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DEL PATOGENO
→ARMI
Il patogeno ha strumenti necessari, affinché esso possa usare la pianta come nicchia trofica.
Ha delle strutture morfologiche specializzate, ovvero parti del patogeno che hano una
crescita diversa rispetto a tutto il patogeno e che consentono a questo di entrare o rilasciare
sostanze tossiche all’interno dell’ospite.
Batteri e funghi usano queste strutture nonostante siano organismi il cui grado di
specializzazione (diverse cellule che formano un organismo hanno funzione diversa) non c’è,
ma a differenza dei funghi, i batteri nel loro ciclo di infezione possono differenziare delle cellule
che hanno funzioni particolari. Appunto i batteri possono differenziare delle strutture che gli
permettono di iniettare cellule, sostanza e si tratta di sistemi di secrezione.
I batteri in questo caso producono dei flagelli che vanno a bucare le cellule e iniettano sostanze
che modulano il metabolismo dell’ospite, cioè lo alterano. In particolar modo ci possiamo
soffermare sul sistema di secrezione di tipo III
- è uno dei sei sistemi di secrezione che hanno a disposizione i batteri per manipolare il
sistema difensivo dell’ospite
- è usato da numerosi batteri patogeni gram-negativi
- quando il patogeno ha un atteggiamento simbiotico parassitario ha l’esigenza di
spegnere il sistema immunitario dell’ospite (l’ospite alcune volte è capace di
riconoscere il patogeno e di bloccarlo)
- i batteri fitopatogeni secernano degli effettori di tipo III (T3Es) usando il TTSS, che
interferiscono con il sistema di segnalazione o sistema di produzione delle piante. Per
secernere questi effettori, attiva il sistema di secrezione di tipo III, evoluto dal flagello e
successivamente grazie alla coevoluzione, tale organo si è evoluto in una specie di
“siringa”
- i batteri in questione hanno un pilo di secrezione cavo e all’interno ci passano gli
effettori che vengono iniettati nella cellula vegetale. Quindi il batterio si poggia sulla
parete o nello spazio a ridosso della membrana (apoplasto) e inietta dentro il
citoplasma, gli effettori che sono funzionali a bloccare le difese dell’ospite. L’effettore
ha come bersaglio una proteina di difesa
- si tratta di un processo inducibile (indotto dalla presenza dell’ospite). I batteri non
producono questo sistema se non vengono stimolati da un segnale esterno dato
dall’ospite
Anche i funghi hanno questi sistemi come i batteri e a questo punto l’ospite scatenerà i soliti
sistemi di difesa. Mediante l’austorio secernano nel citoplasma, delle sostanze che bloccano
la difesa e questo avviene mediante il sistema di secrezione citoplasmatico con la
produzione di effettori citoplasmatici (che alterano e bloccano la sintesi degli ormoni di
difesa dell’ospite.
Come abbiamo detto, le molecole che permettono al patogeno di essere tale, sono gli enzimi
e le proteine che per esempio vanno a degradare la parete cellulare. Ma spesso gli enzimi non
bastano poiché il patogeno deve andare a contrattaccare alle sostanze che l’ospite gli manda.
La pianta infatti andrà a produrre degli inibitori di enzimi per degradare la parete del patogeno
(dato che sono avvolti da parete cellulare). I patogeni invece, spesso producono delle tossine
che vanno a bloccare il metabolismo primario, ma la pianta in risposta, produrrà delle
fitotossine che impediscono la crescita e la riproduzione del patogeno.
Possiamo avere due diversi approcci per l’attacco da parte del patogeno, verso l’ospite:
- biotrofi: hanno come interesse quelo di mantenere viva la cellula per avere una crescita
simbiotica primaria. Entra in modo “delicato” e deve cercare di non farsi riconoscere e
producono sostanze che bloccano le difese dell’ospite
- necrotrofi: uccidono la cellula per crescere nei tessuti morti. Devono uccidere il più
veloce possibile la cellula vegetale, per potersi nutrire andando ad evitare la difesa
della pianta
L’intera sfida avviene nell’apoplasto, luogo in cui il patogeno biotrofo o necrotrofo deve
combattere con la seconda linea di difesa dell’ospite, composto da armi chimiche. Questa
sfida è a suon di molecole che possono essere categorizzate in proteine, tossine prodotte
attraverso il metabolismo secondario che si distingue da quello primario:
- Metabolismo primario: porta alla produzione di molecole strutturali come lipidi,
zuccheri, proteine che servono al funzionamento basale della cellula
- Metabolismo secondario: tipicamente non incide sulle normali funzionalità cellulari,
ma consente all’organismo che lo produce, di avere un “vantaggio” in determinate
situazioni (ovvero avere situazioni in cui riesce a produrre qualcosa per sopportare uno
stress, abiotico o biotico)
Una volta che la pianta ha sviluppato dei meccanismi per il riconoscimento dei patogeni che
entrano, produrrà delle sostanze e riempirà l’apoplasto di queste sostanze tossiche per il
patogeno. Rilascia degli enzimi che idrolizzano le parti che costituiscono il patogeno (proteine
che per esempio ossidano o idrolizzano la parete del fungo o del batterio) e altre molecole che
ossidano le molecole strutturali del patogeno (molecole necessarie per accedere alla terza
linea di difesa della cellula vegetale, che si gioca al livello citoplasmatico).
