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LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO
Il codice civile fornisce la definizione di lavoro autonomo, ricavandola “per differenza” da
quella di lavoro subordinato. Ai sensi dell’art. 2222 c.c., infatti, è lavoratore autonomo chi si
obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente
proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Ciò che caratterizza
il lavoro autonomo è l’assenza di subordinazione (non che il committente non abbia un certo
potere di controllo, ma non si tratta di un potere direttivo).
Per molti anni il diritto del lavoro si è disinteressato al lavoro autonomo, sul presupposto che
questo fosse in grado di autotutelarsi in qualche maniera. Il lavoro autonomo, tuttavia,
manifesta esigenze di tutela molto simili a quelle da sempre manifestate dai lavoratori
subordinati.
Nella l. n. 81/2017 per la prima volta il diritto del lavoro si occupa anche del lavoro autonomo
vero e proprio; si tratta di un processo di progressiva estensione di alcune tutele anche a
figure diverse dal lavoro subordinato che però hanno manifestato esigenze di protezione.
Si estendono al lavoro autonomo il divieto di abuso di posizione dominante da parte del
committente (già previsto nei rapporti tra imprese dal d.lgs. n. 231/2002), il divieto di abuso di
dipendenza economica (già previsto nei rapporti tra imprese dalla L. n. 192/1998 in materia di
subfornitura) e alcune regole in materia di invenzioni del lavoratore.
Quanto alle tutele previdenziali, si estendono al lavoro autonomo un congedo parentale
retribuito dall’Inps, l’indennità di maternità (non condizionata alla sospensione dell’attività
professionale) ed alcune protezioni in caso di malattia, infortunio o gravidanza.
Circa le tutele fiscali, si consente la deduzione integrale dal reddito imponibile IRPEF, delle
spese di formazione e iscrizione a convegni fino a 10.000 € annui, dei costi per servizi di
orientamento e assistenza nel mercato del lavoro fino a 5000 € annui e delle spese per
assicurazione contro il rischio di mancato pagamento dei compensi.
Normalmente, parlando di contratti di lavoro atipici, ci si riferisce a contratti di lavoro
subordinato che presentano profili diversi rispetto alla disciplina classica (ad es. il contratto
di lavoro è, di base, a tempo pieno, salvo sia diversamente indicato nel contratto).
L’espressione viene utilizzata anche nell’ambito del lavoro autonomo, come nel caso dei
co.co.co, e nell’ambito del lavoro etero-organizzato. Si complica l’operazione di
qualificazione.
Le collaborazioni coordinate e continuative sono una tipologia di lavoro autonomo, ma con
alcune caratteristiche che lo rendono simile al lavoro subordinato; il prototipo è il contratto
di agenzia. Per queste categorie si parla di lavoro “parasubordinato”, in quanto l’attività del
collaboratore è destinata ad integrarsi nell’organizzazione produttiva del committente ma il
lavoratore ha ampia autonomia di organizzazione e di gestione.
Il riconoscimento della figura del collaboratore coordinato e continuativo si è avuto con la l. n.
533/1973, che ha modificato il codice di procedura civile. Importante è l’art. 409 c.p.c.,
recentemente modificato dal c.d. Jobs Act , ai sensi del quale il processo del lavoro si applica
anche “a rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si
intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di
comune accordo dalle parti, autonomamente il collaboratore organizza l'attività lavorativa.”
Spesso il confine tra rapporto subordinato e rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa è difficile da individuare. Accade, nella prassi, che si ricorra alle collaborazioni in
alternativa al lavoro subordinato; le ragioni di quest’uso distorto a cui ben si presta la
disciplina delle collaborazioni sono i minori costi (retributivi, previdenziali etc.), la maggiore
elasticità nella gestione del rapporto di lavoro e le minori tutele nei confronti del lavoratore
(ad es. per quanto riguarda licenziamenti, malattia, etc.).
Tentativi di avvicinamento della disciplina di tutela sono stati la riforma delle pensioni (L. n.
335/1995), la previsione della contribuzione del 10%, progressivamente aumentata, la tutela
della maternità (con una parziale assimilazione), la tutela della salute e sicurezza (D. Lgs.
626/1994), l’assicurazione INAIL obbligatoria (L. n. 38/2000). Ai co.co.co. è stata estesa
l’assicurazione contro la disoccupazione (DIS-COLL. ex art. 15 d. lgs. 22/2015). Nel 2017 la
DIS-COLL è stata estesa anche ad assegnisti e dottorandi di ricerca. Dal 2024 è diventata
strutturale anche l’Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa (ISCRO)
(*Cos’è?).
