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OFFERTE PUBBLICHE
Esistono tre categorie di offerte pubbliche:
1) Offerte pubbliche di sottoscrizione
2) Offerte pubbliche di acquisto;
3) Offerte pubbliche di vendita
Offerte pubbliche di sottoscrizione
La società delibera un aumento di capitale ed emette nuove azioni che vengono offerte prima ai precedenti
azionisti in proporzione alla propria quota (diritto di prelazione) e successivamente al mercato per essere
sottoscritte.
Se si tratta di azioni ordinarie, la quota degli attuali azionisti che non intendono sottoscrivere le nuove
azioni viene diluita, in quanto avranno una minore percentuale di voti in assemblea ordinaria (che nomina
amministratori e sindaci) e quindi un minor potere decisionale.
Per ovviare a questo problema, l’assemblea, invece di emettere azioni ordinarie, può decidere di emettere
azioni privilegiate (che danno diritto di voto solo in assemblea straordinaria ma utili maggiorati) e azioni
di risparmio (che non danno alcun diritto di voto). L’emissione di azioni speciali è comunque consentita
fino a massimo il 50% del capitale sociale.
La società può decidere di effettuare un OPS per diversi motivi:
1) Raccolta di capitali sul mercato;
2) Creare il flottante necessario per quotarsi;
3) Se l’aumento di capitale è riservato a specifici soggetti terzi, è un modo per far entrare in società
soggetti che portano vantaggi di vario tipo alla società, es. dotati di particolari competenze
imprenditoriali e manageriali o che hanno a disposizione grossi capitali.
Offerte pubbliche di vendita
Gli azionisti (non la società) offrono in tutto o in parte le proprie azioni al pubblico. Si tratta di
un’operazione neutrale nei confronti della società, in quanto cambia soltanto il socio ma non produce
alcun effetto sul capitale sociale.
Motivi per un OPV:
1) Liquidare il proprio investimento ed uscire dalla società;
2) Ridurre il rischio d’impresa a cui un azionista è soggetto;
3) Gli azionisti si sono accordati per vendere una certa percentuale di azioni ciascuno e raggiungere il
flottante necessario per quotarsi;
4) Gli azionisti hanno intenzione di far entrare nella compagine sociale un soggetto di particolare
interesse.
Offerte pubbliche di acquisto
Un soggetto esterno alla società propone agli azionisti l’acquisto delle loro azioni.
La decisione da parte degli azionisti se vendere o meno le azioni deve essere ponderata attentamente,
poiché se l’investitore propone un prezzo maggiorato rispetto al valore attuale delle azioni può significare
che l’impresa ha il potenziale per valere molto di più sul mercato in futuro.
Inoltre, la scelta di vendere o meno le proprie azioni è influenzata dal numero di azioni possedute: i piccoli
azionisti sono più propensi a vendere se l’offerta è adeguata mentre i soci di maggioranza sono restii a
vendere, in quanto sono interessati al controllo e alla gestione dell’impresa piuttosto che alla liquidazione
del proprio investimento.
Di conseguenza, un’OPA ha più probabilità di avere successo se l’azionariato è molto diffuso e ci sono molti
piccoli azionisti.
Dal punto di vista operativo, l’OPA viene realizzata con l’intermediazione di una banca o SIM, la quale invia
un documento agli azionisti per raccogliere le adesioni entro un determinato arco temporale, di solito un
mese.
Nel documento viene inoltre indicata una percentuale minima di azioni da raccogliere affinché
l’operazione si concluda con successo, normalmente il 50%+1 delle azioni. Di solito viene inserita anche
una clausola in base alla quale l’operazione non va a buon fine se viene raccolto meno del 30% del capitale
sociale mentre nella fascia compresa tra il 30% e il 50% l’acquirente si riserva di valutare se concludere o
meno l’OPA.
Esistono due tipi di OPA:
a) OPA amichevole (tender offer): l’OPA viene svolta d’accordo con i manager e gli azionisti disposti a
vendere le azioni;
b) OPA ostile (take-over): l’OPA viene svolta con l’intento di sostituire i manager della società, che
quindi cercano di ostacolare l’operazione convincendo gli azionisti a non vendere le azioni.
Di norma, l’acquirente (raider) cerca di rilanciare e contrattare con gli azionisti in modo da convincere
il maggior numero possibile a vendere le proprie azioni e acquisire il controllo della società (scalata
in borsa).
I manager possono attuare diverse strategie per ostacolare l’acquisto delle azioni:
a) Sovraindebitare la società, rendendola meno attrattiva per l’acquirente;
b) Scindere i rami dell’impresa più redditizi, per lo stesso motivo;
c) Chiedere l’intervento di un “cavaliere bianco”, ovvero un soggetto terzo che fa una contro-OPA,
in accordo con i manager, in modo tale che questi ultimi non vengano sostituiti;
d) Poison pills (vedi sotto).
La legge Draghi del 1998 (che emula una legge simile del Regno Unito, detta mandatory bid rule) ha
stabilito che se un soggetto acquista una quota maggiore o uguale al 30% di una società, egli ha l’obbligo
di lanciare un’OPA totalitaria, ovvero acquistare anche la rimanente parte delle azioni.
