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Identificato anche come stile accomodante, è associato con il tentativo di occultare le differenze ed enfatizzare

le cose in comune per soddisfare il coinvolgimento degli altri. Presenta un elemento che potremmo definire di

«autosacrificio» in quanto può nascondere sia un atteggiamento molto generoso e disinteressato ma anche un

modo per essere obbedienti nei confronti di qualcuno. Una persona accomodante nega il proprio interesse per

soddisfare quello dell'altra parte. Questo tipo di individuo è come un «assorbitore» di conflitto in quanto in

presenza di una situazione ostile, la affronta in modo positivo e amichevole senza però lavorare perché il

risultato sia la somma di diversi punti di vista.

3. Stile dominante: questo stile indica un alto orientamento verso se stessi e un basso orientamento verso

gli altri. Noto anche come competitivo, questo stile prevede che si metta in atto un comportamento finalizzato

a far prevalere la propria posizione su quella di un altro. Una persona dominante o competitiva fa di tutto per

vincere e conseguire il proprio obiettivo ignorando le aspettative e i bisogni dell'altra parte. Essere dominante

potrebbe significare difendere i diritti di qualcuno o difendere una posizione al di là della sua correttezza con

l'obiettivo di vincere a ogni costo. Chi possiede una posizione formale può adottare questo stile per chiedere

agli altri di obbedire, al contrario, se non si detiene una posizione formale di potere, si potrà cercare di simulare

di avere un potere coinvolgendo i propri superiori ed esercitando, per via indiretta, il potere formale.

4. Stile elusivo: questo stile indica un basso coinvolgimento verso di sé e verso gli altri. È stato associato

con il comportamento di chi «si chiude gli occhi e si gira dall'altra parte» al fine di non esporsi in nessuna

situazione. Chi partecipa al conflitto con questo stile potrebbe lavorare per ritardare la decisione proprio per

evitare il conflitto, ma potrebbe essere anche una modalità utile soprattutto in situazioni dove le questioni

trattate sono di scarsa rilevanza, in cui si hanno poche informazioni o quando il ruolo gerarchico ricoperto è

così basso rispetto alla controparte che ci sono poche possibilità di incidere sulla decisione.

5. Stile della ricerca del compromesso: questo stile indica una mediazione tra il proprio interesse e quello

degli altri e riguarda la condivisione di un approccio orientato sia al dare che al ricevere all'interno della quale

entrambe le parti donano qualcosa al fine di pervenire a una decisione accettabile da entrambe scambiandosi

concessioni e ricercando velocemente una posizione intermedia. Questo stile di gestione è intermedio tra il

dominante e il sottomesso e tra lo stile elusivo e collaborativo, ma rispetto a quest'ultimo approfondisce meno

le questioni e lavora meno per costruire un consenso comune.

3.3. Fattori e diagnosi di un conflitto

Per essere in grado di gestire un conflitto è importante comprendere le possibili cause al fine di capire in che

modo il semplice sussistere di una determinata situazione possa essere portatrice di conflitti più o meno ampi.

Si illustreranno di seguito i fattori che possono generare conflitti e un possibile modello per diagnosticarne le

caratteristiche.

I fattori che generano conflitti

I fattori scatenanti di un conflitto possono essere di natura individuale, situazionale e organizzativa. I fattori

individuali dipendono dalle caratteristiche delle persone che all'interno di un'organizzazione sono chiamate a

lavorare insieme. Una tipica fonte che può generare il sorgere di un conflitto tra persone è rappresentata da

valori, atteggiamenti e convinzioni. Anche i bisogni diversi all'interno di una stessa organizzazione possono

portare alla generazione di conflitti: un individuo può essere motivato a soddisfare un determinato bisogno

trovandosi costretto a cooperare con un altro individuo che, invece, indirizza le sue azioni per soddisfare un

altro tipo di bisogno, generando una possibile situazione conflittuale. Anche le distorsioni determinate da una

erronea percezione o da un giudizio sull'altro possono essere classificate come fattori individuali che generano

conflitto: se percepiamo una persona come una minaccia o abbiamo elaborato degli stereotipi sugli

atteggiamenti che avrà un collega con cui ci interfacciamo, sarà molto difficile riuscire a superarli senza creare

una situazione conflittuale. Un elevato grado di interdipendenza porta i soggetti a scambi comunicativi

frequenti e di cospicua intensità informativa aumentando le possibilità di generare conflitto. Il doversi

interfacciare frequentemente con altri gruppi o persone per svolgere il proprio lavoro, eventualmente

modificando in itinere il processo d'azione, sono situazioni che generano potenzialmente conflittualità. Molte

delle cause che generano conflitti, inoltre, sono di natura organizzativa in quanto risiedono nelle regole, nelle

politiche e nel loro funzionamento. Un meccanismo classico di organizzazione del lavoro che genera conflitto

tra funzioni è quello della specializzazione orizzontale del lavoro, secondo il quale le attività sono suddivise in

base al loro livello di omogeneità. Un'altra fonte di possibili tensioni è rappresentata dalle scelte fatte in ambito

di progettazione, dove si possono ottenere casi di influenza e autorità multipli.

