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La distribuzione non è sempre simmetrica: le curve blu e verdi ad esempio, in questo
disegno, non lo sono. Le stesse sono note come curve log norm. La curva rossa si può
considerare approssimabile ad una gaussiana.
Un evento puramente statistico (biased) dovrebbe produrre sempre una curva
gaussiana, altrimenti in situazioni più complesse, la distribuzione diviene più
complessa.
Queste distribuzioni finora viste vengono chiamate unimodali: ovvero hanno un unico
valore di moda.
Esistono anche curve bimodali (due valori di moda) o multimodale (più valori di moda).
Una distribuzione bimodale spesso è indice che nell’evento studiato ci siano due
eventi connessi, ciascuno responsabile della propria moda.
Grandezze caratteristiche delle distribuzioni: moda-> valore più frequente;
mediana->punto della curva dove il 50% delle osservazioni sperimentali sta a sinistra
e l’altro 50% sta a destra;
media->valori delle osservazioni divise per il numero delle osservazioni.
Nella curva simmetrica moda, media e mediana sono coincidenti. Nel log norm
abbiamo prima la moda, poi la mediana e poi la media.
Altri parametri sono la deviazione standard: ampiezza della curva per la quale
vengono raggruppati il 68% dei dati (coordinata verticale). La varianza è il quadrato
della deviazione standard.
I tre momenti di una curva di distribuzione sono moda, varianza e simmetria e sono
ricavabili dall’equazione della curva.
Un ulteriore parametro è l’indice di dispersione o polidispersità; sappiamo che se la
variazione standard è inferiore al 10% del valore medio, allora la dispersione si dirà
monodispersa.
Se la media di una distribuzione è pari ad uno e la deviazione standard risulta minore
di 0.1, la distribuzione tende a somigliare ad una delta di Dirac.
Nel caso una distribuzione sia una delta di Dirac (impulso), media, mediana e moda
coincideranno e saranno pari ad 1.
Dire che una distribuzione sia monodispersa significa dire che le particelle
approssimativamente si comportino allo stesso modo, da un punto di vista chimico e
fisico: questo permetterà di semplificare calcolativamente e concettualmente la
trattazione del sistema.
Oggetti di dimensioni micrometriche o nanometriche non sono visibili al microscopio
ottico (il limite di risoluzione del microscopio ottico è circa 1 μm).
Tipicamente le radiazioni luminose consentono la visualizzazione di oggetti di
dimensioni comparabili con la lunghezza d’onda considerata, non essendo possibile
sfruttare la radiazione luminosa per la visualizzazione di un campione micrometrico è
possibile fare riferimento ad un fascio di elettroni.
Gli elettroni hanno frequenze più alte e consentono la visualizzazione di oggetti nel
range del micro e del nano: usiamo allora un microscopio elettronico.
Il limite di un microscopio elettronico a scansione è di 1 nm, per un microscopio a
trasmissione alcune frazioni di nm.
È possibile visualizzare una distribuzione di particelle è l’DLS (dynamic light
scattering): è un laser unidirezionale (il fascio non si allarga come in una torcia). Lo
stesso sparato contro una cella di campionamento, dove ci sono particelle in
sospensione, è soggetto a scattering (la luce viene deviata in varie direzioni). La
deviazione è una funzione delle dimensioni della particella e in particolare agli angoli
possono essere associate delle dimensioni per le particelle. La risposta di questo
strumento è fornita come delle curve di distribuzione.
L’accuratezza delle dimensioni dipende dalla sfericità delle particelle. Allo stesso
risultato, in maniera più approssimata, si può arrivare partendo dal SEM (microscopio
elettronico a scansione): spesso al SEM è abbinato uno strumento in grado di stabilire i
diametri delle particelle e relativa distribuzione.
Ma mentre il SEM può agire su 1000 particelle, il DLS è in grado di esaminare 10^16
particelle.
Processi tradizionali per la produzione di microparticelle:
è possibile utilizzare la macinazione che tuttavia restituisce particelle piuttosto
grossolane;
il ball milling sfrutta la rotazione di sfere metalliche che, interagendo con le particelle,
le rompono (non da preferirsi con materiali molto fragili);
lo spray drying consiste nella nebulizzazione di goccioline in cui è contenuto il soluto e
una successiva evaporazione del solvente. Le particelle ottenute sono di forma sferica,
la dimensione è intorno ai 50 micron;
lo spray freeze drying lo si usa quando i prodotti sono termolabili;
il jet milling è molto utilizzato in campo farmaceutico e consiste in una macinazione in
un getto ad alta pressione di azoto. Le dimensioni a cui si può arrivare sono circa di 10
micron;
l’emulsion drying coinvolge due concetti ovvero quello di formazione delle emulsioni e
poi del drying delle suddette. Più semplicemente, si può formare un’emulsione con
fase dispersa solido e tramite l’essiccamento si può ricavare il solido in forma di
microparticelle.
L’emulsione è tipicamente un sistema instabile: la fase dispersa tende a coalescere,
formando gocce più grandi e per impedire il fenomeno, rendendo le emulsioni più
stabili, si possono usare dei tensioattivi. I tensioattivi tendono a formare delle bollicine
all’interfaccia tra le fasi, così da favorire la separazione della fase disperdente (viene
impedita la coalescenza).
