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Infine, i fattori legati al compito, e in genere alla situazione sperimentale, sono stati particolarmente
studiati da Orne (1962) in diverse situazioni sperimentali; tuttavia, essi costituiscono un problema più
generale. “Si può tranquillamente affermare che in psicologia ogni situazione sperimentale crea delle
aspettative nel soggetto, che tende a rispondere sulla base delle aspettative, più che del compito
propostogli dallo sperimentatore.
Un caso ben noto, che va sempre tenuto sotto controllo nella sperimentazione farmacologica (e non solo
nella sperimentazione di psicofarmaci o di analgesici, come i medici tendono frequentemente a credere) è
quello dell’effetto placebo. Ogni farmaco genera delle aspettative nel soggetto a cui viene somministrato.
Se mi si dà una pillola, e mi si dice che si tratta di un sonnifero, questa comunicazione mi indurrà
un’aspettativa di sonno, e di fatto io potrò dormire più a lungo di quanto non farei, dopo avere assunto la
pillola, se non sapessi che si tratta di un sonnifero.
Per tenere l’effetto placebo sotto controllo, sarà allora opportuno utilizzare un gruppo placebo, a cui viene
somministrata una sostanza inerte (per esempio, una compressa d’amido), a fianco a quello sperimentale,
a cui è stato somministrato il farmaco, e a quello di controllo a cui non viene somministrato nulla.
Evidentemente, i soggetti del gruppo sperimentale e del gruppo placebo non devono sapere a quale
gruppo appartengono, o, in altri termini, cosa conteneva la sostanza che hanno assunto.
L’esperimento viene detto per questo motivo cieco.
Peraltro, per evitare che le aspettative dello sperimentatore possano trasmettersi anche
inconsapevolmente ai soggetti, di solito anche chi somministra le compresse ignora la natura di ciò che
somministra. L’esperimento viene detto in tal caso doppio cieco.
Ora, l’esistenza dell’effetto placebo viene allora dimostrata se c’è una differenza significativa tra i risultati
del gruppo placebo e quelli del gruppo di controllo; ma, più importante, solo se c’è una differenza
significativa tra i risultati del gruppo placebo e quelli del gruppo sperimentale possiamo concludere per
l’efficacia del farmaco.
Al di là dell’effetto placebo, sono comunque molti gli artefatti che la natura della situazione sperimentale
può generare.
Per esempio, il soggetto può essere portato ad escludere che il compito richieda delle risposte di natura
troppo semplice.
Se si chiede, per esempio, a un soggetto come si chiama il fiore dell’ibisco, ben difficilmente risponderà
(correttamente) «ibisco», perché la domanda gli apparirà troppo facile.
Wason ha sfruttato questo effetto nell’esperimento della serie di numeri, a cui abbiamo fatto riferimento
parlando del metodo clinico.
Il soggetto scartava la soluzione evidente (serie di numeri in ordine crescente), e cercava le più astruse
regole che potessero sovrintendere alla costruzione della serie.
Ma Orne ha dimostrato che il mancato controllo di questo effetto di «richiesta implicita» del compito può
portare a fraintendimenti gravi dei risultati che si ottengono.
Solo per fare un esempio, in una serie di esperimenti (tanto famosi, quanto deontologicamente dubbi),
Milgram (1963) dimostrò che i suoi soggetti, studenti universitari, se convinti di non essere soggetti, ma
aiutanti dello sperimentatore, si mostravano in larga misura allegramente disposti a somministrare ad un
altro soggetto (in verità, questa volta complice dello sperimentatore) scariche di corrente elettrica assai
dolorose (che evidentemente il complice simulava soltanto di ricevere), per dimostrare l’influenza delle
punizioni in un compito di apprendimento.
L’interpretazione che Milgram dava di questo fatto allarmante era in termini di «obbedienza»: i soggetti, se
legittimati da una qualche istanza sentita come di ordine superiore (in questo caso, i fini scientifici, a cui
tutto può sacrificarsi; in altri casi, la difesa della razza, o della propria «civiltà», ecc), sono capaci di
autogiustificarsi per le nefandezze che possono compiere. Ma in realtà, come dimostrava Orne, la
situazione di laboratorio ha implicito il fatto che in essa nessuno corre seriamente un pericolo reale. Tant’è
vero che, aumentando il «realismo» della scena (con un buon attore, con urla e convulsioni ben simulate),
è difficile che i soggetti giungano a risposte estreme.
1. Introduzione EMOZIONI
“Emozione” e “motivazione” sono termini che nell’uso corrente si associano ad immagini di movimento e di
attività, riferendosi ad una pluralità di fenomeni che, non sempre, possono essere ricondotti alla sfera
dell’emozione o a quella della motivazione.
Considerando in senso stretto la radice dei termini, si potrebbe ascrivere all’emozione principalmente ciò
che si traduce in un «muovere fuori» e alla motivazione soprattutto ciò che si traduce in un «muovere verso»,
evidenziando nel primo caso il carattere di emergenza e nel secondo la funzione di direzione.
Quando si fa riferimento alle emozioni, quali la rabbia, la paura, la sorpresa, il disgusto, si intendono
“fenomeni che, in presenza di determinati eventi o situazioni, insorgono dall’interno e coinvolgono la
persona pervasivamente e intensamente al di là della sua consapevolezza e della sua intenzionalità.
