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LA MINUSCOLA BENEVENTANA
La scrittura «nazionale» dell’Italia meridionale è la minuscola Beneventana. Essa ha come base la corsiva
nuova. Lo studio imprescindibile per questa scrittura resta la monografia Di Elias A. Lowe, The Beneventan
Script, Oxford 1914. Sono stati dedicati successivamente molti studi alla beneventana ed è tuttora in atto
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un’autentica «caccia al frammento» in questa scrittura. Lowe ha fatto un censimento di tutti i codici
Beneventani ,censimento continuato poi da Virginia Brown, da allora c’è stata una ricerca di codici di scrittura
Beneventana. Lo strumento per conoscere la bibliografia aggiornata sui manoscritti in beneventana e per
essere informati sulle nuove scoperte è: BMB: Bibliografia dei manoscritti in scrittura beneventana, 1 (1993)-
pubblicazione seriale che esce annualmente.
La beneventana ha avuto una lunga vita: le più antiche attestazioni risalgono alla fine del sec. VIII e continuerà
ad essere usata fino a tutto il sec. XIII. Nel secolo XIV, ormai in piena decadenza, viene usata sempre meno;
fenomeni di imitazione si hanno però fino almeno alla prima metà del sec. XV. È una scrittura totale perché
La beneventana fu utilizzata sia come scrittura libraria che come scrittura documentaria. È stata vissuta
come espressione della cultura locale.
Occorre ricordare che quando parliamo di Italia meridionale, dobbiamo escludere la Sicilia che fu sotto il
dominio arabo dal IX secolo (827-878) alla metà del sec. XI, durante il quale la scrittura in alfabeto latino
cessò di essere utilizzata. Inoltre, dopo la guerra greca-gotica (sec. VI) e l’arrivo dei Longobardi, l’Italia
meridionale era suddivisa in due aree di influenza: la parte più interna, dove si costituisce il ducato
longobardo di Benevento e la parte costiera ove rimangono alcuni presidi bizantini, perché avevano bisogno
di mantenere contatto con la madre patria, ci sono quindi zone dove si parla il greco. Centri importanti per
la produzione grafica in beneventana:
• Lazio meridionale: Montecassino, Fondi, Gaeta
• Campania: Capua, Cava de’ Tirreni, Benevento, Salerno, Napoli, San Vincenzo al Volturno, Sorrento
• Puglia: Bari, Troja, Isole Tremiti
• Abruzzo meridionale: Teramo, Sulmona
• Dalmazia (attuale Croazia): Trogir (antica Traù), Zara, Ragusa, Split (Spalato).
Nelle fonti antiche questa scrittura è denominata littera beneventana o anche littera longobarda o scriptura
longobardica. Il nome littera longobarda fu adottato dai paleografi a partire dal sec. XVII (Mabillon), ma creò
confusione sull’accezione da dare a questa scrittura, che fu interpretata come una sorta di prodotto importato
dai Longobardi in Italia meridionale (quando invece sappiamo che i Longobardi non conoscevano la scrittura
fino a quando non si affacciarono in Italia). Lowe preferì adottare la definizione, pure antica, di littera
beneventana (che, come si vedrà, sarà quanto mai perspicua), va aldilà di quello che pensasse all’origine .
Lowe ha tracciato una periodizzazione interna a questa scrittura che, pur con interventi correttivi successivi,
resta ancora valida:
• Il periodo dei tentativi («Tentative period»), sec. VIII-IX,periodo in cui la scrittura si organizza ma
ancora non si è distaccata dalla corsiva nuova.
• Il periodo della formazione («formative period»), sec. IX ex.-X , in cui la scrittura si tipizza ma non si
canonizza
• Il periodo della maturità («period of maturity»), sec. XI-XII, periodo della canonizzazione
• Il periodo della decadenza («period of decline»), sec. XII ex.- XIII.
Periodizzazione in parte accettata e in parte superata:
Periodo dei tentativi:
Una questione non indagata da Lowe riguardava la nascita della beneventana. Giorgio Cencetti aveva provato
a dimostrare un’origine ‘longobarda’ di questa scrittura, notando le notevoli somiglianze tra i primi prodotti
in beneventana delle origini ed alcuni manoscritti attribuiti allo scriptorium di Nonantola (in provincia di
Modena) e oggi conservati presso la Biblioteca Nazionale di Roma, nel fondo Sessoriano, proveniente dalla
chiesa di S.Croce in Gerusalemme a Roma. Secondo Cencetti, dal momento che la fine del regno longobardo
nell’Italia settentrionale aveva portato molti a trasferirsi nella Longobardia minor, questo avrebbe
comportato anche l’arrivo di codici dall’Italia settentrionale e tanto più da Nonantola. Il monastero di
Nonantola era stato fondato tra il 751 e il 752 dal duca del Friuli Anselmo, che si era ritirato a vita monastica
e che fu poi santificato. Anselmo era stato per un certo tempo a Montecassino. Studi successivi, condotti in
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modo particolare da Marco Palma, hanno invece dimostrato esattamente il contrario e cioè che furono codici
dell’Italia meridionale ad essere portati a Nonantola e ad influenzare la scrittura di quello scriptorium.
fatti molti codici del fondo Sessoriano che si ritenevano prodotti a Nonantola, sono invece stati scritti in Italia
meridionale, a partire dal codice Sess. 590, con excerpta di opere di s. Agostino, che è l’antigrafo del codice
Vat. Lat. 3375, codice in semionciale, sicuramente prodotto nel sec. VI nel Castrum Lucullanum. Codice
sessoriano fa parte nella biblioteca nazionale centrale di roma, si è visto che è la copia di quel manoscritto
scritto nel monastero napoletano su Egipio nel periodo dell’onciale.