Processi con fluidi supercritici: le soluzioni più interessanti sono la RESS -rapid
expansion of supercritical solutions- (con variante RE-SOLV -rapid expansion of
supercritical solution in a liquid solvent-), la SAS -supercritical antisolvent- (con
variante ELAS -expanded liquid antisolvent-), la SAA (con varianti CAN-BD e GAS -gas
antisolvent-).
Vi sono poi le tecniche SEE -supercritical fluid extraction of emulsions-, la tecnica
SAILA -supercritical assisted injection in a liquid antisolvent- e la SUPERLIP -liposomes
formation-.
(la SAA, la SEE e la SUPERLIP sono state sviluppate dal prof)
RESS: la RESS consiste nel portare nell’unità di precipitazione una soluzione
supercritica che contiene un solido disciolto. Con l’abbassamento successivo della
pressione, il fluido supercritico va via in forma di gas mentre il solido precipita sul
fondo in forma di particelle molto piccole. È stato inventato nel 1987.
Più in dettaglio: ho la CO2 supercritica, la pompo e la mando in un’unità di estrazione
in cui ho messo la sostanza da micronizzare solida (spesso è presente un’inerte
nell’unità, tipo sferette di vetro).
Se la sostanza attiva è solubile nella CO2 e se il tempo di contatto tra la CO2 e la
sostanza attiva è sufficientemente lungo, la CO2 che fuoriesce da questa unità è
satura di principio attivo.
A questo punto viene abbassata la pressione, la CO2 diventa gas e può essere
scaricata, mentre il solido precipita in nanoparticelle.
L’apparecchiatura è simile a quella già vista per effettuare misure di solubilità
dinamica. Il processo è solvent-less, non richiede cioè solventi organici.
Per questo processo occorre che il composto sia solubile nella CO2; la morfologia del
prodotto è particolare in quanto all’uscita dell’unità di precipitazione si forma un’onda
d’urto e le particelle che fuoriescono dall’iniettore tendono a rallentare bruscamente e
a coalescere. Il solido non si presenterà in forma di nanoparticelle ma di nanoaghetti.
Un limite di questa tecnica è il fatto che se il composto non è sufficientemente solubile
nella CO2, la stessa non è efficace; in più le particelle prodotte possono essere
soggette all’aggregazione.
Sono riportati esempi di particelle ottenuti con la RESS (immagini SEM).
RESOLV e RESAS: Sono state successivamente prodotte delle varianti alla RESS, per
ovviare ai limiti della tecnica precedente: la RESOLV e la RESAS.
In questo caso l’iniettore di particelle lavora dentro un liquido, non più in aria; il
principio attivo non è solubile nel liquido (per questo motivo si parla di antisolvente).
Le particelle una volta sparate nel liquido, non hanno il tempo di aggregarsi anche
perché viene aggiunto al liquido un tensioattivo.
Queste tecniche complessivamente consentono di intervenire sulla morfologia finale
delle particelle, tuttavia rimane il problema della solubilità: se il composto è poco
solubile in questa, i processi perdono di efficacia.
Un ulteriore problema è anche la separazione successiva di solvente e tensioattivo
dalle particelle.
Queste tecniche non si sono imposte a livello industriale.
Simile alla RESOLV e alla RES è la gas to particle condensation (si pensi all’inchiostro di
china); questa tecnica viene realizzata ad alta temperatura, non è raccomandata per
particelle termolabili.
SAS: Un altro processo sviluppato per produrre micro e nanoparticelle è la SAS. Esso è
simile al processo di estrazione con liquido-liquido e allo spray drying.
Questo processo prevede che il soluto sia insolubile nell’antisolvente (nello specifico
CO2 supercritica), poi che il liquido solvente sia completamente miscibile
nell’antisolvente alle condizioni di processo.
Si deve formare cioè la combinazione liquido-fluido supercritico e da questa
combinazione il soluto deve precipitare rapidamente perché non è più solubile nella
combinazione solvente-antisolvente.
Quali sono i vantaggi? Funziona bene a bassa temperatura ed è in grado di produrre
diverse morfologie, con il variare delle condizioni di processo: è possibile formare
nanoparticelle, submicroparticelle, microparticelle e particelle cave (balloons).
Si potrebbero formare anche dei cristalli, ma se questo avviene significa dire che il
processo è fuoricontrollo ->svantaggio.
Come funziona? Alimentiamo una soluzione di un solvente organico (ad esempio
acetone) in cui è disciolto il principio attivo di interesse (ad esempio prodotto
farmaceutico) (1). Essa è mandata ad una pompa (2) e viene sparata nella camera (3).
Per utilità, questa ha finestre trasparenti e poiché lavora ad alte pressioni -200/300
atm-, si utilizzano pareti in vetro borosilicato che reggono fino a 400 bar. Questo tipo
di apparecchiatura inoltre dispone di valvole di sicurezza che si aprono per evitare il
cedimento fisico. Nella camera c’è un sistema forato che mette in comunicazione
l’alimentazione con il sistema sotto pressione.
Nel fare questo produce l’atomizzazione del liquido.
Nel frattempo, la camera è stata alimentata con CO2 liquida sottoraffreddata (5) per
evitare che vada in cavitazione. Quand