La persona emozionata è attraversata da «fremiti» che ne alterano l’aspetto, la voce, la condotta.
Il carattere di emergenza è efficacemente veicolato da espressioni che si riferiscono alle varie reazioni ed
esperienze emotive, facendo ricorso a verbi come trasalire, assalire, travolgere.
Nel caso della motivazione, invece, si può notare come tale concetto sia connesso a bisogni, fini, strategie,
nel complesso ad un insieme di fenomeni che si trovano in una posizione intermedia e hanno una funzione
di raccordo e di regolazione nei rapporti tra la persona e l’ambiente.
La persona motivata è portatrice di un bisogno da soddisfare, è orientata al perseguimento di un fine, è
impegnata nello sviluppo e nel dispiegamento di una strategia.
Qui la funzione di direzione è efficacemente veicolata dall’intrecciarsi, e a volte dal sovrapporsi, della nozione
di motivazione con quelle di intenzionalità, responsabilità, causalità.
Sarebbe tuttavia riduttivo attenerci ad una lettura dei due fenomeni esclusivamente in base a tali distinzioni
che in larga misura si appoggiano ad apparenze di superficie, arisonanze del senso comune e a ciò che può
venire suggerito dalla riflessione sulla propria esperienza. In particolare, sarebbe riduttivo tracciare linee di
demarcazione che possano finire col confinare i fenomeni emotivi nella sfera dell’incontrollabile e quelli
motivazionali nella sfera dell’intenzionale.
I due fenomeni, in realtà, sono soprattutto distinguibili in rapporto al rilievo che ad essi è stato riconosciuto
dai diversi indirizzi di pensiero e di ricerca.”
Oggi, con riferimento all’emozione e alla motivazione, non è possibile fornire una teoria esaustiva e
generalmente condivisa di che cosa esse siano e di quali siano i loro rapporti; tale desiderio di conoscenza
può essere soddisfatto procedendo, soprattutto, attraverso la riflessione sull’eredità del passato e il
confronto tra diverse ipotesi e direzioni di ricerca.
2. Tradizioni di pensiero e livelli di analisi
Dall’antichità greca sino al XIX secolo, la storia della riflessione sistematica sui processi mentali, tra cui anche
quelli connessi all’emozione e alla motivazione, ha seguito le vicende caratterizzanti lo sviluppo della
riflessione sulla natura umana, “da un pensiero fondato sulla rivelazione e sulla speculazione attorno a
essenze e principi universali a un pensiero fondato sull’esame sistematico della realtà e sulla scoperta di
regolarità nell’ambito dei fenomeni naturali”.
La psicologia che si conosce è quella che si è espressa nella cultura occidentale e che trova le proprie radici
nel pensiero greco, che si è andata sviluppando in maniera autonoma rispetto alla riflessione filosofica nel
1600 e nel 1700 e che diviene una disciplina scientifica soltanto alla fine dell’Ottocento.
Ciò non esclude l’esistenza di altre psicologie derivanti da matrici culturali diverse e con differenti itinerari,
delle quali, tuttavia, non si sa praticamente nulla.
La storia di cui si ha conoscenza riguarda la riflessione sistematica sulla natura umana che si è andata sempre
più avvicinando a una concezione dell’uomo come parte della natura e, di conseguenza, oggetto di indagine
scientifica.
In questo percorso si sono alternati principalmente due grandi indirizzi di pensiero: l’empirismo e il
razionalismo, i quali, in maniera differente, si occupano dei principali aspetti della speculazione filosofica,
della ricerca scientifica, dell’organizzazione politica e sociale.
Invero, più che essere semplici scuole di pensiero, si tratta, in una visione più estensiva, di tradizioni culturali
che implicano vere e proprie opzioni esistenziali, nella misura in cui abbracciano tutti i principali interrogativi
che l’uomo si pone su se stesso e sul mondo a lui circostante.
“Da Democrito, Platone e Aristotele, attraverso le diverse mediazioni della cultura romana e della scolastica
cristiana, sino ai grandi sistemi filosofici di Leibniz, Cartesio, Locke, Hume, Kant, Hegel, la diversa
considerazione delle proprietà della ragione e della funzione dell’esperienza ha fornito le coordinate lungo
cui articolare i problemi cruciali dell’accadere psichico: la sua genesi, la sua organizzazione, i suoi limiti”.
Dunque, in sostanza, tutti gli interrogativi che la moderna ricerca psicologica si pone trovano, in qualche
modo, un’anticipazione o una premessa nelle intuizioni e nelle speculazioni dei grandi maestri del pensiero
del passato.
“È tuttavia difficile stabilire quanto di tali intuizioni e speculazioni sia da considerarsi un’eredità sulla quale
capitalizzare o piuttosto un’ipoteca dalla quale emanciparsi.
Apparentemente, temi che oggi appartengono all’indagine scientifica sulle emozioni e sulle motivazioni, in
vario modo e a più riprese, sono stati oggetto dell’attenzione di medici, filosofi e religiosi al crocevia dei
rapporti tra mente e corpo da un lato e dei rapporti tra filosofia e disciplina morale dall’altro”.
Oggetto di discussione potrebbe essere il corretto uso che si può fare delle speculazioni dei classici, in ordine
alle passioni e agli istinti, rispetto alle risposte che oggi si attendono dalla ricerca scientifica in o