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MIOCARDIOCITI CONTRATTILI:
Al contrario delle cellule P, i miocardiociti contrattili non generano spontaneamente
potenziali d’azione. Hanno invece un potenziale di riposo stabile, che si mantiene
intorno a -90 mV. Per attivarsi, queste cellule devono ricevere uno stimolo da cellule
adiacenti attraverso le giunzioni comunicanti.
Quando arriva l’onda di depolarizzazione, il potenziale di membrana passa
rapidamente da -90 a circa -60 mV. A questo punto si aprono i canali del sodio
voltaggio-dipendenti, e l’ingresso massivo di Na⁺ depolarizza rapidamente la cellula,
portando il potenziale a circa +20 mV: questa è la fase 0.
Segue poi una ripolarizzazione iniziale (fase 1), in cui i canali del sodio si chiudono e
alcuni canali del potassio si aprono, permettendo un inizio di fuoriuscita di K⁺.
Tuttavia, ciò che distingue profondamente il potenziale d’azione del cuore da quello del
muscolo scheletrico è la fase 2, detta plateau. In questa fase, la corrente di entrata del
Ca²⁺ attraverso canali lenti compensa l’uscita di K⁺, prolungando la depolarizzazione. È
proprio questo ingresso di calcio che attiva il reticolo sarcoplasmatico, inducendo il
rilascio di ulteriore Ca²⁺ che si lega alla troponina (non tropomiosina!), permettendo
così la contrazione muscolare.
Questa lunga fase di plateau ha un significato fisiologico fondamentale: impedisce la
sommazione dei potenziali d’azione e il tetano, ovvero quella contrazione continua e
sostenuta che si osserva nel muscolo scheletrico se stimolato ripetutamente. Nel
cuore, infatti, la contrazione e il periodo refrattario durano quasi lo stesso tempo,
impedendo che una nuova contrazione inizi prima che la precedente sia finita.
Dopo il plateau, si entra nella fase 3, cioè la ripolarizzazione finale, dovuta alla
chiusura dei canali del calcio e all’apertura completa di quelli del potassio. L’efflusso di
K⁺ riporta il potenziale al suo valore di riposo di circa -90 mV. Da lì, in fase 4, le pompe
sodio-potassio ristabiliscono la corretta distribuzione ionica, preparando la cellula per
un nuovo ciclo.
Differenze con il muscolo scheletrico:
Un altro aspetto da sottolineare è la durata del potenziale d’azione.
Nel muscolo scheletrico, il potenziale d’azione è molto breve (1-3 ms), e questo
permette la sommazione di più contrazioni, che può portare facilmente al tetano.
Nel muscolo cardiaco, invece, il potenziale dura molto più a lungo (200-300 ms), e
proprio per questo non è possibile la sommazione. Quando arriva un secondo stimolo,
la cellula è ancora nella fase refrattaria o appena rilasciata, e quindi non si sviluppa
tetano.
Questo meccanismo è fondamentale per la fisiologia del cuore, perché garantisce una
contrazione ritmica e completa, seguita da un periodo di rilasciamento che consente al
cuore di riempirsi di sangue prima della contrazione successiva.
Sistema di conduzione del cuore
Il cuore non si contrae in modo caotico, ma segue una precisa sequenza elettrica che
permette una contrazione efficace e coordinata. Questo è possibile grazie al sistema di
conduzione cardiaco, una rete specializzata di cellule che genera e trasmette gli
impulsi elettrici necessari a far battere il cuore.
Tutto ha inizio nel nodo senoatriale, anche chiamato nodo SA. Questo piccolo gruppo
di cellule si trova nella parte superiore dell’atrio destro, vicino all’ingresso della vena
cava superiore. Qui si trovano le cosiddette cellule P, specializzate per generare
spontaneamente impulsi elettrici. Il nodo SA è definito il pacemaker naturale del cuore,
proprio perché impone il ritmo di base del battito cardiaco, quello che viene
comunemente chiamato ritmo sinusale.
Una volta che il nodo SA genera un impulso, l’onda di depolarizzazione si propaga
velocemente attraverso le vie internodali, una rete di fibre che connette direttamente il
nodo senoatriale con il successivo nodo di controllo: il nodo atrioventricolare, o nodo
AV.
Questo nodo si trova alla base dell’atrio destro, vicino al setto interatriale, ed è un
passaggio obbligato per la trasmissione del segnale agli strati inferiori del cuore. Qui
l’impulso subisce un breve ritardo, che ha un ruolo fondamentale: consente agli atri di
completare la loro contrazione prima che i ventricoli comincino a contrarsi. In questo
modo, il sangue può essere efficacemente spinto dagli atri nei ventricoli prima che
questi si chiudano e inizino a pompare verso le arterie. È ciò che si chiama ritardo
atrioventricolare, una funzione cruciale per il corretto riempimento cardiaco.
Dopo aver attraversato il nodo AV, il segnale elettrico passa nel fascio di His, che si
divide rapidamente in due rami principali: branca destra e branca sinistra, che
percorrono il setto interventricolare verso l’apice del cuore. Da lì, il segnale si dirama
attraverso una fitta rete di fibre di Purkinje, specializzate nella conduzione rapida
dell’impulso attraverso i ventricoli. Queste fibre garantiscono che la contrazione
cominci dall’apice del cuore verso la base, direzione necessaria per spingere il sangue
verso le arterie principali, che sboccano nella parte superiore dei ventricoli.
