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POTERI DEL DATORE DI LAVORO E OGGETTO DEL CONTRATTO

Si individua una posizione di supremazia del datore di lavoro come espressione della libertà

di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) ed effetto giuridico della stipulazione del

contratto di lavoro. Al potere del datore di lavoro corrisponde una posizione di soggezione del

lavoratore (ad es. ex art. 2104 c.c.). Si parla, infatti, di “complessità” delle posizioni delle parti

del rapporto di lavoro.

In capo al datore di lavoro spetta un potere direttivo e di organizzazione, dal contratto

discendono alcuni limiti di questo potere a tutela del lavoratore.

Il potere direttivo è il potere di “dirigere” la prestazione di lavoro che spetta al datore di lavoro

in quanto: a) capo dell’impresa (ex art. 2086 c.c.) b) creditore della prestazione di lavoro.

Fondamenti normativi del potere sono: l’art. 2104 co. 2 c.c. (il dovere di obbedienza), l’art.

2094 c.c. (dovere di collaborazione) e l’art. 2086 c.c.

Il potere direttivo è un aspetto, relativo alla gestione dei rapporti di lavoro, di quel più ampio

potere organizzativo esercitato dall’imprenditore in quanto soggetto che professionalmente

svolge un’attività economica coordinando i fattori della produzione.

Quanto al contenuto del potere direttivo, si possono individuare:

1) il c.d. «potere di conformazione», il potere unilaterale di specificare l’oggetto della

prestazione di lavoro dedotta in contratto, dunque la determinazione del come, del

dove e del quando della prestazione lavorativa;

2) il c.d. «ius variandi», cioè il potere di modificare unilateralmente le mansioni

convenute col lavoratore al momento dell’assunzione;

3) il potere di vigilanza e di controllo, funzionale a garantire la corretta esecuzione della

prestazione del lavoratore;

4) il potere disciplinare, vale a dire il potere di reagire all’inadempimento (anche

parziale), sanzionando il lavoratore (si tratta di un potere esercitabile nel corso della

durata del rapporto e i provvedimenti sono variabili, dal semplice rimprovero fino al

licenziamento).

Al potere direttivo vengono posti alcuni limiti, con l’obiettivo di riequilibrare le posizioni delle

parti del rapporto di lavoro.

Vi sono anzitutto dei limiti previsti dalla legge, quali:

- il divieto di atti discriminatori (art. 15 St. Lav.), esteso a qualsiasi aspetto della

personalità);

- il divieto di indagini sulle opinioni (art. 8 St. Lav.), con riferimento alle sole opinioni

che non riguardino le attitudini professionali del lavoratore);

- la disciplina legale del potere di vigilanza e di controllo (artt. 2, 3, 4, 5, 6 St. Lav.),

secondo la quale, ad es. sono vietati i controlli che violano la dignità del lavoratore, i

controlli occulti, etc.;

- i limiti imposti dalle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375

c.c.).

Nei contratti collettivi vengono posti ulteriori limiti, i quali attengono non tanto al contenuto

del potere del datore di lavoro, ma impongono una certa procedimentalizzazione dello stesso,

anche in considerazione di interessi altri. Sono limiti procedurali e non sostanziali, ma

egualmente funzionali a garantire la tutela del lavoratore e i diritti di quest’ultimo.

MANSIONI E INQUADRAMENTO DEI LAVORATORI

L’oggetto del contratto di lavoro è tradizionalmente individuato nelle mansioni assegnate al

lavoratore (Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro).

Più di recente, anche in relazione all’evoluzione tecnologica, si ritiene che l’oggetto del

contratto sia la professionalità del lavoratore (insieme delle competenze, la capacità

professionale), espressa dalle mansioni, ma che non si esaurisce in esse (v. Napoli, Alessi,

Marazza).

Per individuare l’oggetto del contratto di lavoro occorre anzitutto procedere

all’individuazione delle mansioni del lavoratore, indicate nel contratto (che può essere anche

verbale). In capo al datore di lavoro è riconosciuto un potere di specificazione, in forza del

quale le mansioni del lavoratore ben potrebbero essere precisate in un secondo momento

rispetto alla stipulazione del contratto. Vengono quindi verificate l’adibizione del lavoratore a

una determinata attività, ed eventuali successive modifiche della prestazione lavorativa

intervenute tramite l’esercizio del potere direttivo (che in questo caso assume la forma del

c.d. «ius variandi»).

Le mansioni sono identificate come i compiti cui il lavoratore è adibito all’interno

dell’organizzazione di lavoro e di cui il datore di lavoro può esigere lo svolgimento; sono

l’oggetto della prestazione di lavoro. In quanto oggetto della prestazione dedotta in contratto,

le mansioni debbono essere determinate o determinabili, in ossequio ai principi stabiliti per

il contratto in generale, di cui all’art. 1346 c.c.). Le mansioni svolte fungono poi da parametro

di valutazione della qualità del lavoro prestato dal dipendente (cfr. art. 36 Cost.).

Il livello di inquadramento dei lavoratori è stabilito dal contratto collettivo. In genere i CCNL

prevedono 7/8 livelli e 7/8 aree professionali; per ogni livello è prevista una declaratoria

generale (oggi vi si indica il ruolo svolto?), l’indicazione esemplificativa delle mansioni del

lavoratore e un’elencazione dettagliata delle attività lavorative.

