NEUROLOGIA I
2 CFU
MALATTIA DI PARKINSON ED ALTRE MALATTIE EXTRAPIRAMIDALI
Il sistema extrapiramidale è l’insieme delle vie motorie che non fanno parte della via
piramidale. Sono caratterizzate dall’avere un controllo reciproco delle varie aree.
Le malattie extrapiramidali rientrano in un gruppo estremamente eterogeneo dal
punto di vista clinico, anche se in comune hanno la presenza di movimenti involontari.
Spesso è difficile effettuare la diagnosi: ci sono casi che hanno caratteristiche
intermedie tra più forme e non è semplice identificare la clinica esatta.
Malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson è la malattia extrapiramidale per eccellenza, il prototipo.
Descritta per la prima volta nel 1817 come “paralisi agitante” da J. Parkinson, per la
presenza di tremore associato a bradicinesie e acinesie.
Deriva da una lesione più o meno estesa alla sostanza nera.
Successivamente (nel 1861-62) Charcot (padre della neurologia moderna) perfezionò
lo studio della patologia dando precisazioni cliniche e una nuova etichetta: malattia di
Parkinson (è un patronimico: dare il nome dello studioso alla patologia che ha
scoperto).
Abbiamo molti dati circa la prevalenza di questa malattia, che aumenta con l’età
(similmente all’Alzheimer). Ci sono però pochi dati sull’incidenza: questo perché è
complicato definire l’inizio reale della malattia, si tende ad usare la data di diagnosi
che è diversa dall’esordio vero e proprio. Inoltre, l’incidenza non cresce con
l’aumentare dell’età. Le età molto avanzate hanno dei rischi più bassi rispetto alle
persone di 75-84 anni di sviluppare la malattia. Una malattia con un picco è probabile
che abbia una componente di tipo ambientale nelle cause della manifestazione.
Parkinsonismi: forme simili al Parkinson per certe caratteristiche ma che non rientrano
completamente nella definizione della patologia.
Dividiamo le malattie in due categorie:
- Malattie legate alla classe di età; c’è un fattore ambientale come causale.
- Malattie legate all’invecchiamento; situazione più sfumata, forse perché la
componente genetica è più rilevante.
1. Fattori non occupazionali:
● Fumo di sigaretta
● Essere ex fumatori fumo:
Tra i fattori non occupazionali il più importante è il in questa circostanza è
protettivo, riduce il rischio di sviluppare Parkinson! Inoltre, la protezione rimane anche
dopo che si smette di fumare (mentre per il tumore al polmone è sempre rischioso,
quindi in generale fumare fa malissimo).
Essere fumatori è protettivo perché induce la metilazione del DNA. Metilazione: parti
del DNA che controllano la trascrizione e la traduzione vengono metilate. Il fumo è un
metilatore, che può favorire o inibire queste operazioni: se si metila il gene impegnato
in attività di trascrizione o traduzione, avremo un aumento di queste. Le zone metilate
rimangono tali anche 20 anni aver subito questa trasformazione (ecco perché anche
dopo aver smesso con il tabagismo si rimane protetti.
Un’ ipotesi dice che in realtà non è il fumo che protegge, ma la personalità
premorbosa del parkinsoniano che solitamente sembra essere rigido, perfezionista, …
caffè
Il è associato ad una ridotta incidenza, secondo alcuni studi la caffeina è
protettiva, ma non ce ne sono molti che lo confermano.
L’alcool non è protettivo invece, ma neanche deleterio.
[Gli animali non soffrono di Parkinson: quindi non si può fare una sperimentazione
biologica. Lo si può indurre ma non è veritiero.]
2.Fattori di rischio occupazionali:
● Avvocati (potrebbe essere una selezione caratteriale dovuta alla morfologia
cerebrale. Gli avvocati hanno un rischio 3 volte maggiore rispetto ad altre
professioni)
● Minatori, estrattori (a causa del manganese che è una sostanza che determina
parkinsonismo)
● Agricoltori (a contatto con sostanze chimiche come i pesticidi)
3.Uso di sostanze:
● Pesticidi e sostanze agricole (si ipotizza che con alcune sostanze si perdano più
neuroni, causando così la malattia di Parkinson. La MP ci dice che l’insulto
avviene molto tempo prima e poi prosegue il depauperamento.
● Manganese
La personalità pre-morbosa del soggetto parkinsoniano è considerata un’altra ipotesi
di fattore predittivo di sviluppo della malattia: soggetti rigidi, rigorosi, con mentalità
‘chiusa’… possono avere più facilmente un esordio parkinsoniano (ecco perché si dice
che gli avvocati siano più predisposti). Sembrerebbe possibile che alcune
caratteristiche sociali siano responsabili dell’esordio delle malattie neurodegenerative
(che fino a secoli fa, per la minor spettanza di vita, non si esplicavano mai). Il
manganese (Parkinsonismo da manganese, tossico), sostituisce il ferro e viene
assimilato erroneamente dalla sostanza nera, danneggiandola.
Modello di conseguenza a lungo termine di perdita neuronale selettiva: i neuroni
dopaminergici, fisiologicamente, vengono persi con l’invecchiamento, ma se avviene
un insulto la perdita è maggiore e massiva (può decrescere a gradini o di netto). Ci si
avvicina così alla soglia che poi può portare alla manifestazione di Parkinson (la
depauperazione può causare i segni e i sintomi anche anni dopo l’insulto, modello
tossico della malattia).