Dunque molti codici un tempo ritenuti nonantolani sono stati scritti di fatto in Italia meridionale e mostrano
una corsiva nuova ‘protobeneventana’.
D’altro canto, sappiamo dalle fonti che Anselmo soggiornò a lungo a Montecassino e che portò indietro con
sé molti codici. Passaggio da Sud a Nord. Trasformazioni a livello locale.
Il periodo dei tentativi è anche detto «pre-capuano», poiché in quest’epoca l’abbazia di Montecassino (che
Lowe riteneva la culla di questa scrittura), dopo essere stata distrutta dai Longobardi nel 577, fu ricostruita
dall’abate Petronace nel 718 e conobbe un periodo di relativo benessere.
Gli scribi cominciano ad organizzare la minuscola secondo quelle regole che poi saranno proprie della
scrittura canonizzata, ma numerose sono anche le deroghe a queste leggi. Per low il centro di nascita, di
sviluppo e di morte è Montecassino, cosa sbagliata perché non è stato l’unico.
I più antichi testimoni che ci consentono di parlare già di beneventana e non più di generica corsiva nuova
sono:
• Montecassino, Biblioteca statale del monumento nazionale, ms. 753
• Cava de’ Tirreni, Biblioteca del monumento nazionale, Cava 2
• Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 7530
• Bamberg, Staatsbibliothek, Patr. 61
Periodo della formazione: Periodo in cui la scrittura si tipizza. Noto anche come periodo «capuano», poiché
in questo periodo i monaci di Montecassino, costretti a fuggire dal monastero distrutto dai Saraceni, si
rifugiarono a Capua, dove rimasero dall’883 al 949. È questa l’epoca, e più precisamente il secolo X, come
ricostruito da Guglielmo Cavallo, che la scrittura giunge a canonizzarsi, a differenza di Low( si canonizza quindi
un secolo prima). Come è possibile che dei monaci senza neanche uno scriptorium canonizzino la scrittura?!,
la risposta è che il centro non era Montecassino ma uno molto più grande e cioè Benevento. Tale fenomeno,
che Lowe collocava a Montecassino (allora abbandonata, come detto), deve invece essere avvenuto a
Benevento, la capitale del ducato: di qui si giustifica, a maggior ragione, la denominazione di beneventana.
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La beneventana, in quanto derivata dalla corsiva nuova, eredita anche l’uso dei legamenti, alcuni dei quali si
strutturano e ne divengono elemento caratterizzante.
Alcuni legamenti sono obbligatori, nel senso che se le lettere che li riguardano sono una accanto all’altra, il
legamento deve essere fatto (e ciò significa che il copista era stato formato per scrivere la sillaba in
legamento). 37
Legamenti facoltativi
Tipizzazione cassinese
Low ha impostato tutto il suo discorso senza considerare altre realtà a l di fuori di Montecassino è per il centro
culturale e politico che era. Tra prima e seconda metà del sec. XI Montecassino raggiunge il suo periodo di
maggiore splendore e, grazie ad alcuni abati, come Teobaldo (1022-1035), Richerio (1038-1055) e soprattutto
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Desiderio (1058-1086), poi divenuto pontefice con il nome di Vittore III (1087), il monastero divenne centro
di studi e soprattutto luogo di copia di manoscritti, spesso splendidi esemplari. Fu appunto alla metà del
secolo che fu elaborata a Montecassino una tipizzazione che prende il nome di «beneventana cassinese».
Caratteristica principale della beneventana cassinese è il fatto di essere eseguita con una penna mozza a
sinistra che determina un forte chiaroscuro tra pieni e filetti: in particolare i tratti orizzontali, verticali e obliqui
da sinistra a destra sono grossi, mentre quelli obliqui da destra a sinistra sono sottili.
Altra caratteristica della tipizzazione cassinese è quella di spezzare le aste, eseguendole come fossero formate
da losanghe sovrapposte (fenomeno molto evidente nella lettera i).L’effetto che si crea con questa modalità
esecutiva prende il nome di «cordellato».
Inoltre lo scriba cassinese tende ad allineare i tratti orizzontali delle lettere, in modo da creare l’effetto ottico
di un filo continuo che attraversa la scrittura. Per Lowe, la minuscola cassinese rappresentava il
raggiungimento della piena maturità di questa scrittura (dunque la sua canonizzazione), mentre abbiamo già
visto che questa era già stata conseguita nel secolo precedente.
Questa scrittura ha avuto anche un proprio modo di scrivere la
musica. Prima di guido da Arezzo, non si indicava la nota ma
l’andamento della melodia. Notazione meumatica. I manoscritti
nella tipizzazione cassinese si distinguono anche per il tipo di
decorazione, caratterizzata da colori molto vivi (giallo, rosso, verde brillante) e da intrecci spesso chiusi da
motivi zoomorfi (di frequente compare l’elemento del cane che «morde» il racemo dell’intreccio). La
tipizzazione non la troviamo solo a Montecassino ma anche in tutti quei paesi che erano sotto l’influsso
culturale e politico di Montecassino.
Tipizzazione Barese
A Bari e nelle aree di influenza barese si sviluppa, a partire dagli inizi del sec. XI, una tipizzazione della
beneventana che prende appunto il nome di «barese». Questa tipizzazione si caratterizza per:
• modulo grande delle lettere;
• rotondità delle forme;
• assenza di chiaroscuro (dovuta all’uso di una penna