Dunque, la maggior parte dei problemi di natura parodontale e non derivano dall’accumulo di placca
batterica, chiamata così perché vuol dire che su quel substrato c’è una colonizzazione batterica.
La placca è stata studiata intorno agli anni ‘50 da uno studioso di nome Theilade(?), il quale effettuò una
serie di esperimenti che consistevano nel prelevare un po’ di placca per poterla studiare. Attraverso le sue
osservazioni, lui si rese conto che nei primi giorni la placca presentava forme batteriche di tipo “coccoide”,
cioè batteri gram positivi; invece, dal quarto giorno in poi, accanto a questi batteri gram positivi,
cominciarono a comparire i batteri gram negativi. Infine, dopo una settimana la placca presentava solo
batteri gram negativi. Questo studio aveva l’obbiettivo di dimostrare che man mano che i batteri iniziano a
immergersi nel solco gengivale le forme che compaiono sono quelle più aggressive, mentre scompaiono i
cocchi(che di solito sono i batteri della carie e che rimangono sulla corona).
Quindi, quando parliamo di eziopatogenesi ci riferiamo alla causa di una malattia.
L’agente eziologico della malattia parodontale è di natura batterica, per cui si tratta di un’infezione che poi
determina un’infiammazione, la quale causa la malattia parodontale. Tuttavia, il batterio che la determina
non è soltanto uno, ma esistono vari batteri che vengono riacchiusi in diverse categorie(es. treponema). Tra
i microrganismi del cavo orale più rappresentativi possiamo ritrovare lo streptococcus, il quale causa la
carie.
Di solito la malattia parodontale viene associata ad individui in età avanzata, ma esistono diverse forme di
parodontite, come ad esempio quella ad insorgenza precoce, ossia la cosiddetta parodontite giovanile, una
forma di parodontite in cui i batteri hanno a disposizione più tempo per danneggiare il tessuto.
Essa ha un andamento di tipo ciclico caratterizzato da fasi di latenza o quiescienza(in cui la malattia sembra
“ferma” con nessun evidente peggioramento clinico) e da periodi attivi di ripresa della malattia(in cui c’è un
ulteriore distruzione dei tessuti di supporto del dente a causa di un ulteriore diffusione di batteri).
Esiste un batterio, chiamato aggregatibacter actinomycetemcomitans, ossia un bastoncello piccolo gram
negativo, saccarolitico, non mobile. Si tratta di un batterio gram negativo che intorno al citoplasma
presenta dei canali che hanno la capacità di liberare delle endotossine e anche enzimi che svolgono
un’azione litica/distruttiva sulle proteine e sul connettivo(es. elastasi, collagenasi, ialuronidasi...). Dunque, i
batteri coinvolti nella malattia parodontale hanno la possibilità di causare un danno diretto ai tessuti, data
la liberazione degli enzimi e, inoltre, sono in grado di attivare l’immunità umorale o cellula-mediata;
questo significa che saranno i globuli bianchi, nelle loro diverse forme, che interverranno sul luogo
dell’infezione e, in particolare, i polimorfonucleati, ossia cellule che hanno una capacità tripla, cioè sono in
grado di fagocitare, acchiappare il batterio e distruggerlo. Tuttavia, quando i polimorfonucleati non sono in
grado di svolgere correttamente il loro compito perché non sono in buono stato a causa di una malattia
grave o perché sono diminuiti a causa di un’infezione piuttosto seria, lasciano il campo ad infezioni più
gravi. Per esempio, i pazienti che presentano deficit immunologici(es. neutropenia cronica) sono
estremamente fragili perché i loro polimorfonucleati non sono in buone condizioni.
Quindi, i batteri arrivano nel solco, si approfondiscono e da un lato liberano una serie di enzimi litici che
distruggono le fibre connettivali e dall’altro lato richiamano le cellule bianche del nostro sistema
immunitario tramite stimoli chemiotattici. Tuttavia, oltre ai polimorfonucleati, si liberano altre sostanze,
come i fattori del complemento, l’istamina, il TNF(Tumor Necrosis Factor)…, che insieme servono per
difenderci dall’infiammazione. Tutto ciò, però, crea un’ulteriore distruzione del tessuto.
Di questo batterio, ossia dell’aggregatibacter actinomycetemcomitans, sono stati identificati sei sierotipi e
quello maggiormente associato alla parodontite è il sierotipo B, il quale è stato isolato nel 75-100% dei
soggetti con parodontite aggressiva localizzata e nel 30-40% dei pazienti con parodontite cronica(la forma
non aggressiva).
La sua azione negativa è dovuta non solo al fatto che è un batterio gram negativo, ma anche al fatto che è
in grado di liberare fattori di virulenza(quelli che lo rendono patogeno), come una leuco-tossina(che ha
come bersaglio i globuli bianchi che servono per la risposta immunitaria), citotossine, collagenasi, inibitori
della proliferazione dei fibroblasti e della mineralizzazione delle ossa, fattori immunosoppressori, inibitori
chemiotattici(riduzione della risposta immunitaria)…
Nel processo infiammatorio una delle funzioni principali che possiede l’organismo è la chemiotassi, la quale
indica la capacità che i batteri creano nelle cellule di poter chiamare la difesa denso nostro
organismo(richiamare dal sangue le nostre cellule di difesa)—> I globuli bianchi presenti nel sangue
vengono richiamati dallo stimolo chemiotattico e, attraverso i vasi sanguigni, arrivano nella zona infetta.
