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CAP 30: LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI NELLA PRIMA INFANZIA
1.
I primi cambiamenti evolutivi nelle emozioni sono la risultante della comunicazione delle emozioni
durante le interazioni coordinate con il caregiver, con il quale si stabilisce un legame emotivo. Grazie
a questa coordinazione, tali interazioni sono descritte come reciproche o sincroniche.
Occorre operare una distinzione tra:
• emozioni primarie;
• emozioni secondarie.
Le emozioni primarie (chiamate anche fondamentali) si trovano negli umani e negli altri animali;
includono la sorpresa, l’interesse, la gioia, la rabbia, la tristezza, la paura e il disgusto. Sono presenti
nei primi 6 mesi di vita.
Le emozioni secondarie o sociali (chiamate anche complesse), si trovano solo negli esseri umani. Dal
momento che richiedono cognizione e soprattutto consapevolezza alcuni autori le definiscono
autoconsapevoli o autocoscienti. Includono empatia, gelosia e imbarazzo, che appaiono per la prima
volta a circa un anno e mezzo (a seguito dell’emergere della consapevolezza di sé e dell’altro).
Orgoglio, vergogna e senso di colpa invece appaiono attorno ai due anni e mezzo. Nello sviluppo di
questo secondo gruppo di emozioni autoconsapevoli (definite come emozioni autoconsapevoli
valutative), i bambini acquisiscono, e sono in grado di utilizzare, modelli e norme sociali per valutare
il loro comportamento.
Il pianto è il meccanismo più importante che i neonati hanno a disposizione per comunicare col
mondo. Anche in relazione al pianto è necessario fare una distinzione tra:
• Pianto di base;
• Pianto di rabbia;
• Pianto di dolore.
Il pianto di base ha un modello ritmico che generalmente consiste in un pianto, seguito da un silenzio
più breve, poi un fischio più corto che ha una tonalità più alta del pianto principale, e un’altra breve
pausa prima del pianto successivo. Alcuni studiosi del comportamento infantile pensano che la fame
sia una delle condizioni atte a stimolare il pianto di base.
Il pianto di rabbia è una variazione del pianto di base in cui viene spinta una maggiore quantità di
aria attraverso le corde vocali. Il pianto di dolore si connota da un'improvvisa iniziale lungo pianto
sonoro seguito dal trattenimento del respiro, senza la presenza di un lamento preliminare. Il pianto
di dolore è provocato da stimoli molto intensi.
Sorridere è un altro importante mezzo che i bambini hanno a disposizione per comunicare le
emozioni. Anche in questo caso è necessario fare alcune distinzioni tra differenti tipi di sorriso,
ovvero tra:
1. Sorriso endogeno o riflesso;
2. Sorriso esogeno;
3. Sorriso sociale.
Il sorriso endogeno o riflesso indica un tipo di sorriso che non avviene in risposta a stimoli esterni e
appare durante il primo mese di vita, generalmente durante il sonno. Si tratta delle prime forme di
sorriso manifestate dal bambino che possono comparire e trovare espressione sin dal primo giorno
di vita.
Il sorriso esogeno è, invece, un tipo di sorriso prodotto da sveglio in risposta a stimoli visivi o acustici,
soprattutto il volto e la voce dei genitori che, gratificati, iniziano a trattare il bambino come attivo
partner sociale. Gli stimoli in grado di produrlo sono ancora indifferenziati. Quando si parla di sorriso
sociale si sta ad indicare un sorriso che si verifica come risposta specifica alle persone familiari con
le quali si instaura uno scambio reciproco. Non appare fino all’età di 2 o 3 mesi.
Una delle prime emozioni del bambino è la paura. La forma più comune della paura di un infante è
la cosiddetta paura dell’estraneo, per effetto della quale il bambino mostra paura e diffidenza verso
gli sconosciuti. La prima volta appare attorno ai 6 mesi sotto forma di reazioni di diffidenza.
A 9 mesi tale paura è spesso più intensa, e continua ad aumentare fino al primo anno del bambino.
Abbastanza presto compare anche l’ansia o protesta da separazione. Essa consistente nel pianto o
in altri segni di sofferenza all’allontanamento del caregiver. Normalmente compare durante la
seconda metà del primo anno di vita e si manifesta prevalentemente verso i 14-20 mesi e
gradualmente decresce durante l’infanzia e il periodo prescolare.
2. Lo sviluppo delle emozioni nella seconda infanzia
Le emozioni autoconsapevoli richiedono che i bambini siano in grado di rivolgersi a sé stessi e di
avere consapevolezza di sé come esseri distinti dagli altri. L’orgoglio viene espresso quando i
bambini provano un sentimento di gioia in seguito all’esito positivo di un’azione particolare. La
vergogna emerge quando i bambini percepiscono che non hanno raggiunto dei comportamenti
standard o degli obiettivi. Il senso di colpa emerge quando i bambini giudicano il loro
comportamento un fallimento.
Tra i 2 e i 4 anni, i bambini aumentano il numero di termini che utilizzano per descrivere le emozioni
anche se la verbalizzazione delle emozioni ha le sue radici evolutive nel periodo preverbale. Quando
hanno 4 o 5 anni, i bambini mostrano un incremento nella capacità di riflettere sulle emozioni. Le
emozioni giocano un forte ruolo sul successo delle relazioni tra pari.
Lo sviluppo delle emozioni nell’età scolare e nell’adolescenza
In età scolare vi sono alcuni cambiamenti importanti nello sviluppo delle emozioni. In primo luogo,
l’aumentata abilità di comprendere emozioni complesse come orgoglio e vergogna. Da questa età
emerge anche una maggiore comprensione del fatto che in una situazione si può sperimentare più
di un’emozione.