Dopo aver bucato la parete cellulare ed essere entrato nell’apoplasto, il patogeno deve inibire,
scardinare le difese e lo fa attraverso la produzione di effettori apoplastici (molecole di diversa
natura che bloccano l’azione di difesa della pianta). La produzione contestuale, ovvero tutti
devono essere prodotti durante il ciclo di infezione, consente il ciclo di infezione stesso.
Abbiamo diversi effettori:
1. Cell wall degrading enzymes: batteria di enzimi che ha come finalità la degradazione
della parete cellulare (sistema composto da diversi polimeri e polisaccaridi, ma vi è
anche una componente fenolica. Dall’esterno verso l’interno abbiamo la pectina che
troviamo nella lamella mediana, parete polisaccaridica formata da poligalatturonano
che subisce un processo di degradazione durante la patogenesi. Poi abbiamo
l’emicellulosa che è un polisaccaride legato alla cellula dalla quale può essere estratta.
Infine, abbiamo la cellulosa e la lignina.).
La pianta per difendersi cambia la sua struttura, se il patogeno ha degli enzimi che attaccano
la cellulosa, modifica la struttura stessa della cellulosa. Questa modalità di difesa mette
pressione selettiva sui patogeni, ma ad ogni passo evolutivo dell’ospite, il patogeno cerca di
adattarsi.
Oltre a rompere o degradare la parete cellulare, si deve resistere anche alle condizioni che si
generano nell’apoplasto e quindi devono produrre composti autossidanti (molecole stabili
dopo l’ossidazione e un esempio è la vitamina C che ossidata è più stabile della vitamina C
stessa). Vi possono essere anche enzimi che accelerano il processo di trasformazione da una
molecola ossidante a non, quindi in qualcosa di più stabile. Un esempio è la catalasi che
trasforma l’acqua in acqua più O2 (è un enzima, appartenente alla classe
delle ossidoreduttasi, coinvolto nella detossificazione della cellula da specie reattive
dell'ossigeno. Catalizza la seguente reazione: -> +2 ); altro esempio sono i
2
2 2 2 2
superossidodismutasi, enzimi fondamentali per la virulenza del patogeno.
Per quanto riguarda i biotrofi, essi per non farsi riconoscere dall’ospite, producono degli
effettori chiamati chitin-biding, proteine che legano la chitina (elemento di discontinuità nel
mondo delle piante). La chitina non è un polisaccaride appartenente al mondo vegetale, ma a
quello fungino e degli insetti. In pratica quello che succede è che l’ospite deve avere un
sistema allert quando viene trovata la chitina nell’apoplasto e il fungo patogeno cerca di
nascondere questa chitina e lo fa producendo proteine che si legano ad essa e che
impediscono ai ricettori di legarsi alla chitina e di mandare un segnale allert e questo viene
chiamato camuffamento.
Nell’apoplasto, entrambi i contendenti (ospite e patogeno) cercano di distruggersi a vicenda,
producendo enzimi che degradano le rispettive pareti cellualari; quindi, cell wall degrading
enzymes per quanto riguarda l’ospite, contro i funghi e batteri. I batteri invece producono gli
inibitori di enzimi. Vi sono anche inibitori che si legano al guscio esterno dell’enzima e questo
origina degli enzimi che legati agli inibitori, lavorano in maniera leggermente diversa.
Gli enzimi che degradano la parete cellulare sono cruciali sia per l’ingresso chirurgico del
biotrofo, sia per la distruzione del necrotrofo, essenziali per l’infezione. In particolare, abbiamo
enzimi che degradano la cellulosa, la pectina e la lignina:
• Cellulosa: molecola fondamentale formata da più subunità, ovvero polimero, ovvero è
costituita da un gran numero di molecole di glucosio unite grazie a un legame che
prende il nome di glicosidico (legame β (1→4) glicosidico) e l’unità ripetuta del glucosio
viene chiamata cellobiosio. La sua struttura può variare in base alla presenza o meni di
legami H:
- Struttura amorfa: fibrille non legate da legami idrogeno, ed è più facilmente aggredibile
dai microrganismi
- Struttura cristallina: struttura rigida, ad alta organizzazione polimerica e più difficile
da aggredire
La cellulosa può essere degradata, e si tratta di cellulosolisi. In questo processo di
degradazione vi è l’intervento di diversi enzimi secreti all’esterno (esocellulari) della
cellula essendo la cellulosa un polimero insolubile. Sono enzimi inducibili, ovvero
espressi solo in presenza del loro substrato e alcuni di questi sono espressi
costitutivamente (anche in assenza del loro substrato), ma in genere basse quantità e
solo in presenza del substrato, la loro produzione aumenta. Gli enzimi cellulosolitici
vengono classificati secondo il loro meccanismo d’azione:
1. Esoglucanasi= degradano la molecola attaccando le estremità della catena della
cellulosa, staccando un dimero di cellobiosio.
2. Endoglucanasi= degradano attaccando i legami in mezzo alla catena di cellulosa,
andando a diminuire il grado di polimerizzazione di essa. Non sono tanto efficaci
nella degradazione della cellulosa cristallina (dove sono presenti molti legami H tra
le catene.
3. β-glucosidasi= degradano i dimeri che si originano dalla cellulosa per azione degli
altri enzimi. In alto abbiamo catena di monomeri di
glucosio legati tra loro attraverso dei
legami β (1→4) glicosidici e l’insieme di
monomeri di glucosio forma un filamento
di cellulosa. Gli enzimi che agiscono sono
l’endogluca