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Hobbes della dottrina penalistica riporta un po’ all’epoca delle

popolazioni barbariche, presso i barbari il diritto consisteva sulla

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legge del più forte e in campo penalistico vediamo che uno dei

sistemi più in uso era la vendetta, la faida. Ancora oggi esiste

questo concetto di vendetta per punire un male ricevuto,

soprattutto in ambito mafioso. Presso i giusnaturalisti, i precursori

degli illuministi moderni, la dottrina è interpretata come pena

razionale perché sono razionali le pene utili, mettendo in primo

piano il principio utilitaristico. La pena di morte non è utile, Hobbes

non fa dei discorsi religiosi, ma non è utile perché ha un grosso

impatto immediato ma poi finisce tutto lì, la detenzione ha effetti

maggiori sulla società perché si prolunga nel tempo mentre il morto

non soffre più. Nelle popolazioni germaniche la vendetta era

mors tua vita mea

istintiva – – e immediata, il diritto consisteva

nella forza. Più le società diventano complesse, più bisogna

regolamentarle altrimenti nasce il caos. Nella penalistica di Hobbes

la vendetta è una delle pene per eccellenza e si poteva addirittura

far arrivare all’uccisione di colui che ha offeso, ma Hobbes tende a

mettere in risalto la sua razionalità perché serve al bene futuro

De

dello stato civile. Questi concetti li esprime nelle sue opere, nel

Cive , in cui elenca le varie leggi di natura e la sesta legge riguarda

appunto la vendetta. La pena, che in questo caso si identifica con la

vendetta, serve per correggere il reo e per il bene futuro. Questo

concetto ritorna anche nell’elenco delle leggi di natura del

Leviatano , ma qual è la razionalità della vendetta? È

l’autoconservazione. Il sovrano la applica nello stato sociale civile

per la sua autoconservazione.

Hobbes è anche uno di coloro che fonda il positivismo politico, ossia

le leggi positive dello Stato. Secondo Hobbes la legge è ciò che

rispecchia la volontà sovrana ed è un antesignano di quel principio

nulla poena sine lege, che introduce l’irretroattività della pena. Le

caratteristiche della penalistica di Hobbes si identificano in tre

principi: l’utilitarismo, il formalismo e il legalismo, è reato solo ciò

che è contemplato dalla legge. Nello stato civile può essere

considerato un crimine solo ciò che vìola un comando sovrano e

secondo la visione di Hobbes tutti i reati sono peccati – la legge

cristiana prevede che non si debba nuocere agli altri – ma non tutti i

peccati sono crimini; Hobbes lo specifica perché nelle lotte di

religione si condannavano molto i crimini religiosi e questo punto di

vista è un primo passo verso la laicizzazione del diritto: il diritto

dello Stato deve essere separato da quella che è la morale religiosa.

Qual è lo scopo della pena e la sua definizione? La pena, secondo

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Hobbes, deve essere un male inflitto dalla pubblica autorità a chi ha

disobbedito alla legge, che rispecchia la volontà sovrana. Qual è lo

scopo della pena? Quello di fare da deterrente e correttivo: si inizia

ad introdurre il concetto che la pena deve essere anche correttiva e

non solo un sistema per estromettere dalla società chi può

disturbare l’ordine sociale, lo scopo della pena è quello di spingere

gli uomini all’obbedienza. La pena aveva scopi correttivi e

deterrenti, ma qual è la conseguenza? Se non si può comminare

una pena senza una legge che la prescrive, si introduce il principio

di irretroattività della pena. Nella visione di Hobbes la buona pena è

quella che corregge e intimidisce per poter fungere da deterrente.

In quale quantità può essere comminata una pena? Per Hobbes può

essere già predeterminata dalla legge o può essere arbitraria,

purché procuri al reo un male maggiore rispetto al vantaggio che il

reo aveva conseguito in violazione della norma. La teoria di Hobbes

è la prima teoria politica dell’assolutismo e ha gli elementi delle

monarchie assolute perché la legge è un comando del sovrano

(imperativismo, prima caratteristica) e va eseguito; ha anche la

caratteristica del formalismo: i reati penali (crimini) sono i

comportamenti vietati dalla legge e puniti dall’autorità; la terza

caratteristica dello Stato assoluto è la secolarizzazione del diritto

penale, cioè il diritto penale non ha più nulla a che fare con la sfera

della morale religiosa, ma deve svilupparsi secondo il criterio

dell’utilità e della conservazione del sovrano.

Hobbes introduce alcuni concetti che si sviluppano nel ‘700.

