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Un altro parametro fondamentale per il calcolo degli indici morfoedafici è la profondità
media del lago, la quale influisce direttamente sul volume totale d’acqua disponibile e
quindi sul grado di diluizione dei nutrienti. Gli indici si ottengono dividendo il valore
medio annuo dell’alcalinità o della conducibilità elettrica (misurati su tutta la colonna
d’acqua) per la profondità media del lago. L’alcalinità viene solitamente determinata
tramite titolazione acido-base, mentre la conducibilità elettrica è facilmente misurabile
con sonde multiparametriche, rendendo questi indici facilmente accessibili e ripetibili.
Le analisi hanno dimostrato una relazione statisticamente significativa tra gli indici
morfoedafici e la concentrazione naturale di fosforo in un lago. In particolare, si sono
definite due equazioni di regressione lineare su scala logaritmica (base 10). La prima
relazione esprime il logaritmo della concentrazione media annua di fosforo in funzione
del logaritmo dell’indice morfoedafico basato sull’alcalinità, secondo la formula:
log(P) = 1,48 + 0,33 * log(IME_alc) ± 0,09
La seconda formula segue la stessa struttura ma fa riferimento all’indice basato sulla
conducibilità elettrica. Queste relazioni, semplici e di facile applicazione, sono state
utilizzate come base per la pianificazione della qualità delle acque lacustri, in
particolare nel contesto lombardo.
Nel primo Piano Acque regionale del 1985, l’obiettivo principale era riportare tutti i
laghi allo stato di oligotrofia attraverso interventi massicci di risanamento. Tuttavia,
l’applicazione degli indici morfoedafici ha successivamente evidenziato l’impossibilità
di raggiungere questo obiettivo in maniera generalizzata, poiché le condizioni naturali di
molti laghi non consentono di ottenere valori di fosforo compatibili con l’oligotrofia,
nemmeno in assenza di carichi antropici significativi.
A partire da questo presupposto, una nuova impostazione è stata adottata nel Piano
Acque del 1991, che ha previsto obiettivi più realistici, definiti sulla base delle
condizioni naturali stimate tramite gli indici morfoedafici. La proposta prevedeva di
considerare come valore-obiettivo finale una concentrazione di fosforo pari a una volta
e mezzo quella stimata come naturale. Si stabiliva quindi un valore intermedio e uno
finale, verso cui indirizzare gli interventi di risanamento. Questa pianificazione, pur
mantenendo un orientamento verso il miglioramento della qualità dell’acqua,
riconosceva l’impossibilità di azzerare completamente i carichi diffusi, limitando
l’azione di mitigazione ai carichi puntuali.
È infatti ben noto che, mentre è tecnicamente possibile ridurre significativamente i
carichi puntuali – ad esempio quelli provenienti dagli impianti di depurazione – il
controllo dei carichi diffusi è molto più complesso. Questi ultimi derivano da fonti non
puntuali come l’agricoltura, il deflusso urbano non trattato e l’erosione dei suoli, e
risultano estremamente variabili nello spazio e nel tempo. Proprio per questa ragione,
anche a fronte di interventi efficaci sui carichi puntuali, in molti laghi permane uno
stato trofico superiore a quello dell’oligotrofia, e in alcuni casi si riscontra uno stato di
mesotrofia o di eutrofia moderata.
L’approccio basato sugli indici morfoedafici e su modelli di carico-trasporto ha
consentito di definire obiettivi ambientali realistici e differenziati per ciascun corpo
idrico, evitando l’adozione di standard unici e difficilmente raggiungibili. Si tratta di un
esempio di gestione adattativa e basata sulle evidenze, che tiene conto delle
caratteristiche intrinseche del sistema lacustre, della sua storia evolutiva e della
pressione antropica esercitata.
Nel tempo, tuttavia, è emerso che questo approccio – sebbene efficace – non è
sufficiente a garantire una qualità ecologica ottimale, in particolare nei casi in cui
fattori esterni o non previsti, come il cambiamento climatico o l’urbanizzazione diffusa,
introducono nuove pressioni ambientali. Le analisi più recenti, tuttora in corso, si
stanno concentrando proprio su questi aspetti, per cercare di comprendere quali siano
i margini residui di miglioramento nella gestione dei carichi diffusi e se esistano
strumenti o strategie integrative che permettano un’ulteriore riduzione degli impatti
trofici nei laghi.
Tra i fenomeni ambientali che hanno ricevuto maggiore attenzione nello studio dei laghi vi è
senz’altro l’eutrofizzazione, considerata a lungo il principale problema da affrontare nella
gestione della qualità delle acque lacustri. Questo fenomeno, oltre a essere tra i più evidenti e
misurabili, è stato anche il più indagato per molti anni, al punto da oscurare parzialmente la
comprensione di altri processi critici, che solo in tempi successivi hanno ricevuto
un’adeguata considerazione. L’eutrofizzazione è un processo che prevede un arricchimento
anomalo di nutrienti, in particolare fosforo e azoto, che porta a una proliferazione
incontrollata del fitoplancton, con conseguenze negative sull’equilibrio ecologico e sulla
qualità delle acque.
