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Il legame tra stress e comportamento irrazionale
Quanto maggiore è lo stress a cui siamo sottoposti, tanto più ci sentiamo impauriti, incerti e insicuri, e tanto più irrazionale tende a diventare il nostro comportamento. Sotto stress le persone tendono a dire una cosa, mentre il loro comportamento suggerisce qualcosa di totalmente diverso. Questo significa disastro per le ricerche di mercato che si basano sul fatto che i consumatori siano precisi e onesti; la nostra mente inconscia è molto più brava a interpretare il nostro comportamento.
Le aziende spesso non sanno che cosa fare per coinvolgere in modo autentico anziché semplicemente attirare la nostra attenzione; ancora non sanno rispondere a una domanda fondamentale: che cosa spinge, come consumatori, a fare le scelte che facciamo? che cosa ci fa scegliere una marca o un prodotto anziché un altro?
Le aziende tirano avanti con le stesse strategie e le stesse tecniche di sempre; nel marketing fanno ancora le stesse vecchie ricerche quantitative.
E qualitative, quando non sanno che minuscoli fattori, impercettibili quasi, possono influenzare le risposte di un focus group. Per questo, è più probabile che le vere reazioni ed emozioni che proviamo come consumatori si trovino più facilmente nel cervello, fra il pensiero e la sua traduzione in parole (nel 2003 le aziende non sembravano capire i consumatori); inoltre, non riuscivano a trovare e sviluppare marchi che corrispondessero alle nostre esigenze, né sapevano bene come comunicare in modo che i loro prodotti raggiungessero la nostra mente e il nostro cuore.
La neuroscienza rivelava che le marche sono molto più che semplici prodotti riconoscibili confezionati in modi che catturano l'occhio; no ad allora tutti gli esperimenti di neuroimmagine si erano concentrati su un prodotto particolare, mentre lo studio non sarebbe stato solo un brand specifico ma di esplorare cosa significhi realmente per i nostri cervelli.
Il concetto di "brand". Inoltre, avrebbe potuto non solo trasformare il modo in cui le aziende progettano, commercializzano e pubblicizzano i loro prodotti ma anche capire che cosa succede veramente dentro il nostro cervello quando prendiamo le decisioni su che cosa acquistare.
Nel 1965 un consumatore medio ricordava un 34% di pubblicità, nel 1990 era scesa all'8% per vari motivi:
- dovuto al bombardamento mediatico di oggi sempre più veloce, mutevole e attivo.
- generale mancanza di originalità da parte dei pubblicitari.
Oggi, il sistema di filtraggio nel nostro cervello è diventato molto esteso e autoprotettivo; noi che guardiamo la televisione non riusciamo a distinguere una marca dall'altra eppure le grandi multinazionali stimano circa 26 milioni di dollari l'anno per mettere il proprio marchio su una delle trasmissioni più seguite in tutta la storia della televisione.
Da spettatori, riuscivamo a cogliere la differenza fra i
prodotti che hanno un ruolo o recitano una parte in uno spettacolo televisivo o in un film (product integration) e i comuni spot pubblicitari da 30 secondi che vanno in onda durante le pause pubblicitarie. Ma è diventato difficile separare i due tipi di pubblicità. Questo assalto intenso alla pubblicità lo si può attribuire a una corsa finale calcolata dai pubblicitari contro nuove tecnologie che si vanno diffondendo, come TiVo che consente agli spettatori di saltare gli spot televisivi e vedere le trasmissioni preferite senza interruzioni. Il product placement (pubblicità occulta) è vecchio quanto il mezzo stesso, la sua più grande origine è stata negli anni 30 e ancora oggi siamo sovraccaricati e sommersi da un flusso costante di questo. Presto il 75% di tutte le trasmissioni in prime time presenteranno prodotti e intrecci che saranno stati pagati dagli inserzionisti pubblicitari e questo andrà ad oscurare ancora di più la linea.
di separazione fra pubblicità e contenuti creativi, tanto da alterare il significato stesso di intrattenimento. Nel corso degli anni, le ricerche di neuromarketing hanno scoperto che il ricordo di un prodotto da parte dei consumatori è la misura più pertinente e affidabile dell'efficacia di una pubblicità; inoltre, è collegato con il futuro comportamento d'acquisto dei soggetti, in altre parole, è di gran lunga più probabile che allunghiamo la mano per prenderli quando andremo in un negozio, o che li aggiungiamo al carrello la prossima volta che faremo acquisti online. I soggetti mostravano un ricordo significativamente maggiore dei logo "branded" (quelli che avevano piazzato strategicamente i loro prodotti nel corso della trasmissione o pubblicizzati durante il programma) rispetto a quelli "non branded"; i primi avevano espulso quelli "non branded". Due grandi aziende come la coca e la ford avevanoImprontato le loro campagne utilizzando la stessa strategia di comunicazione, entrambe avevano speso la stessa quantità di denaro ed entrambe avevano avuto in onda un numero enorme di pubblicità durante lo stesso programma per cui entrambe avevano raggiunto lo stesso numero di spettatori; ma perché la strategia Coca-Cola aveva avuto tanto successo e quella della Ford no? Per capire perché, bisogna riflettere sul modo in cui le loro pubblicità erano integrate nel programma, Coca ad esempio era pienamente integrata nella narrazione. In sostanza, i risultati dicono che non abbiamo ricordo di marche che non svolgono una parte integrante nella storia di un programma. I prodotti che diventano parte integrante della narrazione di un programma non sono solo più memorabili, ma sembra che abbiano un effetto bidirezionale; non solo aumentano l'intensità del nostro ricordo di un prodotto ma indeboliscono anche la nostra capacità di ricordare le
altre marche.
