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COMUNICAZIONE NEI PRIMATI E PRODUZIONE DI SUONI NEGLI UCCELLI

L’ipotesi che noi esseri umani siamo molto vicini agli scimpanzé, e quello che ci

divide da loro sono da un lato la configurazione anatomica del tratto orale

(abbassamento della laringe), e dall’altro lato l’aver sviluppato una cultura molto

avanzata, è esplicitamente sostenuta da Sue Savage-Rumbaugh, la studiosa che si

è occupata di Kanzi. 67

La sua ipotesi quindi è che le differenze tra sistema comunicativo animale e

linguaggio umano siano di tipo quantitativo, non qualitativo, e che il secondo (il

nostro linguaggio) sia un’evoluzione del primo. Si tratta di una posizione

continuista.

Le grandi scimmie antropomorfe (apes) sono gli animali più vicini a noi dal punto di

vista evolutivo. Analizzeremo le loro forme di comunicazione per verificare se siano

qualitativamente simili al nostro linguaggio.

Il cercopiteco verde usa tre distinte vocalizzazioni (alarm calls) per segnalare al

gruppo la presenza di un leopardo (latrato rumoroso), di un’aquila (breve colpo di

tosse bisillabico); o di un serpente (una sorta di sbuffo). E il gruppo reagisce in modo

conforme (sentendo il verso per il leopardo, sale sull’albero; per l’aquila guarda in

alto; per il serpente si tira su e guarda in basso).

Tuttavia non è chiaro se le espressioni vocali di queste scimmie abbiano davvero un

significato referenziale: il fatto che il gruppo reagisce coerentemente ai vari segnali

non implica necessariamente che si rappresenti mentalmente il referente leopardo.

La risposta appropriata potrebbe essere semplicemente una risposta emotiva senza

meccanismi cognitivi sottostanti.

Inoltre, è stato dimostrato che le vocalizzazioni delle scimmie sono determinate

geneticamente (fissate dalla nascita e non acquisite) e soprattutto sono vincolate: i

presenza dello stimolo adeguato, le scimmie non riescono a sopprimere la

produzione della vocalizzazione.

Diversi ricercatori si sono invece focalizzati sui comportamenti gestuali delle grandi

scimmie nello stato di natura, e hanno individuato la caratteristica della

intenzionalità: i gesti venivano prodotti con l’intenzione di comunicare determinati

messaggi ai loro interlocutori.

Questo è evidente dal fatto che uno scimpanzé poteva attirare volontariamente

l’attenzione del suo interlocutore prima di compiere un gesto comunicativo, e che

inoltre perseverava nel fare il gesto se l’interlocutore non rispondeva in maniera

adeguata.

Tuttavia, ci sono importanti differenze tra questi gesti comunicativi e il linguaggio

umano: in primo luogo, non c’è una vera consistenza tra gesto e referente (diversi

individui usano gesti diversi; più gesti vengono usati per lo stesso significato; lo

stesso gesto può significare cose diverse).

Ma, soprattutto, questi gesti non vengono mai combinati tra di loro in maniera

produttiva: le sequenze di gesti prodotti in maniera spontanea da primati non umani

non seguono alcuna regola di combinazione. Ossia, quando i primati producono

combinazioni di gesti, il risultato ottenuto non è né diverso in significato ma neanche

più efficiente della produzione di un singolo gesto.

68

Le limitazioni nel sistema comunicativo spontaneo dei primati potrebbero essere

dovute al fatto che non hanno sviluppato una cultura molto avanzata.

Per questo motivo, la ricerca si è anche focalizzata sui tentativi di insegnare ai

primati non umani il linguaggio umano, facendoli crescere sin da piccoli insieme agli

uomini.

Negli anni ‘40 due psicologi, Keith e Catherine Hayes, educarono una scimpanzé,

Viki, come una bambina, e cercarono di insegnarle a parlare, con metodi logopedici.

Tuttavia, dopo 6 anni di istruzione, Viki riuscì solo a pronunciare in maniera appena

intelligibile solo 3 parole (mama, papa, cup).

Ma visto il cavo orale degli scimpanzé non è in grado di articolare i suoni in maniera

fine a causa della diversa configurazione del tratto vocale, che non ha la laringe

abbassata come negli uomini, e la cui configurazione anatomica non permette la

modulazione dei suoni, il fatto che Viki non sia del tutto riuscita a imparare il

linguaggio umano vocale potrebbe essere dovuto a vincoli anatomici.

Per verificare se il fallimento di Viki nell’acquisire il linguaggio fosse dovuto a

limitazioni anatomiche, si provò a insegnare la lingua dei segni a primati

antropomorfi

Negli anni ‘70 part’ il progetto Nim: educare uno scimpanzé come un bambino e

insegnargli la lingua dei segni.

Herbert S. Terrace, lo psicologo che diede avvio al progetto Nim, e che lo seguì per

tutto il periodo, riporta che Nim aveva imparato 125 segni. Nim produceva anche

sequenze di segni.

Tuttavia Terrace decise di analizzare in dettaglio tutte le sequenze (20.000) di segni

prodotte da Nim, per verificare se fosse rintracciabile una qualche consistenza.

Trova una certa coerenza nell’ordine delle parole per combinazioni di due segni (Nim

tende a segnare «more [più] X» più che «X more [più]»; e preferisce segnare «Verbo

+ Me/Nim» più che «Me/Nim + verbo»).

Nota però che le combinazioni di 3 o più segni sono qualitativamente diverse da

quelle di un qualsiasi bambino di 2 o 3 anni. Nei bambini infatti produrre 3 o più

parole significa aggiungere informazione e complessità; invece per Nim si tratta

quasi sempre solo di ripetizioni superflue di segni.

