Pertanto, la predicazione con verità consiste sempre nell’esplicitazione con verità di un rapporto di
appartenenza tra predicato e soggetto: finché la predicazione è vera, la natura della cosa racchiudeva quel
predicato. La predicazione di un predicato secondo verità dipende perciò dalla storia che fa sì che tale
predicato sia predicabile di quella sostanza. Non dimentichiamo che la storia è una manifestazione della
natura. Facciamo un es. per capire meglio: chi sa che la natura della neve prevede il bianco, allora sa anche
che la nozione di neve comprende anche il predicato bianco. Pertanto della neve potremo predicare
veridicamente che è bianca perché il bianco è consustanziale alla neve. Mentre Dio conosce immediatamente
tutti i predicati consustanziali di una nozione, noi ci muoviamo all’interno di una zona di chiaro-scuro per cui
qualcosa sappiamo, ma non tutto di tutte le nozioni.
Un accidente è qualcosa che certamente possiamo predicare di un soggetto ma che non esaurisce
sufficientemente ovvero totalmente la nozione di quella sostanza individuale – diversamente da un predicato.
Ad es. l’accidente “essere re” è un accidente poiché di Alessandro Magno non possiamo predicare tutta la sua
sostanza a partire dall’essere stato re.
Diversamente, in Dio, la conoscenza della sostanza individuale avviene tout d’un coup nel senso che
Dio non ha bisogno di esperirci storicamente poiché a priori, immediatamente, a lui è chiara la nozione della
sostanza individuale che noi siamo e perciò anche tutti i predicati che di noi si possono predicare. Agli occhi
di Dio è già tutto chiarissimo, non c’è alcuna oscurità su quali siano i predicati che ci contraddistinguono.
Solamente Dio però ha la possibilità, in ogni sostanza individuale, riconoscere tutti i predicati che gli
appartengono ma anche di quelle tracce che ogni individuo porta in sé di tutta la storia dell’universo.
Il rischio che corre Leibniz è quello di condannare la realtà ad una forte staticità: tutto quanto infatti
risulta essere già presente alla vista di Dio.
6° lezione
Tutto quanto deve accadere per Leibniz è già presente alla mente di Dio: tutto sta già lì perché Dio,
scientemente, ha scelto questo mondo sapendo già che cosa includesse al suo interno – quale fosse la natura
delle singole individualità. Il dispiegarsi storico-epifenomenico delle azioni dei vari soggetti non è altro che
una storicizzazione di quanto metafisicamente è già presente, da sempre, in Dio. Tutto è già da sempre
compiuto e realizzato. In questo senso possiamo parlare di iper-determinismo nel senso che tutto quanto
accade è determinato, ma non abbiamo il necessitarismo in Leibniz – ovvero la costrizione a fare quello che
è determinato. Leibniz per salvaguardare la libertà del soggetto ricorre a diversi espedienti come ad es. la
libertà della spontaneità – il fare qualcosa senza sapere per quale motivo proprio ora io debba fare x. Nessuno
mi forza a fare delle cose che non siano previste dalla mia stessa natura. Peccato però che la mia natura è
stata scelta – et tertia non datur.
La “nozione” è pertanto ciò che racchiude tutto quanto può essere predicato di un soggetto. Allora la
sostanza individuale che cos’è? Il predicato è predicabile di S solo se la nozione racchiude quel determinato
predicato. La sostanza individuale che si dispiega storicamente è già tutta compresa all’interno della nozione.
Non c’è nulla nella sostanza individuale che non sia contemplato già nella nozione. In questo senso possiamo
parlare di una radicale semplicità.
- Innanzitutto, non si tratta solo di una diversità numerica tra individui, sono due enti diversi anche se
sembrano indistinguibili: dal punto di vista metafisico infatti non è possibile identificare un soggetto
con un altro dal momento che la nozione dell’uno non è quella dell’altro.
- Le intelligenze angeliche – citate da Tommaso – saranno materiali o spirituali? Saranno spirituali.
Allora saranno dei generi? No, non c’è qualcosa che non sia un individuo. Ognuna è perciò specie a
sé – specie infima. Ma ciò vale per qualsiasi individuo: ognuno è specie a sé. Perciò le individualità
non si distinguono solo in quanto a diversità numerica ma anche in quanto a differenze sostanziali
che, sebbene infinitesime, rendono il creato come lo conosciamo. La “differenza specifica” è perciò
questa differenza infinitesima.
- La sostanza individuale non può darsi se non a partire da un atto creativo – d’une seule volonté – o di
un atto di annichilimento. Nella misura in cui Dio pensa, si tratta di un atto fulmineo, folgorante, dove
il molteplice è riunito in un atto creativo unitario.
- La sostanza individuale non è inoltre divisibile per due, si tratta di un atomo: non abbiamo, cioè, la
possibilità di trovare un’altra sostanza che sia la medesima di quella iniziale. Dettaglio dopo dettaglio,
riporto nella mia natura, cioè nella nozione della mia sostanza l’intero universo: siamo specchio
dell’intero universo e di Dio. Noi rappresentiamo il progetto dell’universo voluto da Dio che
individualmente prende forma. “Ogni sostanza è come un intero mondo e come uno specchio di Dio”.
