New York. Nonostante ci fossero ben 38 testimoni, nessuno intervenne o chiamò la polizia durante i circa 35 minuti in cui
l’aggressione si svolse in più fasi. L’assassino, Winston Moseley, confessò anche altri due omicidi e fu condannato all’ergastolo.
Questo episodio suscitò grande scalpore e spinse i ricercatori Bibb Latané e John Darley a studiare in laboratorio il fenomeno
chiamato “effetto spettatore”. Nei loro esperimenti, quando un partecipante era convinto di essere l’unico testimone di
un’emergenza, l’85% interveniva rapidamente per cercare aiuto. Tuttavia, se lo stesso partecipante si trovava in un gruppo, solo il
31% si attivava per prestare soccorso. Questi risultati dimostrano che la presenza di più persone riduce la probabilità che
qualcuno intervenga, perché la responsabilità viene percepita come condivisa, confermando così l’effetto spettatore.
Latané e Darley (1968) hanno mostrato che il comportamento altruistico, cioè la tendenza ad aiutare gli altri, dipende molto dalla
situazione sociale. In un esperimento, hanno misurato quanto tempo impiegavano persone ignare a soccorrere un individuo
complice che simulava un malore. Hanno scoperto che più il soggetto pensava che ci fossero altre persone presenti, più
aumentava il tempo di attesa prima di intervenire. Questo succede perché gli individui sono sensibili alla presenza degli altri e
tendono a conformarsi all’influenza maggioritaria, cioè seguono quello che fa la maggior parte. Inoltre, il comportamento di una
persona è influenzato dal fatto di aver condiviso in passato delle norme di gruppo, che guidano cosa è considerato giusto fare.
Tuttavia, se ci sono altre opinioni o comportamenti non conformi, questi possono aiutare l’individuo a sottrarsi all’influenza
maggioritaria e agire in modo indipendente.
Latané e Darley hanno individuato due principali motivi per cui le persone non agiscono in situazioni di emergenza:
Ignoranza pluralistica: si guarda agli altri per capire cosa fare; se tutti sembrano indifferenti, si pensa che non ci sia un reale
pericolo o bisogno di intervenire.
Diffusione della responsabilità: in presenza di più persone, ciascuno sente meno pressione personale ad agire perché pensa che
qualcun altro prenderà l’iniziativa.
La teoria dell’equità spiega i fattori che influenzano la nostra decisione di aiutare qualcuno in situazioni di emergenza. Prima di
tutto, valutiamo quanto sia grave il bisogno della persona, ad esempio se sta avendo un malore serio o una semplice discussione.
Consideriamo anche quanto l’altro sia responsabile della sua situazione: tendiamo ad aiutare meno chi ha causato il proprio
problema, come un ubriaco o un tossicodipendente. Inoltre, siamo più propensi ad aiutare chi percepiamo simile a noi o
appartenente allo stesso gruppo sociale, perché ci sentiamo più vicini. Infine, teniamo conto del costo personale che comporta
offrire aiuto, come il tempo, il denaro, il rischio o lo stress coinvolti. Questi elementi insieme influenzano se decidiamo o meno di
intervenire.
Nel luglio 2003, a Bosa Marina in Sardegna, un uomo di 60 anni, Francesco Irde, è stato colto da un malore mentre era in spiaggia
e purtroppo è morto nonostante il tentativo di soccorso di un bagnino. Durante l’attesa dell’arrivo del magistrato, il suo corpo è
stato coperto con un telo, mentre le persone intorno continuavano tranquillamente a fare il bagno, mostrando una chiara
indifferenza alla tragedia. Questo episodio è un esempio di come spesso gli astanti, pur presenti, possono rimanere passivi e non
intervenire in situazioni di emergenza.
Due tipi di giustizia:
Giustizia retributiva: È legata a una morale eteronoma (le regole e i giudizi morali vengono imposti dall’esterno, cioè da autorità,
leggi o norme sociali, e non sono frutto di una riflessione personale). I premi e le punizioni devono essere proporzionati ai meriti o
alle colpe. In questa visione, ogni trasgressione richiede una punizione severa, che è moralmente obbligatoria e serve a espiare le
colpe. Questo modo di pensare è tipico dei bambini fino ai 6-7 anni.
Giustizia distributiva: Si basa su una morale più autonoma e riflessiva, che punta all’uguaglianza e al principio di trattare gli altri
come vorremmo essere trattati noi stessi. Qui la punizione non è solo severa o espiativa, ma deve anche riparare al danno fatto,
riconoscendo l’importanza della reciprocità. Questa forma di giustizia emerge nei bambini dai 7 ai 10 anni.
Il dilemma del carrello ferroviario (trolley problem; Philippe Foot 1967):
È un esperimento mentale in cui si deve decidere se deviare un carrello in corsa verso una persona per salvare altre cinque.
Secondo l’utilitarismo classico, è giusto sterzare perché si salva un maggior numero di vite.
Altri invece ritengono che agire in questo modo significhi diventare responsabili della morte di qualcuno, un torto morale che
altrimenti non ci sarebbe stato.
C’è anche chi sostiene che non agire sarebbe immorale, perché se puoi salvare più vite, hai l’obbligo di farlo.
In sostanza, il problema mette in discussione come bilanciare il valore di una vita rispetto a molte altre e cosa significhi
moralmente intervenire o meno.
Lo sviluppo morale riguarda come una persona cresce interiormente nelle sue capacità di giudizio e comportamento morale,
intrecciando emozioni, esperienze sociali e processi cognitivi.