Nel 1992 uno scienziato italiano, Giacomo Rizzoletti stava studiando il cervello o meglio esaminando una regione del cervello di una specie di scimmia, il macaco; parte che i neuroscienzati chiamano F5, ovvero l'area promotoria.
Curiosamente, osservarono che i neuroni promotori si accendevano non solo quando la scimmia raccoglieva la nocciolina ma anche quando vedeva altre scimmie compiere quel gesto; semplicemente osservando, il cervello della scimmia aveva mentalmente imitato lo stesso gesto - fenomeno denominato "neuroni a specchio", neuroni che si attivano quando si compie un'azione e anche quando si osserva la stessa azione compiuta da altri.
Rizzoletti è riuscito a dimostrare che i neuroni specchio dei macachi rispondevano a quelli che sono chiamati "gesti finalizzati" cioè attività che coinvolgono un oggetto, a differenza dei movimenti casuali. In breve, è come se vedere e fare fossero una cosa sola.
Dai
neuroni specchio dipende anche il perché spesso senza volerlo, imitiamo il comportamento degli altri (losi può osservare per no nei bambini piccoli). I neuroni specchio sono in funzione anche quando avviene ilcontrario, esempio tutti tendiamo tutti a empatizzare quando succede qualcosa di brutto alle personebuone ma quando succedono brutte cose a persone cattive gli uomini provano un certo grado di piacere;per questo non si attivano solo quando osserviamo il comportamento di altri ma persino quando leggiamodi qualcuno che compie una certa azione.Tutto quello che vediamo fare ad altri lo facciamo anche noi, questi neuroni non solo ci aiutano ad imitare glialtri ma sono anche responsabili dell'empatia umana; inviano segnali al sistema limbico (regione delleemozioni nel nostro cervello), così che possiamo sperimentare che cosa significhi mettersi nei panni di unaltro.fi fi fi fi ff fiff ff ffi fi fl ffi fi ffi fi ff fl fi fiI neuroni specchio hanno aggirato illoro pensiero razionale e fatto sì che inconsciamente imitassero e acquisstassero quello che si trovavano di fronte; questo è il modo in cui questi agiscono su di noi come consumatori (possono rispondere anche a cose che vediamo online), tenendo anche conto che il comportamento degli altri modi ca la nostra esperienza d'acquisto e alla ne influenza le nostre decisioni. In effetti, esistono interi siti di video-sharing dedicati a questo genere per interposta persona; questo concetto dell'imitazione costituisce un fattore importante nel perché acquistiamo quello che acquistiamo (qualche volta basta vedere in continuazione un certo prodotto perché diventi più desiderabile). I neuroni specchio non lavorano da soli, spesso agiscono in coppia con la dopamina, una delle sostanze chimiche del piacere del cervello che da maggiormente dipendenza, e le decisioni d'acquisto sono guidate in qualche misura dai suoi effetti seduttivi. Retail therapy —>
il nostro vizio, ovvero lo shopping, che può creare dipendenza ed è diventato ormai una parte enorme di quello che facciamo nel nostro tempo libero. Ci rende davvero felici? si, almeno sul brevissimo termine, e quella dose di felicità può essere attribuita alla dopamina, quella scarica di ricompensa, piacere e benessere che va al cervello. Quando decidiamo di comprare qualcosa, le cellule cerebrali che liberano dopamina secernano un senso di benessere e alimentano il nostro istinto a continuare ad acquistare, anche quando la nostra mente razionale ci dice che abbiamo già fatto abbastanza. Secondo Brookheimer "l'attività della dopamina nel cervello aumenta in previsione di molti tipi diversi di ricompense, da quelle legate all'azzardo alle ricompense monetarie o sociali."; quella pazza ondata di piacere che proviamo in previsione all'acquisto è perché consciamente o meno calcoliamo gli acquisti in base a
status sociale e successo riproduttivo. Che lo sappiamo o no, valutiamo gli oggetti chic o di moda in gran parte in termini della loro capacità di migliorare il nostro status sociale. David Laibson: "il nostro cervello emotivo vuole azzerare la carta di credito, anche se il nostro cervello logico sa che dovremmo risparmiare in vista della pensione". In futuro, man mano che gli uomini di marketing cominceranno a capire meglio come i neuroni specchio pilotano il nostro comportamento, troveranno sempre più modi di sfruttarli per indurci ad acquistare. Il futuro della pubblicità non è fatto di fumo e specchietti, sono i neuroni specchio, i quali si dimostreranno per conquistare la nostra fedeltà, le nostre menti e i nostri portafogli, ancora più potenti di quanto gli stessi uomini di marketing avrebbero potuto immaginare. Vicary, oggi famoso per aver coniato il termine“pubblicità subliminale” sosteneva la forza di suggestione dei messaggi nascosti (nella pubblicità); aveva denunciato i metodi di manipolazione psicologica che il marketing stava portando nella pubblicità. I consumatori erano sempre più consapevoli di come venivano influenzati e cercavano di difendersi da queste tecniche.