Un punto importante da comprendere è perché l’impulso non si diffonde direttamente
dagli atri ai ventricoli senza passare dal nodo AV. Se ciò accadesse, la contrazione
ventricolare partirebbe dall’alto, impedendo un’efficace espulsione del sangue, che
resterebbe intrappolato nella parte inferiore dei ventricoli. Invece, con questa
disposizione, la contrazione parte dal basso e il sangue viene spinto verso l’alto,
attraverso l’aorta e l’arteria polmonare.
In alcuni casi, tuttavia, esistono delle vie accessorie tra atri e ventricoli che bypassano
il nodo AV. Questo può causare alterazioni del ritmo, anche serie. Una delle condizioni
più note è la sindrome di Wolff-Parkinson-White, dove una via anomala permette la
conduzione anticipata e disorganizzata degli impulsi.
Va detto che, in condizioni particolari, anche il nodo AV e le fibre di Purkinje possono
comportarsi da pacemaker. Tuttavia, la loro frequenza di attivazione spontanea è molto
più bassa rispetto al nodo SA: il nodo AV può generare impulsi a una frequenza di circa
40-60 battiti al minuto, mentre le fibre di Purkinje ancora meno, attorno ai 25-40 bpm.
Quindi, in condizioni normali, questi centri secondari non prendono il comando, ma se il
nodo SA dovesse smettere di funzionare (ad esempio per un danno ischemico), uno di
questi pacemaker più lenti può subentrare. Tuttavia, se la frequenza cardiaca risultante
è troppo bassa per mantenere una perfusione adeguata dei tessuti, può rendersi
necessario l’impianto di un pacemaker artificiale, che assicura la stimolazione elettrica
adeguata al cuore.
ELETTROCARDIOGRAMMA ECG
Il tracciato ECG è uno degli strumenti diagnostici più utilizzati in medicina. A differenza
del potenziale d’azione che registra l’attività elettrica in una singola cellula tramite un
elettrodo intracellulare, l’ECG rileva la somma dell’attività elettrica di migliaia di cellule
cardiache contemporaneamente, registrata dalla superficie corporea.
Il concetto di base è stato elaborato da Willem Einthoven, considerato il padre
dell’elettrocardiografia, che introdusse il celebre triangolo di Einthoven. Questo
triangolo immaginario è tracciato tra tre elettrodi posizionati su braccio destro, braccio
sinistro e gamba sinistra. Le combinazioni di questi elettrodi definiscono le tre
derivazioni standard, ciascuna in grado di registrare le variazioni elettriche del cuore da
una diversa prospettiva.
Nel tracciato ECG:
Quando l’attività elettrica si dirige verso l’elettrodo positivo di una derivazione, l’onda
sul tracciato si muove verso l’alto rispetto alla linea di base.
Se invece l’onda elettrica si sposta verso l’elettrodo negativo, il tracciato mostra una
deflessione verso il basso.
È fondamentale comprendere che l’ECG non misura direttamente la contrazione del
cuore, ma le onde di depolarizzazione e ripolarizzazione che la precedono e la
rendono possibile. Queste onde, generate da migliaia di cellule, si sommano tra loro e
generano il profilo caratteristico del tracciato ECG, che può essere interpretato per
identificare alterazioni del ritmo, blocchi di conduzione, ischemie, ipertrofie e molte altre
condizioni cardiache
Le Onde dell’ECG e la Fisiologia del Cuore: una panoramica
funzionale
Quando si registra un elettrocardiogramma (ECG), ciò che vediamo sul tracciato è
una rappresentazione grafica dei fenomeni elettrici che avvengono nel cuore durante
ogni ciclo cardiaco. Questo tracciato si compone di onde, segmenti e intervalli,
ciascuno dei quali corrisponde a specifiche fasi della depolarizzazione e
ripolarizzazione del miocardio.
Componenti principali del tracciato ECG:
● Le onde sono deviazioni rispetto alla linea di base, positive o negative, e
rappresentano gli eventi elettrici veri e propri. Le più importanti sono: l’onda P,
il complesso QRS e l’onda T.
● I segmenti sono tratti “piatti”, ovvero sezioni della linea isoelettrica che si
trovano tra due onde, come il segmento PR o il segmento ST.
● Gli intervalli, invece, comprendono sia onde che segmenti, come ad esempio
l’intervallo PR e l’intervallo QT.
Vediamoli uno per uno, nel contesto del ciclo cardiaco:
1. Tratto isoelettrico iniziale: subito prima dell’onda P, il tracciato è piatto.
Questo perché l’attività del nodo SA è troppo debole per essere rilevata a livello
della superficie corporea.
2. Onda P: rappresenta la depolarizzazione degli atri. Dura circa 80
millisecondi e precede la contrazione atriale, che contribuisce attivamente al
riempimento ventricolare.
3. Segmento PR (o PQ): questo segmento “silenzioso” sul tracciato riflette il
tempo che l’impulso impiega per attraversare il nodo AV. Sebbene il nodo AV
sia attivo, la sua depolarizzazione è lenta e poco intensa, quindi non genera
una deflessione visibile. Il segmento PR ha una durata compresa tra 120 e 200
ms, e il suo prolungamento può indicare un ritardo nella conduzione.
4. Complesso QRS: è forse il componente più evidente del tracciato. Corrisponde
alla depolarizzazione dei ventricoli, un processo rapidissimo (60–100 ms) che
coinvolge prima il setto interventricolare (Q), poi la massa muscolare
ventricolare (R), e infine le ultime regioni della parete (S). La contrazione
ventricolare (sistole) avviene subito dopo questa fase.
5. Segmento ST: è il tratto che segue il complesso QRS