maniera illegittima, ossia non può impedire o ostacolare l’attività sindacale in sé. La
condotta antisindacale non si esaurisce nella violazione dei diritti sindacali tipici
(quelli espressamente previsti da leggi o contratti collettivi), ma include anche
comportamenti atipici, purché lesivi dell’interesse sindacale. È quindi sufficiente
che il comportamento del datore pregiudichi l’azione sindacale, anche se non viola
formalmente una norma specifica. La giurisprudenza conferma l’ampiezza di
questa nozione, considerando condotta antisindacale:
la violazione delle clausole dei contratti collettivi nei servizi pubblici essenziali
(art. 7, comma 1, legge n. 146/1990),
il mancato rispetto dell’obbligo di informazione e consultazione sindacale in
caso di trasferimento d’azienda (art. 47, legge n. 428/1990).
Un aspetto molto rilevante è che l’interesse tutelato dall’art. 28 è
esclusivamente quello del sindacato. Il sindacato non è sostituto processuale
del lavoratore: non agisce in sua vece, ma per la tutela di un interesse collettivo e
autonomo. Può quindi accadere che:
un comportamento del datore, legittimo nei confronti del singolo lavoratore, sia
comunque lesivo dell’interesse sindacale, e quindi antisindacale;
oppure che un inadempimento verso il lavoratore non configuri una condotta
antisindacale, se non pregiudica anche l’azione sindacale.
Quando però lo stesso comportamento viola sia il contratto individuale che
l’interesse collettivo, si parla di condotta plurioffensiva. In tal caso:
il sindacato può agire ex art. 28,
il lavoratore può agire in giudizio per la propria tutela individuale.
Questo doppio binario è ben disciplinato nella prassi giudiziaria, dove la tutela
collettiva e quella individuale possono coesistere, ma rimangono distinte per
legittimazione, contenuti e finalità.
L’ELEMENTO SOGGETTIVO
Per molto tempo ci si è chiesti se fosse necessario, per configurare una condotta antisindacale, che il
datore di lavoro agisse con l’intenzione di ledere l’interesse sindacale. Tuttavia, la giurisprudenza
della Cassazione, in particolare le Sezioni Unite con la sentenza n. 5295 del 1997, ha chiarito che
non è necessario provare l’intento doloso: è sufficiente che la condotta abbia un’oggettiva
direzione antisindacale. Una lettura più corretta, però, distingue due tipi di condotte:
1. Quelle che violano diritti sindacali tipici, previsti da norme di legge o da contratti
collettivi: in questi casi non è necessario provare né il dolo né la colpa del datore.
2. I comportamenti che sono in sé leciti o riferiti a diritti del singolo lavoratore, ma che
possono assumere valenza antisindacale solo se dimostrata una finalità antisindacale
concreta: in questi casi, il sindacato deve provare il dolo o la colpa del datore, secondo i
principi della responsabilità aquiliana (cioè extracontrattuale).
32. IL PROCEDIMENTO DI REPRESSIONE DELLA CONDOTTA
ANTISINDACALE
LA LEGITTIMAZIONE ATTIVA: GLI ORGANISMI LOCALI DELLE
ASSOCIAZIONI SINDACALI NAZIONALI INTERESSATE
La legittimazione attiva per avviare il procedimento di repressione della condotta antisindacale è
riservata esclusivamente ai sindacati nazionali, come previsto dall’art. 28 dello Statuto dei
lavoratori. Non tutti i sindacati possono quindi ricorrere a questa tutela speciale, ma solo quelli
nazionali, ovvero quelli che presentano una certa stabilità, rappresentatività e struttura
organizzativa. La scelta del legislatore di limitare la legittimazione ai sindacati nazionali trova
giustificazione nella necessità di affidare uno strumento di tutela così incisivo a soggetti che offrano
garanzie di responsabilità e solidità. Questa esigenza è stata confermata dalla Corte
Costituzionale (sent. n. 54/1974, n. 334/1988 e n. 89/1995), che ha ribadito la ragionevolezza di
tale scelta legislativa, anche a fronte delle inevitabili implicazioni ideologiche e politiche. È
importante però sottolineare che non è il sindacato nazionale in sé ad agire direttamente, ma i
suoi organismi locali che abbiano un interesse nel luogo dove si è verificata la condotta
antisindacale. Il legislatore, infatti, richiede espressamente che ad agire in giudizio siano strutture
sindacali periferiche, a livello territoriale, con esclusione delle rappresentanze sindacali
aziendali. Tale scelta ha una logica ben precisa: questi organismi locali, pur essendo esterni
all’azienda, sono sufficientemente vicini al contesto territoriale per poter percepire
tempestivamente le condotte antisindacali e, allo stesso tempo, abbastanza distaccati da poterle
valutare in maniera obiettiva. In questo modo si garantisce sia la conoscenza dei fatti, sia la
neutralità del giudizio. Infine, l’interesse tutelato resta sempre quello del sindacato nazionale
complessivamente inteso, di cui l’organismo locale è parte integrante e legittimata a ricorrere.
LA LEGITTIMAZIONE PASSIVA: IL DATORE DI LAVORO
Il soggetto passivo del procedimento ex art. 28 è identificato nel datore di lavoro, esplicitamente
previsto dalla norma. Questo perché il datore può essere destinatario di un ordine giudiziario, il cui
inadempimento configura anche un reato specifico. La normativa si applica a tutti i datori di
lavoro, indipendentemente dalla dimensione dell’organico o dalla natura imprenditoriale
dell’attività. Le associazioni di datori di lavoro non hanno legittimazione passiva, ma possono
essere coinvolte nel giudizio solo in concorso con il datore di lavoro.