Conclude che con il passaggio da 2 a 3 o 4 segni non sembra che venga aggiunta

una elaborazione semantica o sintattica. 69

C’è un’altra differenza sostanziale con quello

che succede con l'acquisizione del linguaggio:

per i bambini (udenti o sordi segnanti nativi), la

lunghezza media degli enunciati prodotti

aumenta in funzione dell’età. Per Nim, invece,

nel periodo preso in considerazione (tra i 26 e i

39 mesi) non si assiste a un graduale aumento

della complessità.

Infine, Terrace nota come Nim produce segni

solo per ottenere cose, e mai per commentare

una situazione.

La sua conclusione è quindi decisamente

scettica: sebbene Nim abbia imparato

l’associazione tra 125 segni e loro referenti, non

è in grado di combinare questi segni.

Terrace, infine, muove una serie di forti obiezioni al progetto stesso di insegnare

la lingua dei segni ai primati (obiezioni che rivolge esplicitamente anche a

Washoe e Koko): le produzioni dei primati si rivelano essere quasi sempre semplici

imitazioni o ripetizioni di quanto viene segnato dall’uomo. Sarebbe poi l’interlocutore

umano a “riempire di significato” i segni prodotti dal primate. Si tratta di critiche

metodologiche.

Ci concentriamo quindi sui tentativi fatti con Kanzi, un bonobo, perché la

metodologia adottata per verificare le competenze linguistiche di Kanzi cerca di

rispondere alle obiezioni viste precedentemente.

Kanzi

I bonobo (Pan paniscus) sono stati classificati in passato come una sottospecie di

scimpanzé ma oggi sono riconosciuti come specie distinta. Dal punto di vista

genetico sono molto simili all’uomo.

Kanzi è stato addestrato ad usare una tastiera con lessigrammi, in cui ogni tasto è

contrassegnato da un simbolo astratto che corrisponde a una parola inglese. La

tastiera contiene 256 lessigrammi.

Usare la tastiera con i lessigrammi permette di valutare meglio l’effettiva competenza

linguistica di Kanzi, perché offre dei parametri più “oggettivi”.

Analizziamo quindi più nel dettaglio le caratteristiche sorprendenti del linguaggio di

Kanzi. Egli arriva a conoscere il significato di tutti i simboli della tastiera e comprende

anche circa 800 parole inglesi.

Per quanto riguarda la produzione linguistica di Kanzi, Kanzi è in grado non solo di

scegliere il simbolo appropriato quando glielo si chiede, ma anche di produrre lui

70

stesso delle combinazioni di simboli, o combinazioni di simboli più gesti, per formare

delle frasi.

Kanzi può produrre combinazione tra un simbolo della tastiera (che indica il verbo) e

un gesto (indica agente e paziente dell’evento). I gesti sono un modo (in alcuni casi)

per indicare chi è l’agente e chi è il paziente dell’azione a cui fa riferimento la parola

della tastiera.

In queste combinazioni, l’ordine di parole e gesti non segue l’ordine delle parole

delle frasi attive dell’inglese: il gesto che indica l’agente dell’azione segue il verbo,

mentre nelle frasi attive dell’inglese la parola che si riferisce all’agente precede il

verbo.

Crescendo Kanzi ha iniziato ad esprimersi producendo delle combinazioni di simboli

con la tastiera. Si tratta di combinazioni di due simboli, che indicano nomi o verbi.

Quando usa combinazioni di simboli, Kanzi tende a riprodurre l’ordine delle parole

inglesi, producendo combinazioni come HIDE + PEANUT.

Ma anche altre combinazioni che non seguono l’ordine come CHILD SIDE +

CARRY.

Questi fatti, osserva Savage-Rumbaugh, indicano che Kanzi usa delle regole per

produrre combinazioni di parole o combinazioni di parole e gesti:

“La nostra analisi suggeriva che Kanzi aveva sviluppato alcune semplici strategie

grammaticali che erano basate sul suo riconoscimento del ruolo che le parole hanno in

comunicazioni differenti. Non solo tendeva a usare l’ordine delle parole dell’inglese quando

combinava dei simboli, ma escogitava delle regole proprie per combinare gesti e simboli. Le

comunicazioni di Kanzi mettevano fortemente in discussione l’affermazione che solo gli

esseri umani sono in grado di compiere il processo di pensiero che consiste nel manipolare

dei simboli veramente arbitrari secondo delle convenzioni grammaticali.”

La conclusione a cui giunge la Savage-Rumbaugh è forse troppo forte. Kanzi arriva

a produrre combinazioni di due simboli, e sebbene quando usa la tastiera con i

lessigrammi è rintracciabile una certa consistenza, l’ordine non è sempre

consistente, e quando c’è la combinazione di simboli più gesti è diverso.

Un’altra critica che era stata mossa a progetti precedenti che avevano coinvolto i

primati (Kim, Koko e Washoe) era che le loro produzioni spontanee (non elicitate in

risposta a domande degli interlocutori) riguardavano solo e unicamente richieste che

l’interlocutore compiesse delle azioni, ad esempio dare del cibo.

Anche quando Kanzi produce delle combinazioni di parole, di solito vuole ottenere

qualcosa, vuole che il suo interlocutore faccia qualcosa. Di solito, ma non sempre.

Greenfield e Savage-Rumbaugh (1991) osservano che il 4% delle comunicazioni di

Kanzi è costituito da commenti, cioè da comunicazioni che non hanno lo scopo di

Dettagli
Publisher
A.A. 2024-2025
77 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/02 Logica e filosofia della scienza

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GG18062004 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia della mente, logica e lingue naturali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Panzeri Francesca.