Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ASPETTO FORMALE:
La poesia è divisa in sei parti; è in terzine dantesche pascoliane ed è composta da 307 versi. Talvolta le
rime sono assenti, gli endecasillabi incompleti o manca il verso di chiusa. Molte volte i versi sono
ipometrici e altre volte ipermetrici.
Nel poemetto manca una vera e propria vivacità dialogica perché non c’è un dialogo vivo e diretto tra
Pasolini e Gramsci e quindi non si crea un botta e risposta immediato e vivace perché Gramsci è
presentato morto e non vivo (ciò distingue il poemetto dai canti della Divina Commedia di Dante, dove
invece il dialogo tra Dante e le altre anime è vivo).
Le figure retoriche sono tantissime: consonanze, assonanze, enjambement, iperbati, anastrofi, ossimori,
anticipazione dell’aggettivo, domande retoriche alla fine di ogni lassa.
Tutte queste figure abbondano in tutto il poemetto e lo rendono un po’ macchinoso anche se nel
complesso proprio queste figure retoriche partecipano attivamente alla sua bellezza.
Profezia - Alì dagli occhi azzurri
È una poesia scritta, probabilmente, nel 1962 e pubblicata nel volume Poesia in forma di rosa (che esce
nel 1964 e nello stesso anno Pasolini pubblica una seconda versione di Profezia a cui aggiunge il titolo Alì
Alì dagli occhi azzurri è un'altra raccolta in cui inserisce
dagli occhi azzurri, che verrà poi spiegato
Profezia con alcune modifiche). L’opera è stata il frutto di una conversazione tra Pasolini e il suo amico
Sartre (poeta dell’esistenzialismo, che si interrogava sulle motivazioni che spingevano i poveri ad
emigrare), a seguito di un incontro avvenuto a Parigi tra il '63 e il’ 64 in in occasione della presentazione
de "Il Vangelo secondo Matteo", in cui Pasolini resta fortemente deluso dalla reazione degli intellettuali
francesi marxisti. Sartre lo consola e Pasolini gli risponde con il primo verso di questa poesia.
La figura di “Alì dagli Occhi Azzurri” è una figura emblematica per il Pasolini degli anni 1962-1965,
impegnato in una riflessione esistenziale sul rapporto tra Nord e Sud e tra cristianesimo e marxismo. Per
Pasolini le due questioni si incrociano e il punto focale della sua analisi poetica è scritto in modo da
formare tre croci. La chiave di lettura è nell'accostamento finale tra Papa Giovanni XXIII, figura
conciliante, e Trotsky, figura "eretica" del marxismo. L'autore cerca quindi una sintesi tra le due ideologie,
sfruttando gli spazi di apertura offerti da queste figure meno dogmatiche.
A Jean Paul Sartre, che mi ha raccontato la storia di Alì dagli Occhi Azzurri
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci,
asiatici, e di camice americane.
Subito i Calabresi diranno,
come malandrini a malandrini:
"Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!"
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica,
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantavano
ai massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi,
essi che pregavano alle lotte operaie…
... deponendo l'onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l'onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli occhi azzurri — usciranno da sotto la terra per uccidere —
usciranno dal fondo del mare per aggredire — scenderanno
dall'alto del cielo per derubare — e prima di giungere a Parigi
per insegnare la gioia di vivere,
prima di giungere a Londra
per insegnare ad essere liberi,
prima di giungere a New York,
per insegnare come si è fratelli
— distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno su come zingari
verso nord-ovest
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento...
ANALISI:
L'autore immagina un capo tribù proveniente dal Nord Africa (Maghreb, Niger), che giunge in Italia con
una barca, insieme ad altri migranti, dai "regni della fame", termine che indica i paesi non occidentalizzati.
Pasolini, considerando il mercantilismo occidentale irreversibile, vede nei migranti la speranza di un
ritorno a un'antica tradizione contadina, intrisa di valori cristiani e materialità. Questa visione emerge, ad
esempio, nella descrizione dei migranti con "bambini, pane e formaggio" e nel riferimento ai doni pasquali
simbolo di gioia popolare e vitalità, che si manifesta nella loro volontà di sopravvivenza. Arrivano con
"nonne e asini" su navi rubate ai porti coloniali, immagine che simboleggia la riappropriazione di mezzi
occidentali. Lo sbarco in Calabria, con "stracci asiatici e camici americane", sottolinea ulteriormente come
i migranti si rivestano degli scarti dell'Occidente. Essi vengono visti dai calabresi come "malandrine e
malandrini", termine che richiama le ondate migratorie interne dall'Unità d'Italia alla Seconda Guerra
Mondiale, quando il Sud, meno industrializzato, si riversava al Nord in cerca di lavoro. Pasolini sottolinea
un parallelismo: l'Italia è stata a sua volta un "Sud" rispetto al Nord Europa, e ora un nuovo Sud, ancora
più povero, migra verso di essa. Dal "regno della fame", creato dall'Occidente nel Terzo Mondo, i migranti
approdano alle "città della malavita" occidentali (Napoli, Barcellona, Salonicco, Marsiglia), completando un
percorso dai luoghi della povertà a quelli della corruzione. L'immagine delle "willaye" (termine di origine
araba che indica un territorio senza un governo centrale, tipico del mondo islamico) che "volano davanti
alle prue" delle navi, suggerisce la fuga da una realtà priva di autorità e la speranza di un futuro diverso.