Sulla base dell’inquadramento è determinato il trattamento retributivo e normativo per

ciascun lavoratore. L’inquadramento contrattuale è inoltre rilevante ai fini dell’esercizio dello

ius variandi del datore di lavoro.

All’art. 2095 c.c. sono individuate le categorie legali dei lavoratori. Si distinguono: 1) dirigenti,

2) quadri, 3) impiegati e 4) operai. L’obiettivo è quello di individuare i destinatari di

determinate previsioni di legge (ad es. disciplina dei licenziamenti). I criteri di appartenenza

alle categorie sono stabiliti dai contratti collettivi. Se un lavoratore è inquadrato come

impiegato non può svolgere le mansioni di un operaio, pure se con il medesimo

inquadramento; senza consenso del lavoratore non si può transitare da una categoria

all’altra.

Con il CCNL dei metalmeccanici del 2021 si verifica il passaggio dai livelli di inquadramento

ai «ruoli», si assiste ad una valorizzazione delle competenze «trasversali» in relazione

all’innovazione tecnologica (autonomia e responsabilità gerarchico-funzionale, competenza

tecnico-specifica, polivalenza, polifunzionalità, miglioramento continuo e innovazione).

Il concetto tradizionale di “mansione” descritta attraverso il binomio della competenza

tecnico specifica e della responsabilità gerarchica viene sostituito dal “ruolo” come

identificato dai modelli organizzativi più diffusi, che valorizza non solo l’attività ma anche le

competenze, le modalità e le relazioni in cui si esplica la prestazione. Ciascun ruolo è

articolato in livelli di inquadramento.

La nozione di dirigente è definita dalla contrattazione collettiva; in generale il dirigente è

considerato l’alter ego dell’imprenditore, ha competenze e responsabilità decisionali, il

vincolo di subordinazione è attenuato e vi è un certo rapporto di fiducia con il datore di lavoro.

Per queste ragioni, la disciplina del lavoro dirigenziale è diversa da quella applicabile agli altri

lavoratori. Ai dirigenti non si applicano la disciplina limitativa dei licenziamenti e la

disciplina dell’orario di lavoro (n.b. ci sono comunque dei limiti di orario, dev’essere

garantito il riposo). Inoltre i dirigenti possono essere sempre assunti a termine e la loro

contrattazione collettiva è in genere separata da quella degli altri lavoratori. Proprio per la

vicinanza col datore di lavoro non si manifestano così marcatamente le esigenze di tutela

proprie delle altre categorie legali di lavoratori.

La categoria degli impiegati è la più antica: la definizione risale alla legge sull’impiego privato

del 1924. Elementi della definizione sono la collaborazione (all’impresa =/= nell’impresa), la

professionalità e la non manualità della prestazione.

La distinzione con gli operai si fonda(va) sulla manualità ovvero sull’intellettualità della

prestazione. Oggi, che anche le mansioni degli operai sono via via sempre meno manuali, ai

fini della classificazione legale, si verifica l’indicazione contenuta nel CCNL. A partire dagli

anni ‘70, impiegati e operai sono stati inseriti nella medesima classificazione contrattuale

(si parla a proposito di inquadramento unico). La giurisprudenza minoritaria ha ritenuto

possibile equiparare le mansioni impiegatizie e quelle operaie.

Quella dei quadri la categoria più recente: è stata riconosciuta dalla l. 190 del 1985 dopo un

periodo di forti scontri, anche all’interno del movimento dei lavoratori (v. la «marcia dei

quarantamila», 14/10/1980).Si tratta di prestatori di lavoro subordinato che, pur non essendo

dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello

sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa». A differenza dei dirigenti, però, per i

quadri non sono previste sostanziali differenze di trattamento; anche la contrattazione

collettiva non è diversa da quella delle altre categorie. N.b. ci sono delle organizzazioni

sindacali di mestiere che si rivolgono soltanto ai quadri.

La funzione delle categorie (n.b. non s’intende la categoria come livello di inquadramento

contrattuale, né come settore merceologico) legali è strettamente connessa all’esercizio

dello ius variandi da parte del datore di lavoro.

Lo ius variandi è il diritto potestativo del datore di lavoro di modificare le mansioni del

lavoratore a fronte di una riorganizzazione dell’attività lavorativa. Questo potere discende a

sua volta dal potere di organizzazione; si tratta di un potere unilaterale (non è cioè

subordinato al consenso del lavoratore, salvo nel caso delle modifiche in pejus concordate) e

generalmente svincolato dalla sussistenza di ragioni giustificative. A quest’ultima

impostazione fa eccezione il caso delle modifiche peggiorative (sia unilaterali che

concordate). La legge prevede dei limiti allo ius variandi volti a tutelare la posizione

professionale ed economica del lavoratore (in alcuni casi ad es. devono ricorrere determinate

ragioni giustificative, senza le quali lo ius variandi non è esercitato legittimamente).

L’art. 2103 c.c. è stato modificato dall’art. 3 del d. lgs. n. 81/2015 (Jobs Act). Il testo

precedente prevedeva il divieto assoluto di modifica in senso peggiorativo delle mansioni del

lavorat

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Publisher
A.A. 2024-2025
7 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lallinella di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Brescia o del prof Alessi Cristina.