(questo discorso verrà ripreso nella Monadologia con qualche differenza. Nel Discorso di metafisica
infatti abbiamo che la sostanza individuale coincide con la nostra esistenza storica, accadrà
diversamente invece nella Monadologia perché la monade sta a monte degli individui storici).
Ecco quindi che Leibniz afferma come ogni singola sostanza individuale esprima, a suo modo, in maniera
più o meno chiara, ciò che è l’intero universo stesso, costituito dal passato, dal presente e dal futuro, ma
soprattutto ogni sostanza è espressione di quella volontà divina unica che ci ha posti in essere, avendoci scelti
per la nostra natura. La realtà divina è unica poi si diffrange in una molteplicità di sostanze individuali.
(potrebbe anche aver senso quanto sosteneva Lacan relativamente all’oggetto: l’oggetto non è solo un
oggetto che ci sta di fronte ma è anche un oggetto che ci guarda a partire dalla sua esemplificazione
dell’universo intero). È vero che non abbiamo una conoscenza sempre chiara e distinta della realtà, ma
siccome la nostra natura porta le tracce del fondo originario divino dal quale trae il principio, ecco che
comunque siamo espressione di quel divino che è pervasivo del reale.
La nostra conoscenza, diversamente da quella divina che è d’une seule vue, è di natura processuale,
cioè, segue una dinamica, è un farsi. Tale conoscenza certamente ha qualche somiglianza con quella divina
dato che deriva da quella, ma è anche una conoscenza estremamente situata: si tratta di un punto di vista sul
reale che sta a fianco di molteplici altri punti di vista. Con questi altri punti di vista, che altrettanto esprimono
l’universo a modo loro, il mio punto di vista si armonizza sempre con la conoscenza divina. Le varie
rappresentazioni dell’universo non sono perciò disarmoniche le une le altre, ma sono piuttosto espressione
di un’unica conoscenza divina. Nella misura in cui il mio punto di vista narra o rappresenta qualcosa, ecco che
io rappresento anche tutto l’universo sebbene poi l’azione abbia luogo relativamente ad un particolare ambito
del reale. C’è una similitudine tra la mia conoscenza e quella degli altri con la onniscienza del divino, cosi come
c’è una similitudine tra la mia azione e l’onnipotenza divina.
Qui Leibniz si sta riferendo ai filosofi dell’antichità come Platone e Aristotele. Leibniz parla delle
“forme sostanziali” come di quelle forme perfette che non mancano di nulla. Con la fisica moderna osserva
Leibniz queste forme sostanziali vanno incontro ad una crisi venendo condannate. Il problema ci dice Leibniz
è che la modernità pare aver dimenticato che il piano metafisico non è il piano epifenomenico. Pertanto,
quando la fisica moderna spiega i fenomeni credendo di aver esaurito tutto ciò che deve essere spiegato, ecco
che cade in un grave errore. Le forme sostanziali che vengono condannate dalla modernità, non dobbiamo
dimenticare che hanno una loro portata metafisica reale – dice Leibniz.
Leibniz intende mostrare come la conoscenza scientifica – fatta di ipotesi ed esperimenti – non possa
fare a meno della conoscenza metafisica ovvero della conoscenza delle forme sostanziali, pena una
conoscenza limitata. Si tratta, pertanto, di due piani di conoscenza che si intrecciano tra di loro e che non
possono fare a meno l’uno dell’altro. L’autonomia esplicativa del piano fisico non si traduce tuttavia in
un’autosufficienza dello stesso perché abbiamo anche il piano metafisico dal quale non possiamo prescindere.
Certamente dal punto di vista esplicativo posso dare una spiegazione dei fenomeni che vado
studiando – il geometra, il politico, il fisico – ma questo non toglie nulla all’importanza del piano metafisico
che spiega la realtà a partire da altri elementi. L’errore per Leibniz si presenta quando il piano esplicativo
commette delle ingerenze sul piano metafisico: ogni piano è valido, l’importante è che il primo non punti a
spiegare quanto appartiene al secondo. Attenzione inoltre ci dice Leibniz a non confondere l’esplicazione fisica
con il senso metafisico: la prima non è sufficiente a render conto del piano metafisico, infatti si dovrà ricorrere
alla filosofia per la comprensione del senso metafisico. Sapere che una cosa funziona in un determinato modo
–causa finale – ha sicuramente una valenza euristica ma non ha un carattere esplicativo; allo stesso modo le
forme hanno una loro validità, ma non possiamo portare le esplicazioni sul piano metafisico.
Leibniz, recuperando le forme sostanziali per spiegare il piano metafisico, ci sta dicendo che non è
stato semplice, ha dovuto infatti dedicare del tempo allo studio di queste forme anche attraverso delle
esperienze-esperimenti. Il recupero di tali forme, cioè il recupero anche della filosofia antica, non deve perciò
portare i suoi interlocutori a pensare che Leibniz sia un sempliciotto che non abbia affatto studiato la storia
della filosofia. Ciò che intende rimarcare Leibniz è il fatto che tali forme sostanziali, da lui recuperate, non
devono essere util
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Metafisica di Aristotele - Libro primo