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(ALT).
Il lattato deriva dal ciclo di Cori, mentre l’alanina deriva dal ciclo glucosio-alanina. Lattato e alanina
prevedono una prima fase di gluconeogenesi nel fegato, a cui segue il trasporto e l’utilizzazione del glucosio
nei tessuti periferici. Quindi, lattato e alanina escono dal muscolo, vanno al
fegato, dove producono glucosio, e quest’ultimo esce dal fegato e va in circolo
per ripristinare la glicemia. All’interno del muscolo, la glicolisi, a partire da
glucosio (o glicogeno), produce piruvato che, in condizioni di anaerobiosi,
fermenta e diventa lattato. Durante un esercizio fisico intenso, il lattato si
accumula nel muscolo, quindi esce da quest’ultimo ed entra nel fegato,
stimolando la gluconeogenesi, ossia la produzione di glucosio nel fegato. Il
glucosio accumulatosi esce dal fegato e raggiunge nuovamente il muscolo. Tale
processo è noto come ciclo di Cori (immagine a sinistra). Ciò significa che
l’acido lattico che produciamo durante uno sforzo muscolare richiama nuovo
glucosio per permettere al muscolo di continuare a lavorare sotto sforzo. Il
lattato, oltre ad uscire e stimolare la gluconeogenesi, parallelamente inibisce la
glicolisi, in particolare un enzima di questo processo noto come
fosfofruttochinasi I, il quale ha il lattato tra i vari
regolatori allosterici. L’inibizione di questo
enzima da parte del lattato avviene in seguito ad un abbassamento del pH, che
induce un cambio conformazionale dell’enzima con successiva perdita di
funzione. In sintesi, la presenza di lattato nel muscolo rallenta la glicolisi in
quest’ultimo e stimola la gluconeogenesi nel fegato. Anche durante il ciclo
glucosio-alanina (immagine a destra), vi è un passaggio dal muscolo al fegato.
L’alanina ha, però, un duplice ruolo, in quanto trasporta l’ammoniaca dal
muscolo al fegato per la conversione in urea (ciclo
dell’urea), ma trasporta anche il piruvato. Il piruvato,
prodotto tramite la glicolisi nel muscolo, viene
trasformato in alanina dall’enzima alanina
amminotransferasi (ALT). L’alanina può quindi uscire
dal muscolo, arrivare al fegato, essere riconvertita in
piruvato, ritornare nel muscolo e fungere da nuovo substrato per la
gluconeogenesi, con formazione di nuovo glucosio. Successivamente, il ciclo ricomincia.
La gluconeogenesi è quel processo metabolico lineare mediante il quale, a partire da precursori non
glucidici, come una molecola di piruvato, si consuma il glicogeno in poche ore e si
produce glucosio (sintesi), in particolar modo durante i pasti e gli esercizi fisici di
lunga durata. Tale processo avviene solo in alcune tipologie di cellule. Sia fegato che
reni, infatti, sono in grado di effettuare la gluconeogenesi, tuttavia il 90% del glucosio
prodotto proviene dal fegato, mentre solo il 10% dipende dal lavoro dei reni.
Nell’immagine a sinistra, sono rappresentati sia il processo di glicolisi (sulla destra
dello schema), sia il processo di gluconeogenesi (sulla sinistra dello schema). Vi sono
delle reazioni all’equilibrio, indicate dalla doppia freccia, e delle reazioni
strettamente regolate e irreversibili, indicate dalla singola freccia. Le reazioni
all’equilibrio possono avvenire in entrambe le direzioni, a seconda della quantità di
substrato presente nella cellula e delle necessità di quest’ultima.
La gluconeogenesi ha sette enzimi comuni alla glicolisi, ma anche quattro enzimi
diversi, che rappresentano dei siti di regolazione e di spinta termodinamica, con
conseguente ΔG negativo. La gluconeogenesi avviene principalmente in fegato e reni,
dove è presente l’enzima glucosio-6-fosfatasi, in grado di defosforilare glucosio.
Non rappresenta il processo inverso alla glicolisi per due ragioni:
1. aspetto energetico. Deve cambiare per rendere termodinamicamente favorita la gluconeogenesi (la
glicolisi ha un ΔG = -74 kJ/mol);
2. regolazione reciproca. Un processo è attivo quando l’altro è spento. Inoltre, alcune reazioni sono
peculiari della gluconeogenesi, quindi gli enzimi impiegati sono diversi da quelli della glicolisi.
Inoltre, la glicolisi, che consente il passaggio da glucosio a piruvato, ha un ΔG = -20 Kcal/mol. L’inverso
della glicolisi, ossia il passaggio da una molecola di piruvato al glucosio, avrebbe un ΔG = +20 Kcal/mol,
quindi non è termodinamicamente favorita e non avviene. La gluconeogenesi, che permette comunque il
passaggio dal piruvato al glucosio con delle tappe peculiari, presenta un ΔG = -9 Kcal/mol. Da un punto di
vista termodinamico, quindi, la gluconeogenesi non viene considerata come il processo inverso della
glicolisi anche perché il vantaggio energetico della gluconeogenesi è molto più basso rispetto a quello
della glicolisi. La gluconeogenesi, infatti, non ha uno scopo energetico per la cellula, ma rappresenta
unicamente un modo per sopperire temporaneamente alla mancanza di glucosio nel nostro organismo, e
non un processo effettuato dalla cellula per produrre energia.
La gluconeogenesi, che come già detto è attiva principalmente nelle cellule epatiche, possiede diverse
finalità, elencate di seguito:
1. produrre glucosio che, dal fegato, può essere inviato ai vari organi che lo richiedono;
2. produrre glucosio e immagazzinarlo come glicogeno per sopperire a necessità improvvise delle cellule.
