IL TASSO DI OCCUPAZIONE
(figura 1977-2015) ci si limita alla popolazione dai 25 ai 64 anni, non si
parte dai 15 perchè si vuole vedere l’età della laurea. Negli anni 80, il
tasso di occupazione era di circa del 60%, quindi non c’è stato un forte
incremento durante quegli anni, ma è aumentata la produttività (per via
dello sviluppo tecnologico). Si discute che quando è entrato in vigore
l’euro il tasso di occupazione è diminuito, ma ciò non è vero (si guarda
fino alla pre-crisi del 2008). C’è stato un aumento del tasso di
occupazione che passa dal 62% al 65%. L’euro ha debuttato nel 1999,
dove il tasso di occupazione è vertiginosamente aumentato dopo la sua
entrata. Il tasso ha iniziato ad aumentare nel 1998, perché in questo
anno è stata annunciata l’entrata dell’euro nei mercati, dove ci si
aspettavano dei vantaggi. Il grosso vantaggio di avere la stessa moneta
in tutta Europa (area valutaria ottimale) è che non bisogna più fare i
cambi di moneta per viaggiare tra i paesi, l’avere una moneta in comune
fra i paesi che commerciano molto fra loro fa perdere il tasso di cambio
(le merci non sono più soggette al rischio di oscillamento del tasso di
cambio). Dopo la crisi del 2008 il tasso diminuisce.
(figura 2.6) il tasso di occupazione cambia in base alle varie aree e
dalle caratteristiche degli individui, si analizza il periodo 1992-2018. Il
tasso di occupazione è estremamente diverso tra il sud ed il nord.
(figura 2.7) tasso di occupazione per genere (maschi, femmine e totale),
dove i maschi hanno il tasso di occupazione maggiore. Rispetto agli anni
70 le femmine hanno visto l’aumento del tasso di occupazione, ma la
differenza con i maschi rimane marcata.
(figura 2.11) tasso di disoccupazione per fascia di età, il tasso di
disoccupazione giovanile (15-24 anni) è molto più alto e subisce
variazioni molto più forti quando ci sono crisi economiche, infatti nella
crisi del 2008 il tasso per questa fascia arriva al 40%.
(figura 2.12) tasso di occupazione di giovani 20-34 anni che hanno
conseguito il titolo di studio da uno a 3 anni prima, anno 2018. L’Italia
ha il 50,3% di diplomati hanno un lavoro (a fronte della Germania, 90%),
mentre i laureati sono al 62,8% (a fronte della Germania, 94%).
(figura 2.17) tasso di disoccupazione di lungo periodo ossia dove
l’individuo è disoccupato per più di 12 mesi. Si va verso l’idea di
lavoratori scoraggiati. L’andamento del tasso di disoccupazione di lungo
periodo è molto alto nel sud Italia e molto basso nel nord.
IL TASSO DI INFLAZIONE
L’inflazione riguarda l’aumento generale dei prezzi (deflazione è
quando vi è la riduzione del livello dei prezzi e corrisponde ad un tasso
di inflazione negativo, la deflazione spesso caratterizza i periodi di
recessione molto pronunciata, ad esempio nel gennaio 2015 l’indice dei
prezzi si è ridotto dello 0,4% rispetto a dicembre 2014)), il tasso di
inflazione è il tasso a cui il livello dei prezzi aumenta nel tempo.
Esistono 2 modi per misurare il livello dei prezzi:
1) deflatore del pil (legato al prodotto interno lordo, si guarda la
produzione): Permette di calcolare il prezzo medio dei beni finali prodotti
in una economia ed è calcolato come pil nominale fratto pil reale. Il
deflatore è un numero indice dove il suo livello viene scelto
arbitrariamente ed è uguale a 1 per l’anno base, più ci si allontana dall’1
più i prezzi crescono perché il pil nominale cresce più velocemente del
pil reale. Il tasso di variazione del deflatore del PIL rappresenta una
misura del tasso di inflazione ed è dato dal rapporto tra il deflatore del pil
al tempo t - il deflatore al tempo t-1 fratto il deflatore al tempo t-1.
(guarda slide); ,
2) calcolo dell’indice dei prezzi al consumo (si guarda chi consuma):
Misura il livello dei prezzi medi al consumo ed esprime il costo in valuta
(euro ad esempio) di un determinato paniere di consumo di un tipico
consumatore urbano. Viene valutato ciò in tutti i capoluoghi. Esso è un
numero indice perché il suo livello è scelto arbitrariamente (anno base e
viene scelto il paniere). Il tasso di variazione dell’IPC rappresenta il
tasso di inflazione.
IPC
Si sceglie un anno base, poi si fa un'indagine sulla spesa dei
consumi per determinare il prezzo del paniere fissato all’anno base,
dopodichè si misurano i prezzi nell’anno base ed i prezzi correnti per
l’anno corrente. IPC = prezzi anno corrente fratto prezzi anno base. Il
risultato lo si interpreta come il costo del paniere dell’anno corrente
supera di tot il costo del paniere dell’anno base, significa che la vita
costa tot% in più.