L’esperienza giuridica del ‘700 si chiarisce esaminando alcune

lex interpretatio.

tematiche, tra cui il rapporto tra e Il ‘700 è il

secolo degli stati assoluti e dell’apice dell’assolutismo prima della

rivoluzione francese; caratteristico è l’accentramento dei poteri

nelle mani del sovrano – assoluto – e il sovrano non è ancora

completamente sovrano di tutto il territorio perché permangono

organizzazioni particolaristiche, ossia feudi e Comuni. La legge è

identificata con il diritto positivo, però la legislazione si era sempre

sviluppata con l’interpretazione e nel Medioevo era l’elemento

principale che aveva dato origine a nuovi istituti. Nel ‘700 la legge

si identifica con l’intervento legislativo del sovrano, però non

esistevano solo come fonti solo le norme regie, esisteva ancora il

diritto comune e altre fonti come il Corpus Iuris Civilis, le

consuetudini locali e la legislazione statutaria. Le fonti erano

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innumerevoli ed è vero che la legislazione regia copre ambiti e

settori, contraendo l’influenza di queste fonti, ma se all’inizio le

norme del Corpus venivano interpretate dai dottori, nel ‘700 la

legge era interpretata dai Supremi Tribunali. La sentenza emessa

dal Supremo Tribunale diventava vincolante poi per le fattispecie

simili che si presentavano successivamente, nasce quindi il

precedente vincolante per tutti gli altri Tribunali. L’interpretazione,

se il giudice non trova una legge o una norma simile da applicare al

caso concreto, andava ai giuristi ossia a coloro che avevano

studiato; nel ‘700 l’interpretazione è considerata sussidiaria alla

legge per analogia o secondo i principi generali del diritto. I grandi

tribunali in genere si oppongono all’accentramento del potere

perché diminuiscono la loro autonomia e il loro ruolo, tendono

quindi ad allargare il campo dell’interpretazione a spese della legge.

Questa è un’osservazione non molto condivisibile, perché bisogna

pensare che i grandi tribunali erano composti da giudici nominati

dal sovrano e sono a lui fedeli; è anche già capitato in Prussia che il

sovrano, visto che i giudici interpretavano andandogli contro,

rimanda indietro la sentenza e li sostituisce. I giudici, in realtà,

assecondano l’accentramento e da questa dinamica si sviluppano

varie vicende nel XVIII secolo: si sviluppano correnti e movimenti

per la certezza del diritto, perché a forza di interpretazioni delle

leggi alla fine non si riconosce più la norma da applicare. È lo stesso

sovrano che decide di intervenire riordinando le leggi vigenti: si

ricordano gli interventi in Francia con D’Aguesseau, il Muratori

invoca degli interventi per togliere il potere interpretativo ai giudici.

Si sviluppano anche varie teorie in campo della dottrina, come

quella sviluppata da Leibniz: non ci sono casi dubbi o non decisi

dalla legge, la legge deve prevedere tutti i casi. Si sviluppa la

dottrina per cui i magistrati devono applicare meccanicamente la

legge e non interpretarla, portando quindi alla codificazione perché

con i codici i magistrati non dovevano più scartabellare, ma aprire il

codice e trovare la norma da applicare al caso concreto. Voltaire e

altri filosofi/giuristi vogliono sviluppare ex novo il diritto e il suo

riordinamento, ma sono coloro che aprono davvero la via alla

lex interpretatio

codificazione. Il conflitto tra ed può essere rimosso

solo con la subordinazione dell’una all’altra. In Europa prevale la

legge, arrivando quindi alla codificazione perché i magistrati sono

vincolati alle norme contenute nei codici; in Inghilterra prevale

l’interpretatio degli organi giurisprudenziali perché tutto il diritto

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inglese deriva dalla giurisprudenza dei Supremi Tribunali, come è

ancora oggi. Qual è la situazione nei vari Stati?

FRANCIA. agli inizi del XVIII secolo è un grande Stato continentale;

ha già una giurisdizione e amministrazione piuttosto accentrata, ma

manca l’unitarietà del diritto; nel ‘700 è ancora divisa in due: al

nord ci sono i Paesi di diritto consuetudinario e al sud i Paesi di

diritto scritto perché influenzati dal diritto comune e romano. Si

erano fatti molti tentativi di unificazione del diritto, ma c’erano

state anche molte resistenze da parte dei territori consuetudinari. I

primi tentativi di codificazione vengono fatti dai sovrani prima della

rivoluzione francese, ma falliscono. C’è un accentramento del

potere nel sovrano, ma ci sono forze collaterali e centrifughe che

combattono contro questo accentramento, ma tutto l’elemento

univoco è lo sviluppo di una forte borghesia francese che non si

ritrova più nelle istituzioni e dottrine vigenti. Il diritto vigente è del

diritto comune scritto e consuetudinario. Questa dicotomia provoca

un sistema giuridico complicato dove molto spesso si trovano

norme in conflitto: le consuetudini spesso si contrappongono alle

norme di diritto canonico, che a loro volta confliggono con il diritto

feudale, portando confusione sia sotto il profilo dei soggetti dei

diritti sia sotto il profilo dei contenuti e, in aggiunta, anche per la

giurisdizione della tutela dei diritti. Ci sono coloro che seguono il

diritto comune scritto e ci sono quelli per cui il diritto comune è dato

dalla consuetudine, con una normativa diversa. Ci sono soggetti di

religione cattolica e soggetti di altre religioni, ma appartenere ad

una religione piuttosto che all’altra condiziona il regime familiare,

successorio e civile. Ci sono soggetti nobili e soggetti non nobili, che

hanno norme e diritti diversi. Tutte queste contraddizioni si

riscontrano anche in campo penale ed è per questo che nella

seconda metà del ‘600 si cerca di razionalizzare il diritto penale e

Ordonnances Criminelle;

vengo

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A.A. 2022-2023
7 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher silvia.nieddu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto contemporaneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Casana Paola.