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CAP.18 SLAVIA ORTODOSSA E SLAVIA LATINA: LA QUESTIONE DELLA LINGUA
LETTERARIA
Nella Slavia ortodossa aveva assunto fin dal medioevo un ruolo dominante lo slavo
ecclesiastico, che continuò a svilupparsi fino all’epoca barocca in stretto rapporto con
il greco.
Slavia ortodossa: con l’invenzione del glagolitico, lo slavo ecclesiastico assunse
un funzione cultuale, diventando il medium linguistico della cultura scritta
almeno fino al XVII-XVIII secolo. Ha interagito con l’evoluzione delle lingue
vernacole. Questa lingua si basa su una parlata slava-meridionale; qualunque
trasformazione doveva manifestare una costante dinamica di avvicinamento al
prototipo rappresentato dalla lingua greca – stringe legami sempre più profondi
con il greco, assumendo al contempo carattere di sacralità.
Almeno nei primi secoli, lo slavo ecclesiastico non era molto diverso dalle
parlate locali. Esse convissero in modo simbiotico e si influenzarono
reciprocamente; si spiega così lo sviluppo delle diverse redazioni dello slavo
ecclesiastico. Della tradizione scrittoria slava orientale vi sono testimonianze
che appaiono vicine alla lingua parlata, ad esempio la Russkaja pravda,
un’opera del XI-XII secolo, in cui viene raccolto il diritto consuetudinario del
mondo slavo orientale. Un altro fenomeno interessante è costituito dalle lettere
su corteccia di betulla (berestjanye gramoty), che rappresentano una
testimonianza fondamentale della Novgorod medievale [Brevi testi a carattere
commerciale, databili tra il XI e il XV secolo]
Si cerca di imporre, poi, un medesimo standard in tutta la Slavia ortodossa. Nel
XIV-XV all’epoca in cui gli ottomani si espandevano nei Balcani, si cercò di
uniformare lo slavo ecclesiastico attraverso la versione delle Sacre Scritture e
dei libri liturgici. Si recuperano caratteri delle origini, come le vocali nasali.
Questa diffusione ebbe come protagonisti i monaci esicasti, legati ai cenobi del
monte Athos, mostrò un effetto duraturo solo nei Balcani. Si parla di “seconda
influenza slava meridionale”, per differenziarla dalla prima (quando lo slavo
ecclesiastico viene importato nella Rus’ di Kiev, ai tempi di Vladimir). Si osserva
un processo di uniformazione che tendeva a realizzare una norma comune e
anche lo sviluppo delle parlate locali che si differenziavano sempre di più dallo
slavo ecclesiastico. Si affermò così un progressivo bilinguismo. Partendo dallo
slavo ecclesiastico, sotto la spinta del volgare polacco, si sviluppò una nuova
lingua che prese il nome di prosta mova (“lingua semplice”).
Lo sviluppo delle lingue letterarie volgari nella Slavia ortodossa fu molto più
tardo rispetto alla Slavia latina, perché la cultura ecclesiastica mantenne la sua
esclusiva centralità fino all’inizio del XVIII secolo. Lo sviluppo delle parlate locali
provocò la progressiva limitazione dello slavo ecclesiastico alla sfera del culto.
Le lingue slave moderne assunsero la loro forma standard quando ormai era
tramontato l’influsso delle lingue classiche e avevano acquisito un ruolo
trainante alcune lingue occidentali (francese e tedesco). Le lingue letterarie
volgari esprimevano una cultura diversa, espressione di una spinta
secolarizzatrice e tendenzialmente laica.
Nella ricerca dello standard e della purezza linguistica, si impongono processi
che mirano a trasformare la lingue adattandole ai cambiamenti politici che si
stavano realizzando nelle diverse aree. Nei Balcani si ebbe un processo di
“deturchizzazione” delle lingue. Le lingue percorrono strade diverse che
riflettono la storia dei diversi stati nazionali.
Il romeno è una lingua neolatina che si è sviluppata in Slavia ortodossa: nel
corso del XIX iniziò un processo di “deslavizzazione” della lingua che prese a
riferimento la lingua francese.
Slavia latina: si sviluppò un bilinguismo analogo a quello del mondo germanico.
Il latino costituiva non solo il mezzo della comunicazione sovranazionale e
culturale, ma consentiva di entrare direttamente in contatto con le fonti della
cultura mediterranea, sia del mondo classico sia della letteratura cristiana. Solo
nel XIII-XIV secolo nella Slavia latina iniziarono a svilupparsi le letterature in
vernacolo, a cominciare dalla Boemia, che era più a stretto contatto con il
mondo germanico. All’inizio il volgare veniva usato con finalità didattiche in
ambito ecclesiastico (per spiegare il messaggio cristiano con la predicazione).
Si comincia poi a mettere per iscritto alcuni discorsi e si composero dei canti
religiosi in lingua volgare. Si va a costituire il primo nucleo della società civile,
orientato all’uso del volgare. Il latino veniva usato nel diritto e nella
giurisprudenza, ma per il resto si usava il volgare che poi sfociò anche nella
giurisprudenza. Nelle corti si sviluppò una letteratura in volgare e nacquero così
i generi letterari della poesia epica e della lirica cortese. Nell’Europa
settentrionale e centrale, il processo di standardizzazione del volgare si
realizzò con la traduzione della Bibbia.