Negli ultimi anni le esigenze di tutela tipiche del lavoro subordinato si sono manifestate anche
in riferimento a molteplici figure di lavoratori di qualificazione incerta. Si tratta di ipotesi in
cui alla presenza di indici dell’autonomia della prestazione si accompagna una marcata
debolezza contrattuale e la soggezione a indicazioni molto puntuali del committente sulle
modalità di svolgimento dell’attività. I problemi di qualificazione sono stemperati dal fatto che
in queste occasioni si applica la disciplina del lavoro subordinato integralmente.
Alcune ipotesi di lavoro etero-organizzato sono riconducibili al caso dei lavoratori tramite
piattaforma informatica (c.d. riders, si v. infra). La riposta della legge si è avuta in due tempi:
1) con l’art. 2 d. lgs. 81/2015 (uno dei decreti attuativi del Jobs Act);
2) con il d. l. 101/2019, convertito in l. 128/2019.
L’art. 2 d. lgs. 81/2015 (come modificato dalla L. 128/2019) prescrive che “A partire dal 1
gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di
collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente (prima:
esclusivamente) personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal
committente [anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro]. Le disposizioni di cui al
presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione
siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”
Si è così aperto un dibattito sull’interpretazione dell’art. 2 L. 128/2019: si sono confrontate
diverse posizioni in dottrina:
Secondo alcuni (Razzolini) l’art. 2 è una norma di fattispecie
Altri (Perulli) sostengono che l’art. 2 sia una norma di disciplina
Secondo una posizione minoritaria (Tosi), si tratterebbe di una norma «apparente» perché non
aggiungerebbe nulla alla nozione di cui all’art. 2094 c.c.
La Cassazione ha accolto l’opinione per cui l’art. 2 è una norma di disciplina.
Il lavoro etero-organizzato è connotato dal carattere «prevalentemente personale» della
prestazione di lavoro e dalle modalità di esecuzione organizzate dal committente anche
con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Oggi al centro del dibattito c’è la regolazione delle nuove forme di lavoro (cloud work, crowd
work etc.) L’evoluzione della tecnologia ha condotto a moltiplicare le modalità attraverso le
quali il lavoro viene offerto e prestato. Queste modalità di svolgimento dell’attività pongono
però problemi (in parte) inediti al diritto del lavoro.
Emblematico è il caso dei riders I c.d. riders (o ciclofattorini) sono lavoratori che si
→
occupano delle consegne di beni (spesso cibo) da un fornitore all’utente. Le modalità di
consegna sono determinate da una app, che definisce anche il percorso più veloce. Il
lavoratore si deve «loggare» nel sistema per dichiarare la propria disponibilità ad effettuare la
consegna. Lo svolgimento dell’attività si colloca nel “mondo reale”. Le piattaforme
inquadravano (almeno inizialmente) le attività dei riders come lavoro autonomo. Detta
qualificazione faceva leva sulla possibilità per il rider di scegliere la fascia oraria di
svolgimento dell’attività, la possibilità di rifiutare la chiamata (anche nella fascia oraria
prescelta) e il possesso da parte del rider degli strumenti di lavoro (bicicletta + cellulare).
Le prime cause di lavoro intentate contro le piattaforme online (in primis contro Foodora)
hanno dato esiti contrastanti:
- Il Tribunale Torino 11 aprile 2018 stabilisce che i riders di Foodora sono lavoratori
autonomi;
- nello stesso senso ha deciso il Tribunale di Milano, con la Sent. 4 luglio 2018.
- La Corte d’Appello di Torino l’11 gennaio 2019 ha considerato i cd. “riders” di Foodora
come lavoratori etero-organizzati, applicando per la prima volta l’art. 2 del d. lgs.
81/2015.
Interviene la prima sentenza della Corte di Cassazione in materia (Sent. Cass. 24 gennaio
2020, n. 1663). La Cass. in primo luogo rigetta l’ipotesi secondo cui l’art. 2 sarebbe una
«norma apparente»; secondo la Corte, infatti, «i concetti giuridici, in specie se direttamente
promananti dalle norme, sono convenzionali, per cui se il legislatore ne introduce di nuovi
l'interprete non può che aggiornare l'esegesi a partire da essi, sforzandosi di dare alle norme
un senso, al pari di quanto l'art. 1367 c.c. prescrive per il contratto, stabilendo che, nel
dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere
qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno». La Corte, dunque,
propende per la considerazione dell’art. 2 d. lgs. 81/2015 come norma di disciplina: «il
legislatore (...) si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (quali
personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della
disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine
il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta».
La giurisprudenza successiva ha dunque seguito l’impostazione proposta dalla Cassazione,
inquadrando il rapporto di lavoro dei riders come subordinato (Tribunale di Torino,18
novembre 2021 e Tribunale di Milano, 20 aprile 2022).
Un passaggio importante è senz’altro: “Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro
subordinato, non presenta significato determinante la circostanza che il collaboratore sia