda alla modalità di difesa dei diritti ed alla soluzione delle relative controversie. Diversamente ritengo possibile che vi sia processo ogni volta che la comunità intervenga ad impedire che la controversia sfoci in una soluzione violenta, che negherebbe l'essenza stessa della comunità. Quindi, l'osservanza delle formalità anche processuali è imposta da un mero controllo sociale e i modelli di risoluzione delle controversie fra privati possono prescindere dall'essere determinati autoritativamente dagli organi della comunità politica.
sintesi di tutto ciò e dell'equilibrio sottile tra pubblico e privato è nel passo gaiano mittite ambohominem: lo Stato interviene nelle controversie bloccando le stesse sul filo dello scontro fisico. Si pone come