Se il fegato ha forti quantità di substrato, ossia di piruvato, produce glucosio, e se i livelli di glicemia
sono contenuti nell’intervallo fisiologico, tale glucosio viene accumulato sotto forma di glicogeno;
3. sottrarre potenziali carburanti alla fase di ossidazione, che è temporaneamente soddisfatta da altri
metaboliti;
4. consentire di deviare il destino metabolico degli amminoacidi dietetici in eccesso verso la
produzione di glucosio, questo perché i substrati della gluconeogenesi possono essere anche
amminoacidi provenienti dalla dieta;
5. eliminare o riutilizzare molecole potenzialmente tossiche per le cellule in alte concentrazioni (lattato,
amminoacidi).
Le reazioni reversibili, quindi, avvengono sia durante la glicolisi che durante la gluconeogenesi, mentre
le reazioni irreversibili possono avvenire solo in uno dei due processi. La gluconeogenesi presenta
essenzialmente tre punti di controllo, ossia tre reazioni irreversibili, per cui gli enzimi necessari per la loro
regolazione sono i seguenti quattro:
1. la piruvato carbossilasi, che converte il piruvato in ossalacetato,
durante la prima reazione della gluconeogenesi (corrispondente alla
decima reazione della glicolisi, catalizzata da una piruvato
chinasi). E’ la reazione più importante della gluconeogenesi,
perché è quella che spinge il piruvato in questo processo, definendo
il destino di questa molecola;
2. la fosfoenolpiruvato carbossichinasi, che converte
l’ossalacetato in fosfoenolpiruvato, durante la prima reazione della
gluconeogenesi (corrispondente alla decima reazione della glicolisi);
3. la fruttosio-1,6-bifosfatasi, che converte il fruttosio-1,6-
fosfato in fruttosio-6-fosfato in seguito a defosforilazione,
durante l’ottava reazione della gluconeogenesi (corrispondente alla
terza reazione della glicolisi, catalizzata da una fosfofruttochinasi
che aggiunge un fosfato in posizione 1);
4. la glucosio-6-fosfatasi, che converte il glucosio-6-fosfato in
glucosio, durante l’ultima reazione della gluconeogenesi, in seguito a
defosforilazione (corrispondente alla prima reazione della glicolisi,
catalizzata da una esochinasi). Tale ultima reazione della
gluconeogenesi è fondamentale, altrimenti il glucosio non può
uscire dalla cellula e non può essere mandato in circolo dal fegato. Il
fegato e i reni sono gli organi deputati ad eseguire questo processo.
Durante la prima reazione della gluconeogenesi, il piruvato viene convertito in fosfoenolpiruvato. Essa può
essere divisa in due fasi, una prima fase catalizzata dalla
piruvato carbossilasi, in cui una molecola di piruvato viene
convertita in una molecola di ossalacetato, ed una seconda fase
in cui l’ossalacetato viene convertito in fosfoenolpiruvato ad
opera dell’enzima fosfoenolpiruvato carbossichinasi. L’enzima
piruvato carbossilasi permette la carbossilazione del
piruvato, quindi l’aggiunta di un gruppo carbossilico (COO
-
), formando ossalacetato. L’enzima fosfoenolpiruvato
carbossichinasi decarbossila e fosforila l’ossalacetato, formando
fosfoenolpiruvato. Per il corretto funzionamento di questa
reazione, sono necessari ATP e ione bicarbonato. La
piruvato carbossilasi è in grado di svolgere il proprio ruolo enzimatico solo in presenza di biotina, ATP
e CO , che vengono considerati i suoi cofattori fondamentali. Più precisamente, la biotina, o vitamina
2
B8, rappresenta il coenzima essenziale per questa reazione, ed è legata covalentemente ad una lisina
della catena polipeptidica dell’enzima. In particolare, viene ad instaurarsi, tra essa ed il residuo di
lisina, un legame ammidico con il gruppo ε-ammidico di quest’ultimo, formando un complesso
biotinil-enzima, detto anche biotina-lisina o biocitina.
Le due fasi della prima reazione della gluconeogenesi si
svolgono in due diversi siti
dell’enzima. Nel primo
sito, lo ione bicarbonato viene convertito in CO e legato dalla biotina, a
2
spese dell’ATP, permettendo la carbossilazione della biotina legata
all’enzima. Il lungo braccio biotina-lisina (dalle dimensioni di circa 1,5
nanometri), che consente alla biotina di ruotare dal sito dell’ATP e
dell’HCO al sito del piruvato,
3-
trasferisce il substrato, ossia il CO ,
2
da un sito all’altro, in particolare sul
piruvato nel secondo sito, con
formazione di ossalacetato in seguito alla carbossilazione. In assenza di
biotina, l’attività della piruvato carbossilasi è inibita, in quanto non è
possibile far avvenire lo spostamento del substrato dal primo sito al
secondo sito dell’enzima. L’acetil-CoA è, invece, l’effettore
allosterico positivo della reazione, cioè dà la spinta alla reazione, e proviene dal ciclo di Krebs. Se i
livelli di ATP o acetil-CoA sono elevati, il piruvato entra nella gluconeogenesi. In basso, è rappresentato il
meccanismo a ping-pong della piruvato carbossilasi.
Tale meccanismo è definito “a ping-pong” perché il complesso
biotina-lisina lega il gruppo CO , carbossilandosi (quindi, da
2
biotina-enzima diventa carbossibiotina-enzima), lo
trasferisce al piruvato per formare ossalacetato e si libera
nuovamente il complesso biotina-enzima per poter catalizzare
una nuova reazione. Durante la seconda fase della prima
reazione, l’ossalacetato viene trasformato in fosfoenolpiruvato
(PEP) ad opera dell’enzima fosfoenolpiruvato carbos