Fisiopatologia della Malattia di Parkinson
Perdita dei neuroni della sostanza nera (così chiamata perché presenta melanina, che
le conferisce colore scuro), che porta da un’area nerastra ad una di colore più sfumato.
Via nigro-striatale: si perdono i neuroni degli assoni di questa via e quindi viene a
mancare il contatto tra sostanza nera e nucleo striato, sviluppando dei deficit che sono
tipici della patologia parkinsoniana. Si bloccano le funzioni inibitorie del globo pallido e
del talamo quindi la catena di vie si altera e causa peggioramenti progressivi.
D1 e D2: recettori di dopamina che funzionano uno da attivatore ed uno da inibitore.
Nucleo subtalamico: struttura inibita dai recettori D2 che ha, a sua volta, funzione
eccitatoria. Quando non funziona la sostanza nera non viene più inibito e quindi
aumenta la sua attività eccitatoria (‘scarica’ di più).
Diventano alterate tutte le vie dopaminergiche che determinano la sintomatologia
progressiva caratterizzante.
L’ipotesi di Braak: il Parkinson ha una serie di stadi che si sviluppano in periodi lontani
(spesso) dall’evidenza della sintomatologia, ma c’è una parte di sintomi premorbosi o
pre-patologici/motori/parkinsoniani che interessano il sistema parasimpatico: stipsi,
insonnia: sindrome da disturbi del sonno REM (movimenti durante la fase REM),
ipo/anosmia, seborrea. Sono componenti pre-motorie.
Nel sonno REM la corteccia agirebbe come se fossimo svegli: se sogniamo di correre,
la corteccia motoria ci farebbe correre. Ma durante il sonno avviene un’inibizione che
determina una paralisi fisiologica. Nel momento premorboso del Parkinson il soggetto
ha alterazioni nervose del sonno (il care-giver racconta di calci e pugni nel letto).
L’ipo/anosmia è il sintomo più comune in assoluto.
Se sulla base di questi fenomeni anticipatori si potesse già diagnosticare la malattia si
potrebbe bloccare l’insorgenza dei successivi deficit motori tipici, quando la malattia è
conclamata. Non esistono però ancora terapie di questo genere, anche se la ricerca si
sta muovendo in quella direzione.
Vi sono anche delle forme ereditarie in realtà Parkinson ereditario monogenico: i geni
coinvolti si sono scoperti abbastanza precocemente, però non hanno grande
importanza nella totalità dei pz perché sono geni piuttosto rari.
Interazione genetica-ambiente: l’alfa-sinucleina si accumula nella sostanza nera dando
origine ai corpi di Lewy. Il gene Park-4 dipende proprio dalla duplicazione e/o
triplicazione della sinucleina, ma sono fenomeni sporadici.
Diagnosi clinica
Solo l’esame neuropatologico è in grado di fornire una diagnosi certa, dato che quella
biologica non si può attuare.
La malattia compare clinicamente sul piano motorio quando la perdita dei neuroni
equivale al dimezzamento neuronale della sostanza nera (perdita del 50% dei
neuroni), presenza dei corpi di Lewy e assenza di segni degenerativi.
Criteri diagnostici:
● Possibile � devono esserci 2 segni tra tremore a riposo (monolaterale
solitamente), bradicinesia, rigidità e esordio asimmetrico; buona risposta a
Levodopa o dopamino-agonisti (miglioranti a livello dei deficit di numerosità dei
neuroni dopaminergici somministrando la dopamina).
● Probabile� presenza di almeno 3 segni tra tremore a riposo, bradicinesia,
rigidità e esordio asimmetrico.
● Definita.
Dopo la morte si attua un’autopsia per osservare se davvero è stato Parkinson a
colpire il soggetto o no, perché spesso ci sono segni e sintomi che mascherano altre
patologie.
Il tremore non è mai nel movimento, bensì a riposo!
Presenti anche numerosi correlati disturbi vegetativi, cognitivi ed affettivi. SI ritrova
anche micrografia, tachifemia ...
DAT-SCAN: marcatore del trasportatore della dopamina. Marcato con iodio nella SPECT:
strumento paraclinico che aiuta nella diagnosi, in cui si evince un’asimmetria del
danno della sostanza nera (perdita differente tra destra e sinistra).
Test alla Levodopa: somministriamo dopamina al pz e sottoponendolo ad una serie di
prove si osserva se ha fatto effetto o meno (valutazione di tremore, bradicinesia e
rigidità mediante tapping test -il pz apre e chiude la mano e piano piano si vede che
rallenta-, walking test e UPDRS-subitem III). Inizialmente il soggetto è rallentato, come
da patologia, ma con l’effetto della Levodopa la sua condizione migliora e allora la
diagnosi sarà positiva.
Indagini strumentali:
● Test autonomici � riflessi cardio-vascolari
● Test urodinamici
Elettromiografia dello sfintere anale: il pz è sottoposto alla puntura di un ago in sede
sfinteriale perché i parkinsoniani hanno denervazione sfinteriale in quella zona e si può
provare la presenza di patologia o no.
Opzioni terapeutiche nella malattia di Parkinson