Problemi inflazione
Se si ha del denaro, con l’inflazione viene eroso il suo potere d'acquisto
(la quantità di beni reali che si possono acquistare con una somma di
denaro). Si può correggere la statistica dell’inflazione con
l’indicizzazione ed è una pratica che consiste nell’aumentare un
valore nominale in base alle variazioni percentuali registrate da un
indice prezzi. Il suo scopo è quello di prevenire l’erosione del potere
d’acquisto ad opera dell’inflazione (in Italia le pensioni sono
parzialmente indicizzate e fino al 1983 i salari e stipendi erano indicizzati
con un meccanismo molto peculiare). Però si hanno dei difetti, spesso
l’inflazione può essere sovrastimata. Succede per vari motivi:
- può esistere una distorsione per la mancata rilevazione della
variazione della quantità (se cambia la quantità all’interno del
paniere dei beni, può essere che l’inflazione sia dovuta che vi sono
meni beni);
- per la distorsione da sostituzione (quando aumenta il prezzo di
un bene l’individuo potrebbe decidere di sostituirlo con qualcun
altro che costa meno. Si può avere anche una distorsione al
contrario, ossia di sottostimare, che potrebbe essere dovuta alla
marca dei prodotti inseriti Nella maggior parte delle volte è più
comune sovrastimare che sottostimare).
Effetti sovrastima
È possibile che venga aumentata la spesa pubblica più del necessario,
si può sottostimare l’effettivo miglioramento del tenore di vita (se si
sovrastima l’inflazione si sottostima il pil reale).
Se il prezzo dei beni importanti aumenta rispetto al prezzo dei beni
prodotti all’interno l’IPC, aumenta rispetto al tasso di deflatore del pil.
(guardati il grafico 2.18e, che potrebbe essere all’esame)
Gli economisti si preoccupano dell’inflazione perché essa non sarebbe
un problema se fosse un’inflazione pura, ossia quando i prezzi salgono
ma salgono anche i salari e stipendi (in maniera proporzionale), ma ciò
non è. Dunque l’inflazione va ad intaccare i prezzi relativi dei beni,
influenzando la distribuzione del reddito. Inoltre crea delle distorsioni
perché se i prezzi cambiano velocemente sfalsa i programmi d’acquisto
delle imprese. L’inflazione favorisce i debitori e sfavorisce i creditori,
perché con l’inflazione quando un debito viene saldato, il potere
d’acquisto dei soldi è minore. In un sistema impositivo a scaglioni, la
crescita del valore nominale del reddito aumenta il prelievo fiscale (la
tassa piatta è quando si pagano la stessa quantità di tasse con il reddito
variabile. Invece se è a scaglioni, la quantità di tasse da pagare varia in
base alle fasce reddito. Ciò si chiama drenaggio fiscale. In Italia c’è stato
all’inizio degli anni 80, l’Italia ha restituito ai cittadini questo ammontare
sotto forma di trasferimenti).
Deflazione
È spesso il sintomo di una domanda aggregata calante e quindi
dell’arrivo di una fase regressiva. La deflazione aumenta il valore reale
dei debiti mettendo in difficoltà chi ha contratto prestiti, svantaggiando i
debitori (perché quando si salda il debito si salda un debito con più
potere d’acquisto rispetto a quando è stato contratto il debito). La
deflazione tende ad aumentare il costo dell’indebitamento e quindi
scoraggia gli investimenti produttivi delle imprese.
Esistono delle relazioni tra produzione, inflazione e disoccupazione. Ve
ne sono 2: Legge di Philips e legge di Okun
Okun
individua una relazione inversa tra il tasso di crescita della produzione
e variazione del tasso di disoccupazione (guarda slide per la
formula). Utilizzando dati statunitensi si rese conto che esisteva una
relazione negativa tra questi 2. Essa dice che se in un’economia si
tende a crescere (decrescere) ci saranno più (meno) lavoratori occupati
e quindi la disoccupazione tende a ridursi (aumentare). Ciò può essere
rilevato anche nei dati italiani. Dal 1992 al 2021 il tasso di crescita, in
Italia, è stato decrescente, dimostrando che c’è una relazione inversa
come detto da Okun. È una retta di regressione. Se il PIL reale cresce
dell’1%, allora il tasso di disoccupazione si riduce di 0,06 punti
percentuali, se invece non cresce il tasso di disoccupazione aumenta di
0,02 punti. Per mantenere il tasso costante bisogna avere un PIL
crescente del, lo si calcola facendo 0,02/0,06, 0,33%. (grafico 2.19b =
legge di okun, domanda d’esame)
Philips
Identifica una relazione inversa fra il tasso di disoccupazione e la
variazione dell’inflazione (guarda slide per la formula). Se la
disoccupazione si riduce allora i salari aumentano così come l’inflazione.
All’aumentare del tasso di disoccupazione, il tasso d’inflazione tende a
ridursi. Se il tasso di disoccupazione cresce dell’1%, il tasso di inflazione
tende a ridursi di 0,10 punti percentuali. Quando il tasso di
disoccupazione si annulla, allora il tasso di inflazione aumenta di 0,85
punti percentuali. Per mantenere costante il tasso di inflazione è
necessario un tasso di disoccupazione pari al 0,85% (0,85/0,10).
La legge in economia non è sempre verificata, quando si parla di legge
in economia si parla di qualcosa che si guarda nei dati, un’irregolarità
dedotta dai dati (ciò è quello che hanno fatto Okun e Philips).
Cosa influenza il PIL
Nel breve periodo la produzione dipende dalla domanda (più domanda,
più produzione), nel medio periodo (10 anni) la produzione è
determinata dagli investimenti e del livello tecnologico, nel lungo periodo
i fattori dipendono dal livello di istruzione, il tasso di risparmio e la qualità
delle istituzioni.
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