Pasolini invita a guardare i migranti, definiti "terzo mondo nella sua crudele innocenza", con uno sguardo
privo di pregiudizi.
I migranti, emarginati, sfruttati e oppressi per secoli, reagiscono con "ferocia" e "crudele innocenza".
Vissero "come assassini sotto terra e come pazzi in mezzo al cielo", costruendosi leggi proprie e
adattandosi a un mondo marginale. La loro fede ("Dio servo di Dio") li ha accompagnati attraverso
massacri, guerre e lotte, testimoniando una storia di sofferenza e resistenza.
Pasolini intreccia la dimensione religiosa, con il suo personale sentimento paleocristiano ispirato alla
povertà evangelica, e quella politica, rappresentata dalle lotte operaie e dal crollo delle istituzioni borghesi
e dittatoriali. I migranti, guidati dalla figura di Alì dagli Occhi Azzurri, gioiscono per la caduta di questi
poteri, pregando al tempo stesso per le lotte operaie. Questa commistione tra preghiera e lotta
simboleggia il tentativo di conciliare istanze religiose e impegno politico.
I migranti, guidati da Alì dagli Occhi Azzurri, si propongono di "insegnare la gioia di vivere" nelle città,
diffondendo i valori di libertà, fratellanza e vitalità, persi dalla società occidentale. Il loro arrivo a Roma,
"segno della storia antica", rappresenta la possibilità di un nuovo inizio, un "nuovo germe" capace di
rigenerare la società.
Io sono una forza del passato (morte+progresso+ricordo)
"Ro.Go.Pa.G." è un film a episodi del 1963, diretto da Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo
Pasolini e Ugo Gregoretti. Il titolo è un acronimo formato dalle iniziali dei quattro registi. L'episodio diretto
da Pasolini si intitola "La Ricotta".
L'inserimento del verso Io sono una forza del passato non sembra casuale, ma si inserisce nella
complessa rete di riferimenti culturali e religiosi che caratterizza la sua opera. Pasolini dimostra una
profonda assimilazione del testo biblico come parte integrante della cultura.
"La Ricotta" presenta una struttura a doppio binario, un film nel film. La parte a colori rappresenta il film
sulla Passione che il regista, interpretato da Orson Welles, sta girando. La parte in bianco e nero, invece,
mostra ciò che accade sul set, ambientato in una borgata romana e popolato da personaggi popolari, tra
cui Stracci, il protagonista. Quest'ultimo, spinto dalla fame, mangia voracemente la ricotta promessa dal
regista come ricompensa alle comparse, morendo tragicamente. Questo contrasto cromatico sottolinea la
distanza tra la rappresentazione sacra e la cruda realtà della vita nelle borgate.
Stracci, dopo aver portato alla famiglia il primo cestino di cibo ricevuto, cerca di procurarsene un altro
travestendosi da donna per non farsi riconoscere. Purtroppo, il cibo viene rubato da un cane. Con astuzia,
Stracci vende il cane a un giornalista presente sul set e, con il denaro ottenuto, compra un'enorme
quantità di ricotta. Ormai stremato dalla fame, divora l'enorme quantità di ricotta acquistata, morendo
d'indigestione proprio sulla croce dove interpretava uno dei ladroni crocifissi con Cristo.
Pasolini, con questa tragica scena, accosta il martirio di Cristo alla sofferenza del popolo umile e
affamato, rappresentato da Stracci, che muore per il disperato tentativo di soddisfare un bisogno primario.
Nel film, il regista, durante un'intervista con un giornalista, recita alcuni versi della poesia Io sono una
forza del passato. Questa citazione poetica contribuisce ad approfondire la riflessione di Pasolini sul
rapporto tra passato e presente, tra cultura e società.
Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove schiumeggia il sole
il cui calore è calmo come un mare,
e, del mare, ha il sapore di sale,