Durante l’età scolare, inoltre, vi è una accresciuta tendenza a tenere in maggior considerazione gli
eventi che conducono a reazioni emotive e si registrano miglioramenti nell’abilità a sopprimere o
nascondere reazioni emotive.
I bambini diventano capaci di fare ricorso a strategie autonome per ridirigere sentimenti, per
esempio, l’utilizzo di pensieri distraenti, capacità di consolarsi dopo un dispiacere e sviluppano,
infine, una maggiore capacità empatica.
Durante la prima adolescenza aumentano gli alti e bassi emotivi. Sebbene il malumore sia un aspetto
normale della prima adolescenza, nondimeno, per alcuni adolescenti, tali emozioni possono
riflettere anche problemi.
Le fluttuazioni emotive nella prima adolescenza possono essere legate alla variabilità ormonale di
questo periodo, anche se le esperienze ambientali possono influire ancor più dei cambiamenti
ormonali sulle emozioni dell’adolescenza.
CAP 31: L’ATTACCAMENTO
1.
L’attaccamento è stato definito come uno stretto legame affettivo che in genere unisce stabilmente
il bambino alla madre od al suo caregiver. Non è un legame di dipendenza del bambino dal caregiver,
bensì un legame affettivo, intimo, costante e duraturo che lega i due membri della diade in modo
da garantirne vicendevolmente vicinanza, protezione e sicurezza.
Si basa sulla tendenza a cercare una base sicura. Se interrotto, provoca ansia da separazione. Bowlby
(1969) riteneva che il legame con l’oggetto prescindesse dal soddisfacimento di bisogni quali fame
o sete; credeva, anzi, che proprio la strutturazione di un legame costituisse uno dei bisogni primari
del bambino.
Secondo Bowlby, il legame madre-bambino sarebbe la conseguenza di sistemi comportamentali
innati che si svilupperebbero e organizzerebbero in conseguenza dell’interazione con l’ambiente di
accudimento.
All’inizio Bowlby trae conferma e prova delle sue teorie dalle ricerche effettuate all’interno del
mondo animale (Harlow & Zimmermann, 1959): ad esempio, nelle scimmie alcune risposte istintuali,
già presenti nei primi mesi di vita, come il piangere e il seguire, si organizzerebbero, nel corso dello
sviluppo, fino a costituire il comportamento di attaccamento, il cui scopo ultimo sarebbe la
protezione dei piccoli dai predatori e dai pericoli di ogni sorta.
Figura 1. Tempo a contatto con le madri surrogato di cavi elettrici e di stoffa (esperimento di Harlow,
1958)
Spiegazioni dell’attaccamento
2.
Freud sosteneva che i neonati si attaccano alla persona o all’oggetto che fornisce loro cure
esclusivamente perché questo garantisce la soddisfazione orale.
Nell’ambito del comportamentismo, l’attaccamento al caregiver viene concepito come derivante
dalla soddisfazione dei bisogni primari. Per lo studioso Harlow (1958), i cui studi sono considerati
come i primi ad aver studiato l’attaccamento, è cruciale il piacere della vicinanza e del contatto.
Erikson, all’interno della sua prospettiva riteneva che il benessere fisico e le cure sensibili, sono le
chiavi per stabilire una fiducia di base nei neonati.
Secondo Bowlby (1969), il padre fondatore della teoria dell’attaccamento, i neonati e chi si prende
cura di loro sono biologicamente predisposti a sviluppare attaccamenti. La specie umana è dotata
alla nascita di sistemi comportamentali specie-specifici come il sistema di attaccamento.
Si tratta di insieme di azioni pre-programmate messe in atto dal bambino per conquistare e
mantenere la prossimità ed il contatto con la madre; alcuni di questi comportamenti sono distali
(seguire, piangere) altri prossimali (sorridere, aggrapparsi).
Sono attivati da fattori interni (fame, fatica, disagio) ed esterni (partenza, assenza, ritorno della
figura di attaccamento) e si organizzano all’interno del sistema di attaccamento.
L’attaccamento è per Bowlby:
1. Una predisposizione biologica;
2. Una motivazione primaria;
3. Un sistema di controllo;
4. Qualcosa che si manifesta attraverso comportamenti.
Le fasi dello sviluppo dell’attaccamento
Bowlby distinse quattro fasi nello sviluppo dell’attaccamento (Bowlby, 1969);
• Orientamento e segnali senza discriminazione della persona (0-2 mesi): in questa fase
i sistemi comportamentali di cui il bambino è provvisto vengono attivati o inibiti da
vari stimoli ambientali.
• Orientamento e segnali diretti verso una o più persone discriminate (2-6 mesi): da
questo momento in poi il bambino incomincia a mostrare una predilezione per la figura
principale di accudimento.
• Mantenimento della vicinanza a una persona discriminata mediante la locomozione e
mediante segnali (6 mesi-2 anni): si tratta della fase in cui la figura di attaccamento
diventa la base sicura da cui partire per le esplorazioni.
• Formazione di un rapporto reciproco corretto secondo lo scopo (dai 3 anni in poi): da
questo momento in poi il bambino incomincia a capire che la madre possiede dei
sentimenti e degli scopi assolutamente personali e, sulla base di queste intuizioni, si
svilupperà un rapporto caratterizzato da maggiore reciprocità.
Originariamente Bowlby era convinto che la quantità di tempo trascorsa insiem