IL PROCEDIMENTO
Il procedimento si apre con una fase sommaria davanti al giudice del lavoro del luogo in cui si è
verificata la condotta denunciata. Il giudice non può decidere inaudita altera parte, ma deve
convocare le parti, garantendo il contraddittorio in tempi molto brevi: entro due giorni, termine che
può essere leggermente esteso in casi eccezionali. La natura sommaria di questa fase implica che
l’istruttoria sui fatti non è approfondita, ma avviene tramite “sommarie informazioni”. Questa
scelta procedurale è giustificata dall’esigenza di tutela immediata dell’interesse sindacale,
considerato per definizione meritevole di protezione. Per questo motivo, non è richiesto il
periculum in mora, tipico invece dei procedimenti cautelari. La decisione viene presa con
“decreto motivato ed immediatamente esecutivo”. Se accoglie la domanda del sindacato, il
datore di lavoro deve subito conformarsi all’ordine del giudice, anche se presenta opposizione. La
parte soccombente (sia il sindacato che il datore) può proporre opposizione entro 15 giorni dalla
comunicazione del decreto. La competenza era inizialmente del giudice di secondo grado, ma dopo
una riforma (legge n. 847/1977), è stata attribuita allo stesso giudice della fase sommaria, purché
non sia la stessa persona fisica, per rispettare il principio del “diverso grado del processo”. Se non
viene proposta opposizione o se l’opposizione si estingue, il decreto diventa definitivo. Nel
giudizio di opposizione, non può essere modificata la condotta denunciata nella fase sommaria,
salvo casi di continuazione o collegamento. Questo giudizio segue il rito del lavoro e si conclude
con una sentenza immediatamente esecutiva, impugnabile con normale appello. Infine, se la
condotta antisindacale è plurioffensiva, l’azione sindacale e quella individuale del lavoratore
restano autonome e possono condurre a risultati diversi, poiché basate su presupposti differenti.
33. L’ORDINE GIUDIZIALE E LA SANZIONE PER
L’INOTTEMPERANZA
IL CONTENUTO DELL’ORDINE DI REPRESSIONE DELLA CONDOTTA
ANTISINDACALE
Quando il giudice accerta una condotta antisindacale, sia con il decreto conclusivo della fase
sommaria sia con la sentenza che decide sull’opposizione, può emettere un ordine nei confronti del
datore di lavoro. Questo ordine ha un contenuto tipico: impone da un lato la cessazione del
comportamento antisindacale, e dall’altro la rimozione degli effetti eventualmente prodotti da
quella condotta. Si tratta quindi di una tutela che ha natura inibitoria, in quanto blocca la
prosecuzione della condotta illecita, ma anche ripristinatoria, perché mira a eliminare le
conseguenze dannose già verificatesi. Il legislatore ha scelto questo tipo di tutela proprio perché ha
ritenuto che l’interesse del sindacato necessiti di una protezione preventiva: cioè, una protezione
che intervenga prima che il danno si compia completamente, dal momento che una riparazione
economica successiva non sarebbe ritenuta sufficiente o adeguata. La condotta antisindacale può
consistere tanto in un’omissione, quanto in un comportamento attivo. Ad esempio, nel primo caso
rientrano situazioni come la mancata concessione dei permessi sindacali, la mancata informazione o
la mancata messa a disposizione della bacheca sindacale. Nel secondo caso, invece, il
comportamento può consistere nell’impedire la propaganda sindacale, ostacolare lo sciopero
oppure sostenere attivamente un sindacato compiacente a scapito degli altri. Perché il giudice
possa emettere l’ordine, non è necessario che la lesione dell’interesse sindacale si sia già verificata:
è sufficiente che il datore abbia posto in essere un comportamento che è diretto a quella lesione.
Se la condotta ha già prodotto effetti lesivi, deve essere ordinata anche la rimozione di questi
effetti, così da ristabilire la situazione precedente all’illecito. Infine, non è richiesta un’immediata
reazione alla condotta antisindacale da parte del sindacato, ma è comunque necessario che la
condotta sia ancora attuale o che permangano i suoi effetti: altrimenti mancherebbe l’interesse ad
agire, o peggio si rischierebbe di emettere un ordine per il futuro, che sarebbe inammissibile.
LA SANZIONE PENALE PER L’INOTTEMPERANZA ALL’ORDINE DEL
GIUDICE
L’ordine del giudice volto a reprimere una condotta antisindacale ha efficacia immediata, sia che
venga emesso nella fase sommaria, sia che sia contenuto nella sentenza che decide sull’opposizione.
Quando questo ordine impone al datore di lavoro di fare qualcosa o di dare qualcosa (quindi
prestazioni fungibili), è possibile l’esecuzione forzata civile. Tuttavia, se l’ordine è di non fare o di
astenersi da certi comportamenti (quindi obblighi infungibili), non è prevista una tecnica esecutiva
specifica, poiché l’ordinamento tutela la libertà del debitore da coercizioni dirette in tali casi. Per
rendere comunque efficace la tutela dell’interesse sindaca
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Repressione condotta antisindacale
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Repressione della condotta antisindacale
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Diritto internazionale - prevenzione e repressione del genocidio
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Riassunto esame Storia della giustizia e del processo penale, prof. Storti, libro consigliato Il diritto del duce. …