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Incertezza e rischio: aspetti definitori

Incertezza e rischio sono due temi che sembrano simili ma che hanno importanti differenze:

• Incertezza: evento futuro in relazione al quale è impossibile qualsiasi misurazione oggettiva di

natura probabilistica, essendo essa inerente o ad una situazione assolutamente imprevedibile o ad

una situazione in cui l'informazione attorno ad un particolare fatto non è completa;

• Rischio: F.H. Knight (1921) lo definisce come una determinante fondamentale di una situazione

aleatoria in cui il futuro è prevedibile attraverso calcoli con cui si attribuiscono valori di probabilità

ai diversi stati del mondo.

In merito ai rischi, definiamo tre grandi categorie con aspetti sostanzialmente differenti:

1. Rischio puro (esclusivamente negativo come il rischio tecnico o operativo): possibilità che si

verifichi un evento sfavorevole di natura aleatoria che in caso di accadimento si traduce in danno.

Tutti i contratti del ramo danni rispondono a questa categoria di rischio;

2. Rischio speculativo: evento futuro e incerto che può comportare effetti sia positivi che negativi.

Ritroviamo in questa categoria tutti i rischi finanziari. In questa categoria ritroviamo tutti i contratti

del ramo vita tradizionali e quelli con contenuto finanziario. Altro esempio è lo swap (contratto

bilaterale stipulato tra due controparti) tra cui troviamo l’interest rate swap ovvero un contratto

stipulato tra due soggetti che hanno una previsione opposta in termini di tasso di interesse di

mercato e hanno anche contratti differenti di finanziamento (mutuo a tasso fisso o variabile ad

esempio). Se si ha un mutuo a tasso variabile e si prevede un incremento dei tassi si ha interesse a

scambiare con un soggetto che ha una visione opposta ribassista per l’ammontare dei flussi

(logicamente chi ha un mutuo a tasso fisso non ha interesse a scambiare);

3. Rischio demografico: si riferisce alla probabilità di morte o sopravvivenza di un individuo.

Il rischio è connaturato con qualsiasi tipo di attività economica e la valutazione e la gestione dell'incertezza

costituiscono l'essenza dell'attività imprenditoriale.

La gestione del rischio assicurabile: eliminazione, riduzione, trasferimento e ritenzione

Il risk management nasce nel settore industriale, ad esempio nautico/portuale, riferendosi allo studio

effettuato dagli ingegneri per la costruzione di opere edilizie. Questa attività si articola in quattro fasi

principali a prescindere dal settore in cui è applicata:

1. Identificazione: rischio puro, speculativo e demografico. Con riferimento alle compagnie di

assicurazioni dovremmo parlare di rischio tecnico, di mercato e operativo perché l’identificazione e

la gestione variano a seconda della tipologia di rischi a cui si è esposti (per esempio le compagnie di

assicurazione utilizzano la riassicurazione per il rischio tecnico mentre le banche sfruttano la

cartolarizzazione per il rischio di credito);

2. Misurazione: valutazione del massimo danno possibile e stima della possibile frequenza (matrice

frequenza-gravità con declinazioni in bassa e alta). Ad esempio, nell’RC auto si hanno tanti tipi di

incidenti che però hanno una gravità bassa siccome sono davvero poche le situazioni di bassa

frequenza ma alta significatività/gravità;

3. Gestione: è sicuramente la fase più impegnativa e prevede quattro modalità di gestione:

a. Eliminazione del rischio: estremamente teorica perché è impossibile eliminare i rischi.

Inoltre, gli intermediari finanziari guadagnano proprio dalla gestione dei rischi quindi la loro

eliminazione non trova alcun fondamento;

b. Riduzione del rischio: attraverso le seguenti modalità:

i. Prevenzione: riduzione del rischio ex-ante rispetto alla manifestazione dell’evento

come, ad esempio, seguire uno stile di vita salutare, impianti antincendi, ecc.;

ii. Protezione: riduzione del rischio ex-post siccome l’evento si verifica ma si

attueranno una serie di azioni volte a ridurre l’impatto del rischio;

iii. Miglioramento organizzativo: si pensi all’esempio delle relazioni tra dipendenti;

iv. Diversificazione: la diversificazione può riguardare non solo i rischi finanziari ma

anche i rischi puri (si pensi a ciò che abbiamo detto per quanto riguarda il rischio

terremoto) magari tramite riassicurazione e alternative risk transfer (ART);

c. Trasferimento del rischio: attraverso diverse forme tecniche:

i. Strumenti finanziari: si trasferiscono rischi speculativi e rischi puri (come la

cartolarizzazione di un rischio terremoto puro tramite i cat bond);

ii. Clausole contrattuali: tipicamente per rischi speculativi come i contratti swap;

iii. Assicurazioni: per i rischi puri (persone, contro la responsabilità civile, cose),

demografici (morte/sopravvivenza) e speculativi (polizze credito e fideiussoria). La

differenza tra una polizza del credito e la polizza fideiussoria è che in quella del

credito il contratto è stipulato da chi ha un credito nei confronti di un altro

soggetto. È quindi il creditore che provvede per garantirsi dall’insolvenza del

debitore. Nella polizza fideiussoria, invece, è il debitore che stipula la polizza con la

compagnia e tale contratto ha il creditore come beneficiario (3 soggetti e non 2);

d. Ritenzione/assunzione del rischio (attiva e passiva): l’individuo sopporta il rischio in virtù di

un’individuazione e catalogazione come bassa frequenza e bassa gravità intervenendo

eventualmente, in caso di manifestazione, con il proprio patrimonio (autoassicurazione).