Si pose la scelta della parlata locale cui la lingua letteraria doveva far
riferimento, che si risolse
Privilegiando un’area e un momento specifico. In queste vicende giocarono un
ruolo fondamentale Praga e Cracovia. Il latino continuò a rappresentare per
lungo tempo il modello linguistico di riferimento. Il teatro favorì lo sviluppo del
volgare. Poi, volgare e latino entrano in competizione: da una parte
l’umanesimo aveva favorito la rinascita della letteratura latina, dall’altra la
riforma promosse lo sviluppo delle lingue letterarie volgari, soprattutto allo
scopo di diffondere la Bibbia al di là degli ambienti ecclesiastici e nobiliari.
Fu solo con il XVIII secolo che il latino cominciò a cedere ampi spazi alle lingue
volgari. Convivono anche qui due lingue, ma all’interno di un medesimo
orizzonte culturale. In seguito, si imposero le lingue nazionali che raggiunsero il
loro standard nel XIX secolo. I popoli, non possedendo un’organizzazione
statale, vedevano nella lingua e nella sua letteratura un fattore fondamentale
per la costruzione della propria identità.
Questo panorama mostra quanto difficilmente si possano ricostruire le storie culturali
dei diversi paesi slavi prescindendo da un passato che affonda le sue radici in un
lontano medioevo. Si sono generate due diverse visioni culturali nel mondo slavo.
CAP.19 GLI STATI MEDIEVALI SLAVI: LA SLAVIA ORTODOSSA (1000-1400)
Il basso medioevo è segnato da un graduale e contraddittorio emergere delle nazioni.
Obolensky parla di “commonwealth bizantino”, ossia dell’area dell’Europa balcanica e
orientale che nel corso del medioevo orbitò intorno a Costantinopoli. Questa era una
“terra di mezzo” fra l’Occidente latino e l’Oriente islamico.
L’area occupata dagli slavi orientali continua nell’alto medioevo a subire le pressioni
delle popolazioni provenienti dal mondo asiatico. Dopo i Peceneghi e i Cumani [i
peceneghi erano una popolazione asiatica e furono vinti dai cumani, anch’essi
provenienti dall’Asia centrale, che nel XIII furono sottomessi dai mongoli], giunsero
nella prima metà del XIII secolo i tartari o mongoli, ma tali popolazioni non si
allontanarono dalle steppe continuando a controllare gran parte dell’Europa orientale
fino al XV secolo. [Nel 1206 Gengis Khan dà avvio ad un’opera di conquista lunga
quarant’anni. Si sentiva rivestito della missione divina di imporre un nuovo ordine al
mondo ad esercitava la sua autorità in modo assoluto] In Medio Oriente i turchi
selgiuchidi nel corso del XIV secolo si insediarono stabilmente nel continente europeo,
cominciando dalla penisola balcanica. Con la conquista di Costantinopoli (1453), il
giogo ottomano si impose definitivamente.
Allo stesso tempo si devono considerare le mire espansionistiche del mondo
occidentale, che agì sia tramite conquiste territoriali sia attraverso il colonialismo
economico. Lo stretto legame tra queste due forme di colonizzazione apparve evidente
quando, a seguito delle crociate, nel Mediterraneo orientale si costituì l’impero latino
d’Oriente, mentre sul Baltico prendeva piede l’ordine teutonico. Ovunque si
insediavano comunità di origine germanica, che contribuirono allo sviluppo economico,
ma favorirono anche la germanizzazione.
Nel mondo bizantino-slavo l’imperatore, pur con meno potere, continuò ad esercitare
un ruolo significativo, grazie all’influenza del cristianesimo ortodosso e all’autorità del
patriarca costantinopolitano. Vide poi ridurre la sua giurisdizione alla sola città, ma il
suo modello politico continuò a dominare: le entità statali guardavano ancora Bisanzio
e alla sua tradizione. Nei Balcani, con l’indebolimento di Bisanzio, si scatenò
nuovamente la crisi provocata dall’impossibile convivenza delle diverse potenze,
fondate sullo stesso modello che si concepiva come unico e assoluto.
Il monachesimo conserva un ruolo fondamentale manifestando una continuità rispetto
alla fase altomedievale. Il monachesimo orientale si sottrasse al processo di
clericalizzazione che caratterizzò la tradizione occidentale, conservando l’idea che lo
stato monacale costituisse il modello di vita del vero cristiano. Vescovi e metropoliti
prendevano possesso della propria sede per rimanervi fino alla morte. Fin dal IV secolo
le fondazioni monastiche si concentrarono in alcuni regioni geografiche che presero il
nome di “Tebaide”, costituendo grandi comunità a cui si affiancavano in genere piccoli
gruppi di eremiti che costituivano l’anima della comunità. Divenne famoso anche il
mondo Athos nella penisola calcidica. [Presso il monastero di Zograf si formò una
comunità monastica in cui si cominciò a celebrare in slavo. Il monaco Feodosij che più
tardi fondò il monastero delle Grotte di Kiev, giunse qui. Diventò poi il centro spirituale
del mondo bizantino e slavo ortodosso. I monasteri diventarono centri scrittori]
Il XII secolo è segnato dal rinnovamento dell’impero bizantino sotto la dinastia dei
Comneni (1081-1204), ultima grande stagione di Bisanzio, quando l’impero prese
l’effettivo controllo dell’intera penisola balcanica. Con Manuele Comneno l’influenza
romana orientale raggiunse per l’ultima volta l’area danubiana. Tuttavia, si
verificarono cambiamenti che minarono alle basi la stabilità dell’impero: si realizzò
l’istituzione della pronoia, che concedeva territori alle popolazioni contadine e ad
esponenti delle famiglie aristocratiche in cambio di servizi allo stato, avviando così