Già nel 1981 era stato proposto un sistema di classificazione dello stato trofico dei laghi,
basato su tre parametri fondamentali: la concentrazione di fosforo totale, la concentrazione di
clorofilla-a e la trasparenza dell’acqua, misurata tramite la profondità alla quale scompare il
disco di Secchi. Tale sistema, pur essendo stato elaborato diversi decenni fa, è ancora oggi
considerato valido per valutare lo stato trofico dei corpi idrici lacustri. Tuttavia, anche
all’epoca era chiaro che l’ambiente naturale è caratterizzato da un’elevata variabilità, che
rende difficile ricondurre ogni situazione concreta a una classificazione rigida. I limiti
proposti rappresentano dunque valori medi, da interpretare tenendo conto delle deviazioni
legate alla distribuzione probabilistica degli stati trofici.
Secondo questo schema, si considera che laghi con concentrazioni inferiori a 4 µg/L di
fosforo totale si trovino in uno stato di ultraoligotrofia, mentre valori tra 4 e 10 µg/L
definiscono la condizione di oligotrofia. Tuttavia, è riconosciuto che, anche in presenza di tali
concentrazioni, esiste una certa probabilità che il lago si trovi in uno stato trofico differente, a
causa della complessità delle interazioni ecologiche e delle caratteristiche specifiche di
ciascun bacino. Per questo motivo, sono state costruite curve basate sulla distribuzione
probabilistica degli stati trofici in funzione dei parametri indicatori, con l’obiettivo di fornire
una rappresentazione più realistica delle diverse situazioni riscontrabili in natura.
Dal lavoro svolto negli anni Ottanta è derivata una strategia gestionale che prevedeva come
obiettivo auspicabile, per tutti i laghi, il raggiungimento dello stato di oligotrofia, considerato
sinonimo di buona salute ecologica. Tale approccio, però, non teneva conto delle peculiarità
geografiche, climatiche e geologiche dei bacini imbriferi, e ignorava il fatto che non tutti i
laghi sono naturalmente oligotrofici. In effetti, l’apporto di nutrienti in un lago è essenziale
per il sostentamento della catena trofica, che deve mantenersi in equilibrio affinché nessuna
componente, come il fitoplancton, prevalga in modo eccessivo sulle altre. La quantità di
nutrienti che entra nel lago è determinata, in larga parte, dalle caratteristiche del bacino
imbrifero che lo alimenta. Esistono quindi laghi che, per loro natura, sono più ricchi di
nutrienti e si trovano in uno stato di mesotrofia o addirittura eutrofia, anche in assenza di
impatti antropici rilevanti.
In effetti, l’eutrofizzazione rappresenta l’esito naturale dell’evoluzione di un lago, che nel
corso di tempi molto lunghi tende ad accumulare materia organica e sedimenti fino a colmarsi
progressivamente. Ciò che oggi viene percepito come un problema ambientale è in realtà
l’accelerazione di tale processo naturale a causa delle attività umane. L’intensificazione dei
carichi di nutrienti, in particolare di origine agricola e urbana, ha determinato
un'accelerazione dei tempi di evoluzione del lago, alterando profondamente la dinamica
ecologica. Solo in tempi più recenti è stata riconosciuta l’importanza di distinguere tra laghi
naturalmente oligotrofici e quelli che, per condizioni geologiche e morfologiche, tendono a
uno stato trofico più elevato.
Uno studio interessante in tal senso è stato condotto da due ricercatori britannici,
probabilmente scozzesi, che si proposero di analizzare il rapporto tra concentrazione di
fosforo e pescosità dei laghi. L’ipotesi alla base del loro lavoro era che, essendo il fosforo un
nutriente fondamentale per la produttività primaria, una sua maggiore disponibilità avrebbe
favorito la crescita della biomassa e, di conseguenza, una maggiore disponibilità di cibo per i
pesci. Su queste basi, vennero definiti gli “indici morfoedafici”, che mettono in relazione la
concentrazione naturale di fosforo con alcuni parametri geochimici e morfometrici del lago.
Due dei parametri presi in considerazione per il calcolo di questi indici sono l’alcalinità e la
conducibilità elettrica, entrambi indicatori indiretti della salinità. Questi parametri sono
considerati molto stabili e conservativi, poiché influenzati principalmente dalla geologia del
bacino e difficilmente modificabili da apporti esterni, data la grande massa d’acqua che
caratterizza i laghi. Per alterare significativamente l’alcalinità o la conducibilità elettrica di un
lago, sarebbero necessarie immissioni di sali in quantità molto elevate, il che è improbabile
salvo in casi di grave inquinamento.
Un altro parametro fondamentale per la determinazione degli indici morfoedafici è la
profondità media del lago, che influenza direttamente il volume d’acqua disponibile e quindi
la capacità di diluizione dei nutrienti. Maggiore è la profondità media, maggiore sarà il
volume d’acqua e minore la concentrazione di nutrienti a parità di carico.
Gli indici morfoedafici sono calcolati dividendo l’alcalinità media annua (espressa in mg/L di
CaCO₃) o la conducibilità elettrica (espressa in µS/cm) per la profondità media del lago. La
semplicità di questi calcoli rappresenta uno dei principali punti di forza del metodo: sia
l’alcalinità sia la conducibilità possono essere determinati facilmente e rapidamente, con
strumenti di laboratorio di bas