Alla base di questa legge vi è una presunzione legale in base alla quale un azionista con quota di almeno il
30% del capitale sociale è in grado di esercitare un’influenza dominante e quindi di fatto ha il controllo
della società. In realtà la capacità di esercitare il controllo di fatto di un’impresa varia a seconda
dell’azionariato di una società, ad esempio nel caso di Generali l’azionariato è molto diffuso e di
conseguenza Mediobanca, che detiene il 14% del capitale sociale, di fatto controlla la società.
La ratio della legge Draghi è quindi quella di offrire agli azionisti che inizialmente non hanno venduto la
possibilità di disinvestire, dato che con un nuovo socio di maggioranza cambiano la gestione dell’impresa
e il progetto alla base della stessa.
La legge Draghi ha stabilito inoltre come determinare il prezzo al quale devono essere vendute le rimanenti
azioni, che deve essere pari alla media tra il prezzo medio del titolo nell’ultimo anno e il prezzo dell’ultima
azione che ha fatto superare la soglia del 30%. (questa norma è stata abrogata da una direttiva europea,
vedi sotto)
Le norme relative al prezzo hanno come scopo quello di evitare la possibilità che l’acquirente proponga un
prezzo volutamente basso per convincere gli azionisti a non vendere ed evitare l’acquisto della restante
parte dell’equity. Inoltre, garantiscono la parità di trattamento tra gli azionisti.
Nel 2004 una direttiva europea, recepita in Italia nel 2007, ha stabilito 4 principi relative alle OPA:
1) Passivity rule: gli amministratori devono rimanere passivi e non possono ostacolare l’OPA, a meno
che il 30% dei soci non dia loro mandato per farlo.
2) Neutralizzazione: l’OPA determina l’estinzione di tutti i precedenti patti parasociali, in particolar
modo i patti di sindacato, ovvero gli accordi con cui i soci decidono di accorpare le azioni possedute
da ciascuno ed esercitare i diritti collettivi attraverso un rappresentante comune, in modo da avere
maggior potere decisionale nell’assemblea. Prima della direttiva europea il soggetto che gestisce
la quota complessiva era in grado di ostacolare l’OPA ma adesso non è più possibile vista la
decadenza del patto.
La direttiva ha stabilito inoltre il venir meno delle cosiddette “poison pills”, ovvero clausole relative
a modifiche dello statuto che erano previste per ostacolare le OPA. L’esempio più comune è la
clausola in base alla quale per nominare il CEO, il direttore generale e le altre cariche sociali è
necessario è necessario che un soggetto detenga almeno il 90% del capitale sociale (in questo
modo è necessario acquistare almeno questa quota per avere il controllo di fatto della società).
3) Prezzo equo: per l’OPA totalitaria il prezzo per l’acquisto delle rimanenti azioni cambia da quello
stabilito dalla legge Draghi a solo l’ultimo prezzo (il prezzo pagato per le azioni che hanno fatto
superare la soglia del 30%).
4) Reciprocità: le precedenti tre regole si applicano solo se chi lancia l’OPA ha sede legale in uno stato
in cui tali norme sono state recepite. VALUTAZIONE TITOLI
Per stabilire se è un titolo è sopravvalutato, sottovalutato o scambiato al prezzo equo è necessaria una
valutazione dell’impresa che lo ha emesso (oppure una valutazione del prezzo del titolo, è la stessa cosa).
Valore e prezzo sono due concetti separati: il valore è intrinseco e oggettivo del titolo mentre il prezzo è la
somma che un soggetto è disposto a pagare per avere quel titolo.
Per determinare il prezzo equo di un titolo è necessario un procedimento composto da diverse fasi che
parte dalla determinazione del suo valore intrinseco.
1) Individuare i valori fondamentali dell’impresa, ovvero:
a) Grandezze economiche: come ricavi, costi, utili e valore aggiunto;
b) Grandezze patrimoniali: immobilizzazioni, brevetti, partecipazioni in altre imprese;
c) Grandezze finanziarie: cash-flow per gli azionisti e operativo, capitale circolante;
d) Variabili di competitività: concorrenza, stadio del ciclo di vita dell’impresa, barriere di settore,
capitale umano a disposizione.
Una volta individuate queste grandezze si procede a valutarle e si definisce il valore intrinseco
teorico, ovvero il valore oggettivo dell’impresa (che è solo teorico perché non è detto sia uguale al
prezzo).
2) Si valuta l’impatto di fattori esterni sul valore intrinseco dell’impresa ed eventualmente si corregge
il valore calcolato in precedenza. I fattori esterni possono essere di natura:
a) Microeconomica: ad esempio le normative speciali di settore che possono favorire o
penalizzare alcune imprese (es. incentivi statali);
b) Macroeconomica: ad esempio il livello dell’inflazione, che determina l’aumento dei tassi di
interesse, che a loro volta causano una riduzione proporzionale del valore delle azioni (spiegato
più avanti nel corso).
3) Il valore viene corretto alla luce di eventuali fattori irrazionali, ovvero leve psicologiche ed emotive
che portano le persone a pagare un prezzo maggiore del valore intrinseco dell’impresa (es. Moratti
che ha pagato l’Inter molto più del suo valore in quanto era stata di proprietà del padre in passato);
4) Domanda e offerta di comparable (aziende comparabili), il prezzo di un’impresa è tanto maggiore
quanto è rara l’impresa, ovvero se esistono o meno imprese simili;
5) Quota di minoranza o di maggioranza, il prezzo delle azioni cambi