La diagnosi di un conflitto

Per meglio comprendere caratteristiche, dimensioni e livello di risoluzione di un conflitto è necessario tenere in

considerazione alcune dimensioni. La figura di seguito presenta un'interessante mappa per decriptare e

diagnosticare un conflitto. In particolare, al fine di raccogliere informazioni utili per affrontare una situazione

conflittuale è necessario considerare:

• l'oggetto della questione: se il conflitto riguarda temi riconducibili a valori e credenze sarà molto più

difficile da e risolvere poiché ciò che diventa importante è «salvare la faccia»; quando invece la materia del

contendere riguarda questioni concrete e in qualche modo quantificabili, è più semplice riuscire a trovare una

soluzione condivisa tra le parti;

• la dimensione degli interessi: più gli interessi in gioco sono alti più sarà difficile risolvere il conflitto in

quanto la posta in gioco risulta rilevante e le parti in causa faranno del tutto per raggiungere una soluzione a

loro vantaggio anche se si penalizza la controparte;

• la struttura del gioco negoziale: nei giochi «a somma zero» le parti assumono la posizione di vincitore e

perdente poiché un risultato positivo per una parte implica una perdita per l'altra parte. Questa situazione

risulta maggiormente problematica e di difficile risoluzione di quella dove esistono soluzioni vantaggiose per

entrambi;

• la continuità dell'interazione: se le parti coinvolte nel conflitto hanno costruito nel tempo una relazione

storica che presenta aspetti interessanti anche per il futuro, avranno entrambi l'interesse a mantenere la

relazione e a trovare una soluzione al conflitto che la preservi;

• la presenza di leadership: qualora sia presente una leadership forte, questa potrà assumere il ruolo di

guida nella risoluzione del conflitto ed, essendo riconosciuta da entrambi le parti, suggerire soluzioni e offrire

garanzie. Qualora invece, questo ruolo di guida dovesse essere assente, le parti non avrebbero nessun soggetto

che riconoscono come indipendente e il conflitto è più difficile da risolvere;

• la percezione dell'andamento del conflitto: qualora una parte abbia l'impressione che l'altra stia

cedendo al fine di giungere a un accordo, sarà più incentivata a mettere in discussione la propria posizione e a

trovare una soluzione.

3.4 Il conflitto come processo

Pensando al conflitto si è portati a immaginare una situazione di acceso litigio tra colleghi o invio di

comunicazioni aggressive riguardante un particolare fatto. Tuttavia, per comprendere efficacemente le sue

dinamiche è necessario pensarlo non come un singolo evento, quanto piuttosto come un processo dinamico

composto da una serie di momenti che le persone coinvolte possono affrontare con modalità differenti.

Alla luce di queste considerazioni si può pensare al conflitto come a un processo articolato in cinque fasi:

• della latenza;

• cognitiva;

• della percezione emozionale o affettiva;

• comportamentale;

• della risoluzione.

La prima fase è quella della latenza e la fonte principale del conflitto è rappresentata da condizioni latenti che

risiedono in una combinazione complessa dei fattori sopra evidenziati combinati con situazioni e condizioni

antecedenti che possono essere anche scarsamente esplicite ed evidenti. La seconda fase è quella cognitiva,

quando il conflitto viene percepito e riconosciuto: le parti in causa acquisiscono per la prima volta la

consapevolezza della presenza di una situazione di tensione in cui sono coinvolte. La fase affettiva trova il suo

compimento nella manifestazione aperta del conflitto che si esprime in forma di comportamenti che

dovrebbero frustrare gli obiettivi della controparte. La fase finale del processo, quella denominata della

risoluzione, vede l'emergere delle conseguenze e degli esiti del conflitto aperto che, se non gestito, porterà con

sé l'emergere di nuovi conflitti.

3.5 La gestione della relazione conflittuale

In relazione ai tempi, è molto importante infatti essere consapevoli dell'importanza di una efficace

comunicazione e della costruzione di relazioni e del dialogo come strumento di confronto organizzativo. Questa

consapevolezza permetterà, infatti, di attuare degli interventi che potremmo definire di profilassi per un

eventuale conflitto, in quanto hanno lo scopo di migliorare la disponibilità a instaurare relazioni di tipo

cooperativo. Spesso si tende a supporre che sarà il tempo a rimuovere le cause, ipotizzando che il rinvio possa

essere un metodo efficace che può portare, come effetto contrario, a una sua esasperazione. Proprio per

questo è importante affrontare le situazioni di conflitto tramite interventi diretti come ad esempio il confronto.

Capitolo 6- Leggere, costruire e gestire la cultura organizzativa

1 Cultura e organizzazione

La cultura organizzativa è considerata il modo solito è tradizionale di pensare e di fare le cose, l'insieme delle

modalità di agire e dei valori che un'organizzazione esprime quando opera e quando decide, un sistema di

norme, il complesso dei comportamenti usati quotidianamente, la filosofia di fondo, un modo comune di

vedere le cose, un sistema di significati collettivamente accettati, l'insieme dei valori dominanti, una forza che

tiene insieme l'organizza

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
38 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/06 Economia applicata

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Morenopanetto di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Organizzazione di aziende turistiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cagliari o del prof Pinna Roberta.