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Questione della lingua e della formazione di una lingua nazionale degli intellettuali  Pag. 1
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Estratto del documento

Si tratta di una lingua basata sul toscano ma aperta ad apporti diversi, poiché il toscano e si

tenuto in considerazione ma non è ritenuto sufficiente, Castiglione fa infatti riferimento a un

gruppo sociale determinato, “quello delle corti“ che era il solo ed unico in grado ad imporre una

lingua parlata allo stesso tempo colta elevata e funzionale.

Un altro importante esponente della “teoria cortigiana” e Mario Equicola (1470-1525), che nella

lingua della corte papale avrà il suo modello d’elezione: la lingua “cortesia romana”, “la quale DE

TUCTI BONI VOCABULI DE ITALIA è PIENA“

Infine parliamo di Trissino (1478-1550), fautore di un modello più che cortigiano, “italiano“.

A differenza di Castiglione Elia in mente unicamente la lingua letteraria.

Sostiene l’ipotesi di una lingua mista alla quale contribuiscano forme provenienti da “tutte le

lingue d’Italia”, dunque di una “ Lingua illustre“.

La tesi centrale di Trissino era volta a negare la fiorentinità della lingua delle tre corone, essa si

basa fondamentalmente sulla riscoperta e sull’uso del trattato dantesco; l’equivoco stava nel fatto

che Trissino era convinto che la commedia (Dante), fosse una coerente applicazione delle idee

dell’autore, e perciò non fosse stata scritta in fiorentino, bensì in “italiano”.

Come stato notato dagli studiosi questa ignoranza di Trissino era tutta gli è spiegabile: egli non

sapeva che i poeti siciliani che Dante aveva letto, erano stati già “toscanizzare”.

La lingua cortigiana, in sostanza è una teoria che riconosce il valore degli altri volgari, però

esclusivamente dei volgari parlati nelle corti, di un modello di tipo aristocratico, prodotto esclusivo

dell’intelletto.

La risposta della teoria di Trissino chiaramente secondo dava come anzi Toscana.

Il modello del fiorentino parlato parte è un modello che parte dal presupposto della naturale

bellezza: i suoi maggiori sostenitori sono:

-Claudio Tolomei (1492-1556) ;-Niccolò Machiavelli (1469-1527) il quale nel “discorso intorno alla

nostra lingua“ ***sostiene che la lingua della commedia è una lingua genuinamente fiorentina e

che il fiorentino del 500 e la continuazione di quella del 300.

IL MODELLO DEL FIORENTINO PARLATO

L’opera di MACHIAVELLI (CITATA SOPRA)*** fu la risposta polemica a Trissino, in quest’opera se

vivace infatti l’autore giustifica la superiorità del fiorentino dicendo che sia dotato di “un’intrinseca

e quasi fatale predisposizione ad essere lo strumento ideale dell’espressione letteraria“.

L’autore quindi pone al centro della sua teoria la distinzione tra scritto e parlato, egli mette in

rilievo l’importanza del parlato, anche di quello “popolare“.

Dobbiamo ricordare Claudio Tolomei che richiamava a un modello più generico “toscano” e nome

al fiorentino; ed in tal proposito merita una menzione il “naturalismo linguistico” di Benedetto

Varchi (1503-1565), nel suo Hercolano (1570).

In questo scritto, dall’ampio respiro teorico linguistico si tenta una arrivato rivalutazione del

parlato in generale, e del parlato fiorentino inteso nella sua variante più colta (ben distinto dal

fiorentino del “popolazione“).

Viene sostenuta la possibilità di un reciproco scambio tra lingua parlata e scritta associando l’uso

naturale del fiorentino alla lingua letteraria trecentesca. (Bembo)

Il modello che prevale è proprio quello di quest’ultima, ossia che ispira una concezione

aristocratica, per cui viene nettamente sancita la distinzione-contrapposizione tra la lingua

letteraria dei dotti e dei colti, e la lingua dell’uso, parlata dagli strati meno colti e in continua

evoluzione.

La recente invenzione della stampa da subito notorietà e diffusione lei teoria del Bembo cosicché

il fiorentino letterario diventa la lingua di studi di riferimento di quasi tutti i letterati italiani.

Le opere degli scrittori più importanti sono addirittura sottoposta una revisione in senso

BEMBESCO , come accade all’Orlando furioso (Ludovico Ariosto 1474-1533).

Quest’ultimo rifiuta il dialetto poiché consente immediatamente di caratterizzare i personaggi di

ceto “basso“.

L’italiano quindi è solo parlato dalle persone colte, il parlato invece è in pratica interamente

dialettale, in tutta Italia.

In questo modo la forbice si allarga:-da una parte abbiamo l’italiano letterario, che vive

dell’imitazione di scrittori vissuti due secoli prima , quasi fosse una lingua morta;

-Dall’altra abbiamo i dialetti che vengono parlati quotidianamente, e di conseguenza si rinnovano

di continuo.

CONCLUSIONI

Nel XVI secolo certamente è stata essenziale un dibattito sull’identità dell’italiano, sulla norma e

normazione, che è stata anche il riflesso dell’antica questione: dell’unificazione nazionale, della

storia dell’Italia.

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alexandera di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università telematica Guglielmo Marconi di Roma o del prof Brook Paloma.