Distinzione tra regole morali e regole convenzionali:
Le regole morali sono interiorizzate e basate sulla consapevolezza che certi comportamenti sono inappropriati non perché vietati
dai genitori o dall’autorità, ma perché causano danni agli altri.
Le regole convenzionali sono stabilite dalle autorità (famiglia, scuola, società) e riguardano norme e abitudini sociali che valgono
solo in certi contesti e non sono universali
Cos’è uno stadio?
Uno stadio è un sistema organizzato di pensiero e credenze che è qualitativamente diverso dagli altri e si sussegue in modo
unidirezionale, cioè si passa da uno stadio al successivo senza tornare indietro.
Piaget 1932
sviluppo morale caratterizzato da:
Pratica delle regole: il comportamento e l’azione morale concreta.
Coscienza delle regole: il ragionamento e la consapevolezza sulle regole.
L’azione morale avviene prima del ragionamento che rappresenta la presa di coscienza delle regole.
I tre stadi nello sviluppo della coscienza morale secondo Piaget:
Periodo premorale o anomia (fino ai 3-4 anni): assenza di regole.
Realismo morale (tra 4-5 e 8-9 anni): prevale la morale eteronoma. Le regole sono imposte da autorità esterne e sono rigide; si
giudica in base al danno oggettivo, non alle intenzioni (ad esempio, rompere tre piatti per sbaglio è più grave che romperne uno
intenzionalmente).
Relativismo morale (dopo gli 8 anni): prevale la morale autonoma. Il giudizio tiene conto delle intenzioni e del contesto, le regole
sono fondate sul rispetto reciproco e possono cambiare. L’obbedienza ai principi è subordinata al benessere altrui (ad esempio, la
bugia è immorale perché danneggia la fiducia).
Secondo Jean Piaget lo sviluppo cognitivo si articola in quattro stadi. Nel senso-motorio (0–2 anni) il bambino conosce il mondo
attraverso percezioni e azioni, sviluppando la permanenza dell’oggetto. Nel preoperatorio (2–7 anni) emerge il pensiero simbolico
e il linguaggio, ma il ragionamento rimane egocentrico e poco logico. Nel periodo delle operazioni concrete (7–11 anni) compare
il pensiero logico legato a situazioni reali, con la capacità di comprendere la conservazione. Infine, nelle operazioni formali (dai 12
anni in poi) si sviluppa un pensiero astratto e ipotetico-deduttivo, che consente di ragionare su possibilità e concetti non concreti.
Per Piaget lo sviluppo morale del bambino attraversa tre fasi. Nella prima, di assenza di regole, i bambini molto piccoli non
comprendono ancora norme o obblighi morali. Successivamente emerge la morale eteronoma, in cui le regole sono considerate
assolute e inviolabili perché imposte da autorità come genitori e insegnanti. In questa fase prevale la responsabilità oggettiva: nel
giudicare un’azione conta soprattutto il danno materiale, mentre intenzioni e contesto hanno scarso peso; per questo, ad
esempio, rompere tre piatti per sbaglio è ritenuto più grave che romperne uno di proposito. Con la crescita si sviluppa la morale
autonoma, basata sul rispetto reciproco e sulla cooperazione. Qui emerge la responsabilità soggettiva, dove intenzioni e
circostanze sono fondamentali nella valutazione morale. Le regole non sono più considerate immutabili ma modificabili in funzione
del benessere e dei bisogni reciproci; così, per esempio, una bugia è immorale soprattutto perché danneggia la fiducia e le
relazioni.
Lawrence Kohlberg 1969
Il metodo utilizzato si basa su interviste a 72 bambini di 10, 13 e 16 anni di ceto medio e basso, su una storia detta il dilemma di
Heinz
Kohlberg elabora la teoria che segue:
Livello pre convenzionale - Tipico dell’infanzia. La moralità è guidata da conseguenze esterne (ricompense/punizioni) 4-10 anni
Stadio 1 - obbedienza e punizione: Un’azione è considerata “giusta” se evita la punizione. Il bambino obbedisce per timore della
sanzione.
Stadio 2 - scambio e interesse personale: È giusto ciò che porta un vantaggio personale (“se fai questo per me, io faccio quello
per te”). Regola del do ut des.
Livello convenzionale - Tipico dell’adolescenza e dell’età adulta. La moralità è guidata dal rispetto delle norme sociali e del ruolo
nella comunità.
Stadio 3 - buon/a ragazzo/a: Comportarsi bene significa essere approvati dagli altri, mostrarsi “bravi”, leali, affidabili. Conta molto
l’intenzione.
Stadio 4 - legge e ordine: La cosa giusta è rispettare le leggi, mantenere l’ordine sociale e adempiere ai propri doveri. L’autorità va
sostenuta per il bene comune.
Livello post-convenzionale - Raggiunto da una minoranza di adulti. La moralità è guidata da principi etici autonomi.
Stadio 5 - contratto sociale e diritti individuali: Le leggi sono importanti ma modificabili se violano i diritti fondamentali. Conta il
bene della società e la tutela dei diritti.
Stadio 6 - principi etici universali: Le scelte morali si basano su principi di giustizia, equità e rispetto della dignità umana, anche se
ciò implica andare contro la legge. È la moralità più autonoma e riflessiva.
Una donna è gravemente malata e c’è una medicina che potrebbe salvarla, scoperta in un laboratorio locale. Il farmacista, che ha<
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