L’ORGANIZZAZIONE DEI LAVORATORI INTERNA ALLE
AZIENDE
A differenza dell’organizzazione sindacale territoriale, riservata all’autonomia di
ciascuna associazione, l’organizzazione dei lavoratori interna all’impresa, dovendo
essere subita dall’imprenditore, è per definizione regolata da accordi oppure anche
dalla legge, come avvenuto in Italia a partire dal 1970 con le disposizioni promozionali
dello statuto dei lavoratori. Per quanto riguarda i modelli di organizzativi si
contrappongono forme di collaborazione con l’imprenditore di vario tipo, fino a modelli
di vera e propria cogestione, e forme conflittuali di contropotere sindacale nei luoghi di
lavoro. Tuttavia in Italia si sono realizzati assetti intermedi, in cui le rappresentanze del
personale hanno cumulato funzioni partecipative e di lotta, oscillando dall’uno altro
polo. Oltre alle aggregazioni spontanee in fabbrica in Italia i primi organismi stabili
furono le commissioni interne. Era stabilita l’elezione a suffragio universale con voto di
preferenza in relazione a liste concorrenti presentate da sindacati o altri soggetti, con
un meccanismo che garantiva rappresentanza anche agli impiegati, molto meno
numerosi degli operai. Nell’accordo del 1966 era escluso il potere di contrattazione
collettiva. Alla fine degli anni 60 le commissioni, nonostante il rigore formale
dell’accordo istitutivo, furono sostituite dai delegati, eletti liberamente da gruppi
omogenei di lavoratori, dal consiglio di fabbrica, composto da tutti i delegati dell’unità
produttiva con poteri di contrattazione collettiva, e dall’assemblea di tutti i lavoratori
con compiti di elaborazione delle piattaforme rivendicative e di ratifica delle ipotesi di
accordo. Pur trattandosi di strutture non associative i legami con i sindacati territoriali
ne risultarono rafforzati, anche grazie al sostegno legale (statuto dei lavoratori art.10
e ss.) che da allora garantisce, nelle unità produttive con almeno sedici addetti, la
costituzione di rappresentanze sindacali aziendali (R.s.a), una per ciascun sindacato
avente diritto. A partire dagli anni 80 si è verificata una frammentazione della
rappresentatività a scapito delle grandi confederazioni, sicché con il referendum del
1995 è stato abrogato il privilegio di cui godevano queste ultime per la formazione di
R.s.a e con il protocollo del 1993 sono state introdotte le rappresentanze sindacali
unitarie (R.s.u), successivamente regolate per il settore privato con accordi del 20
dicembre 1993 e per il settore pubblico con accordi del 20 aprile 1994. Nel protocollo
confederale del maggio 2013, poi attuato con l’accordo interconfederale del gennaio
2014 è prevista la costituzione delle R.s.u nelle unità produttive che occupino 15
dipendenti, l’elezione a suffragio universale e a scrutinio segreto, l’assunzione a
maggioranza delle decisioni che spettano alle R.s.u. La differenza rispetto alle R.s.a,
previste della legge e quindi ancora in vigore, è proprio la unitarietà della
rappresentanza, con il ritorno al sistema elettivo, con voto proporzionale con
elettorato attivo e passivo riconosciuto a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro
affiliazione sindacale. Tuttavia i sindacati esterni mantengono il monopolio nella
presentazione delle liste, senza preclusioni se sono aderenti alle confederazioni
firmatarie dell’accordo del 2014 o abbiano accettato espressamente quest’accordo e i
precedenti o siano firmatari del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva,
mentre in assenza di questi requisiti la lista deve essere corredata da una soglia
minima di firme dei lavoratori interessati. Il primo riconoscimento legale delle R.s.u e
venuto nel settore dell’impiego con le pubbliche amministrazioni, con una disciplina
valida fino alla non ancora realizzata modifica delle norme sulla rappresentatività
sindacale dello statuto dei lavoratori. Infine si devono ricordare il comitato azienda
europeo (C.a.e). Il comitato aziendale europeo, in breve CAE, è un organismo
rappresentante dei lavoratori, previsto dalla direttiva europea 94/45/CE, al fine
dell'informazione e la consultazione transnazionale dei lavoratori nelle imprese e nei
gruppi di dimensioni comunitarie. I CAE possono essere costituiti da aziende o gruppi
presenti in più paesi europei, con più di mille dipendenti in almeno un paese della
Comunità europea e almeno centocinquanta dipendenti in almeno due di questi paesi.
I CAE hanno come obiettivo principale lo scambio delle informazioni fra i lavoratori
all'interno dei gruppi multinazionali onde evitare comportamenti scorretti o lesivi nei
confronti dei lavoratori a seconda del paese in cui l'impresa opera. L'obiettivo del
legislatore è indurre le imprese a un generale riallineamento e riequilibrio all'interno
delle imprese per evitare distorsioni nazionali o concorrenze sleali fra gruppi di
lavoratori. A questo fine è previsto che i CAE contribuiscano a:
facilitare lo scambio di informazioni fra i rappresentanti dei lavoratori
individuare le omissioni informative della dirigenza aziendale
agevolare lo scambio di idee per la soluzione dei problemi comuni
consentire l'utilizzo di tutte le informazioni, ovunque reperibili (anche fuori dai
confini nazionali), utili alla contrattazione
impedire le discriminazioni fra i lavoratori di un paese e quelli di un altro
agevolare le iniziative comuni
Nelle società europee e nelle società cooperative europee è previsto il <<
coinvolgimento dei lavoratori>> in tre forme alternative: organismo rappresentativo
con diritti di informazione-consultazione; procedure di informazione-consultazione
senza organismo rappresentativo; partecipazione dei lavoratori nell’organo di
amministrazione o nell’organo di vigilanza della società. La scelta è effettuata
mediante accordo, in mancanza del quale operano le disposizioni suppletive nazionali.