Quindi, la chemiotassi è il movimento direzionale delle cellule, soprattutto globuli bianchi, verso una
maggiore concentrazione di sostanze chimiche rilasciate da agenti patogeni o tessuti danneggiati.
L’eziologia della malattia parodontale è l’infezione batterica, tant’è vero che si tratta di una malattia
infettiva/infiammatoria ad eziologia batterica a decorso cronico; ciò significa che il paziente affetto da
parodontite, nonostante tutte le terapie, resta sempre a rischio—> Mediante le varie tecniche di igiene
orale e le diverse terapie il paziente può ottenere un periodo di latenza, ossia una sorta di periodo di salute,
ma c’è sempre la probabilità che la malattia si ripresenti.
Il decorso cronico della malattia parodontale, quindi, fa sì che il paziente parodontale debba frequentare
costantemente un determinato studio odontoiatrico in quanto è un paziente che bisogna tenere sotto
controllo a vita.
Il tempo di motivazione di un paziente parodontale, cioè il tempo in cui il professionista gli spiega cos’è la
malattia parodontale, quali sono le manovre di igiene orale domiciliare, in cui controlla che le segua
correttamente… è di circa due mesi; la motivazione all’igiene orale è la cosa più difficile da eseguire perché
mette in gioco l’empatia e la comunicazione sia del paziente sia del professionista.
La motivazione deve consistere, non solo nel sollecitare il paziente a mettere in atto le corrette tecniche di
spazzolamento+uso del filo, ma deve puntare anche ad elogiarlo del momento in cui la sua igiene orale è
migliorata rispetto all’ultima volta. Questo lo si vede mediante i sondaggi, attraverso i quali si nota che
l’indice di sanguinamento, indicato con l’acronimo BOP(Bleeding on Probing, cioè sanguinamento al
sondaggio), è diminuito. Infatti, noi sappiamo che il sanguinamento NON è normale perché se un tessuto
sanguina, a meno che il paziente non abbia problemi emorragici, vuol dire che c’è un capillare con
endotelio aperto da cui fuoriesce il contenuto(tessuto che sanguina=tessuto malato).
Inoltre, è importante ricordare che la parodontite, a differenza della carie, non provoca dolore. Un altro
sintomo tardivo di una malattia parodontale grave è la mobilità. Pertanto, esiste una differenza tra
parodontite e gengivite, perché nella semplice gengivite possiamo trovare iperemia, edema, alitosi…, ma
non c’è sondaggio e neanche perdita di attacco(al massimo ci può essere una situazione parafisiologica e la
presenza di pseudotasche)≠parodontite
Come si presenta la parodontite?
Tra i sintomi della malattia parodontale possiamo trovare il fatto che la gengiva che circonda il dente si
trova a livello più apicale(il margine gengivale si abbassa, cioè la gengiva subisce una recessione), la gengiva
arrossata e infiammata(orletto iperemico—> Iperemia indica aumento del flusso sanguigno), edema dei
tessuti(aumento di volume del tessuto gengivale), recessioni multiple, accumulo di placca e tartaro e come
conseguenza il paziente avrà sanguinamento spontaneo.
Nella parodontite, quindi, abbiamo recessione gengivale e riassorbimento osseo(+mobilitá). Questo
significa che l’elemento patognomonico, ossia l’elemento che caratterizza la malattia parodontale, è la
formazione della tasca. Normalmente attorno a ciascun dente abbiamo un solco che noi andiamo a sondare
e fisiologicamente presenta una profondità di massimo 3 mm. Quando c’è la malattia parodontale, anche
iniziale nella sua forma più comune come gengivite, questi valori iniziano a variare e, quando la gengivite
inizia a trasformarsi in vera e propria parodontite, questi valori aumentano ancor di più; quindi, si forma la
tasca parodontale, che si misura dal margine gengivale al punto fino a dove si arresta la sonda, che diventa
ancora più profonda(si misurano valori da 4-5 mm in su).
In un dente sano osserviamo la gengiva in corrispondenza della giunzione, dente stabile… mentre in un
dente affetto da parodontite osserviamo che tutto l’apparato di sostegno si trova in una posizione
apicale—> Abbiamo il riassorbimento dell’osso, per cui la gengiva lo segue, e questo è molto grave perché
gli osteoblasti svolgono la loro attività molto lentamente, mentre l’osteonecrosi avviene nel giro di poco
tempo. L’osteonecrosi è indotta specialmente dai farmaci bifosofonati, assunti da pazienti con osteoporosi,
tant’è che i bifosfonati bloccano il rimodellamento osseo, quindi se l’osso subisce un danno, per esempio
dopo un’estrazione dentale, non riesce a ripararsi bene, aumentando il rischio di osteonecrosi.
Noi sappiamo che inizialmente il tartaro si deposita sulla superficie esterna del dente, cioè sullo smalto, ma
nel corso delle settimane cui il tartaro non viene rimosso e non viene effettuata alcun intervento
sull’agente eziologico succede che l’insieme dei batteri(specialmente anaerobi obbligati gram negativi)
penetrano nel solco gengivale, ossia un ambiente privo di ossigeno. Quindi, in questa situazione, il tartaro si
fa spazio e disgrega, causando una vera e propria perdita di attacco, cioè avviene un distacco delle fibre
connettivali, le quali normalmente permettono al dente di rimanere stabile all’interno del processo
alveolare perché si inseriscono
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