Opposto a tale caso, chiamato ritenzione attiva, si ha la ritenzione passiva ovvero quella

situazione di sopportazione inconsapevole del rischio (ovvero quando si individua il rischio

e lo si pesa/misura male oppure quando non si è proprio in grado di identificarlo);

4. Controllo: il risk management è un processo dinamico e ogni volta che si verificano variazioni che

riguardano il profilo soggettivo del singolo individuo o dell’impresa, ovvero modifiche a livello di

contesto in cui ci si trova ad operare, diviene fondamentale monitorare l’adeguatezza delle

informazioni raccolte nelle fasi di individuazione e misurazione e la bontà delle soluzioni intraprese

nella fase di gestione (con correzioni ove necessario). C’è, dunque, un monitoraggio costante.

Risk management e intermediari assicurativi

Questa attività può essere svolta anche da alcuni intermediari assicurativi (agenti di assicurazione nei

confronti della clientela retail e broker nei confronti della clientela corporate). A seconda del soggetto a cui

è erogato tale servizio, logicamente, cambieranno i rischi da valutare.

Il processo di individuazione dei bisogni/esigenze del cliente

Il punto di partenza di tale processo è sempre il risk management che individua i rischi e permette di

comprendere come gestirli. Il processo di individuazione delle esigenze parte da tre grandi analisi:

• Profilo personale: informazioni sul singolo, ricchezza (patrimonio nelle varie forme ovvero

finanziario, immobiliare, opere d’arte, preziosi, ecc.), reddito e professione (dipendente,

imprenditore, manager, ecc.), propensione al risparmio, previsioni di spesa e composizione

familiare (single, sposato, con figli, ecc.);

• Analisi dei bisogni del singolo: obiettivi finanziari, aspettative di breve e medio-lungo termine (in

tema finanziario, fiscale, assicurativo, ecc.) e propensione al rischio;

• Contesto macroeconomico: trend variabili rilevanti e fattori tecnici di mercato.

I bisogni da soddisfare sono l’esigenza assicurativo/finanziaria, l’esigenza previdenziale e l’esigenza di

protezione. Ottenute queste informazioni, si può poi procedere seguendo lo schema proposto:

1. Identificazione delle soluzioni consone alle diverse tipologie di clientela;

2. Pianificazione delle esigenze finanziarie/patrimoniali attuali e future del cliente;

3. Vaglio alternative;

4. Attuazione delle decisioni;

5. Monitoraggio costante per verificare eventuali cambiamenti intervenuti.

Ricordiamo che il vincolo alla pianificazione dei bisogni è rappresentato dalla capacità di risparmio

dell’individuo e non tanto dal suo reddito (potrebbe avere un reddito elevato ma poco risparmio).

La previdenza e i suoi principi ispiratori (seminario Corrado Scafa)

Con il termine previdenza si intende qualsiasi intervento a tutela dei lavoratori affinché venga

salvaguardato il tenore di vita di questi ultimi nel passaggio da lavoro a quiescenza. Parole chiave sono:

• Lavoro: la previdenza è fatta dai lavoratori per i lavoratori. I contributi versati sono una funzione

del salario e finanziano la prestazione previdenziale. Senza lavoro non c’è previdenza;

• Tempo: previdenza vuol dire muoversi per tempo per fronteggiare qualcosa di futuro. Durata di

una carriera lavorativa, anni di versamento e durata di un investimento coincidono;

• Tenore di vita: obiettivo della previdenza;

• Quiescenza: il lavoratore smette di percepire il salario e, quindi, smette di versare i contributi;

• Previdenza di base obbligatoria (INPS): l’INPS raccoglie i contributi ed eroga le prestazioni.

I principi ispiratori della previdenza sono due modelli:

1. Modello Bismarckiano (fine Ottocento): presenta una forte presenza dello stato e vengono

pensate prestazioni a favore dei lavoratori contro infortuni, malattie e vecchiaia. La previdenza è

finanziata attraverso i contributi di lavoratori e datore di lavoro:

2. Modello Beveridgiano (1942): presenta invece una ridotta presenza dello stato e prevede una

prestazione erogata in caso di indigenza (erogazione di un assegno minimo) ed è finanziata

attraverso la fiscalità generale.

Focalizzandoci sul modello Bismarckiano, il versare contributi per ottenere una prestazione rientra in quel

contratto chiamato assicurazione sociale. In quello Beveridgiano si parla invece di sicurezza sociale (scatta

quando non si hanno le risorse per vivere). Lo schema previdenziale di quasi tutti i paesi (ad eccezione di

quelli anglosassoni) segue il modello Bismarckiano. Il modello Beveridgiano è sempre utilizzato ma in

ambito di sicurezza. Il sistema previdenziale italiano

Come si fa previdenza in Italia? Attraverso un sistema fondato su tre pilastri ovvero:

1. Previdenza di base: pubblico o privato (INPS e casse di previdenza dei commercialisti ad esempio) e

prevede un unico ente che raccoglie i contributi ed eroga le prestazioni. La partecipazione è

obbligatoria e si basa su un sistema a ripartizione (il contributo dei lavoratori finanzia le prestazioni

in essere). Infine, il metodo di calcolo è stato prima retributivo e poi contributivo;

2. Previdenza complementare: solo privato e prevede diversi enti, ovvero i fondi pensione, nati da

accordi tra datori di lavoro e lavoratori. La partecipazione è

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Publisher
A.A. 2024-2025
59 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/08 Economia e gestione delle imprese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher HawkedF di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Produzione e distribuzione assicurativa danni e vita e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Santoboni Fabrizio.