L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI DATORI DI LAVORO
L’articolo 39 della Costituzione prevede anche l’organizzazione sindacale dei datori di
lavoro nonostante il suo carattere di risposta e la sua funzione di evitare la
concorrenza fondata sul minor costo del lavoro. Nel settore industriale opera la
Confindustria, formata da associazioni provinciali e regionali e da federazioni nazionali
di categoria. In concorrenza a Confindustria si pongono la Confapi, che raggruppa le
piccole imprese e la Federazione del terziario avanzato. Nel settore commerciale opera
la Confcommercio, anch’essa composta da associazione provinciali generali e da
organizzazioni nazionali distinte per categoria. In concorrenza opera la Confesercenti.
Nel settore agricolo oltre alla Confagricoltura, articolata in unioni provinciali (UPA) ed
in federazioni nazionali distinte anche per tipo di attività, agiscono la Coldiretti e la
Confcoltivatori in rappresentanza di piccoli imprenditori, che si pongono come datori di
lavoro nei confronti degli operai e come parte socialmente debole nei confronti dei
proprietari terrieri. Nel settore del credito le banche sono state a lungo rappresentate
da Assicredito, incorporata nel 1997 all’ABI mentre le Casse rurali sono associate nella
Federcasse. Le società di assicurazioni sono riunite nell’ANIA, le imprese editrici di
giornali nella FIEG, le Case di cura private laiche nell’AIOP e quelle religiose nell’ARIS.
Le pubbliche amministrazioni sono rappresentate dall’ARAN.
GLI ENTI BILATERALI
Gli enti bilaterali nell'ordinamento giuridico italiano sono degli organismi aventi lo
scopo di svolgere alcune determinate funzioni in materia di diritto del lavoro. Sono
stati introdotti dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 e sono costituiti da membri scelti
per metà dalle organizzazioni dei datori di lavoro e per l'altra metà dalle organizzazioni
sindacali. I compiti degli enti bilaterali, tra i quali vanno ricordate le Casse edili, sono
molteplici secondo le svariate previsioni dei contratti collettivi istitutivi recepite negli
statuti: mutualizzazione degli obblighi retributivi; formazione professionale; sicurezza
sul lavoro; prestazioni previdenziali e assistenziali.
9. LA LEGISLAZIONE DI SOSTEGNO AL
SINDACATO: a) LA SELEZIONE DEI BENEFICIARI
E IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTATIVIÁ
IL SIGNIFICATO DELLA LEGISLAZIONE PROMOZIONALE
Inizialmente, il diritto sindacale era considerato un "diritto senza norme", per la
mancanza di attuazione delle norme costituzionali riguardanti i sindacati, il contratto
collettivo e il diritto di sciopero. Quando il legislatore ha deciso di intervenire, lo ha
fatto non con una disciplina generale, ma per sostenere i sindacati dei lavoratori,
riconoscendo il loro diritto alla presenza nei luoghi di lavoro e vietando comportamenti
discriminatori da parte dei datori di lavoro. Questa scelta è iniziata con lo Statuto dei
lavoratori del 1970, che, pur limitando i poteri del datore, mirava anche a rafforzare le
grandi confederazioni di sindacati in risposta ai movimenti spontanei di protesta
esplosi nell’autunno caldo del 1969. Infatti si considerava lo Statuto del 1970 più a
favore dei sindacati che dei lavoratori. Infatti, si osserva che ogni intervento
legislativo nei rapporti collettivi tende a modificare l’equilibrio sindacale, favorendo in
particolare le confederazioni storiche. Questo privilegio ha suscitato perplessità,
perché ha alterato la dialettica tra le varie forze sindacali, rafforzando alcune a scapito
di altre.
IL PRIVILEGIO PER LE CONFEDERAZIONI MAGGIORMENTE
RAPPRESENTATE AI FINI DELLA COSTITUZIONE DELLE
RAPPRESENTAZE SINDACALI AZIENDALI
Secondo lo Statuto dei lavoratori, in particolare l’articolo 19, solo i sindacati aderenti a
confederazioni che si considerano maggiormente rappresentative a livello nazionale
possono costituire una rappresentanza sindacale all'interno delle aziende. Questo ha
creato una situazione di vantaggio per queste confederazioni storiche, come CGIL,
CISL e UIL, escludendo però altri sindacati, magari molto presenti e attivi a livello
aziendale o territoriale. La legge, per selezionare chi potesse godere di questi diritti, si
è basata sul concetto di “rappresentatività”. Ma cosa significa? In questo caso, si
intende l’idoneità del sindacato a tutelare gli interessi dei lavoratori nel complesso,
indipendentemente dall’iscrizione formale. Questo si distingue dalla “rappresentanza”,
che invece riguarda chi ha il potere di firmare contratti per conto dei propri iscritti. Il
legislatore, però, ha scelto di valutare la rappresentatività solo a livello confederale,
quindi guardando la forza del sindacato a livello nazionale, e non a livello aziendale o
di categoria. È stata una scelta molto discu
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Libertà sindacale
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Sciopero, serrata libertà sindacale e contratto collettivo
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Libertà politica
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Libertà personale