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La rappresentanza indiretta, pur non trovando una disciplina organica nel codice civile, è riconosciuta dalla
prassi e dalla dottrina. Si verifica quando il rappresentante agisce sì per conto del rappresentato, ma in nome
proprio. In questo caso, il contratto produce effetti nella sfera giuridica del rappresentante, e solo in un
secondo momento, tramite un distinto trasferimento giuridico, quegli effetti possono essere trasferiti al
rappresentato. Ad esempio, se il rappresentante acquista un bene in nome proprio ma per conto del
rappresentato, il bene entra temporaneamente nel suo patrimonio, e solo successivamente dovrà essere
trasferito al rappresentato attraverso un altro atto (come una vendita o una donazione).
La differenza tra le due forme sta dunque tutta nel profilo dell’imputazione degli effetti. Nella
rappresentanza diretta, il rappresentato è subito vincolato e beneficiario; in quella indiretta, non è parte del
contratto e dovrà ricevere ciò che gli spetta tramite un ulteriore atto. Ai sensi dell’art. 1391, è poi importante
notare che il rappresentante non può concludere un contratto con sé stesso né in rappresentanza di entrambe
le parti (autocontratto e contratto con conflitto di interessi) salvo autorizzazione del rappresentato o se l’atto
è a contenuto predeterminato e non lascia spazio a valutazioni discrezionali.
Quando sorgono contrasti tra rappresentante e rappresentato, si applicano le regole generali del mandato
(artt. 1703 ss.), se esiste un rapporto sottostante. Il rappresentato può lamentare, ad esempio, un abuso dei
poteri o un conflitto d’interessi (art. 1394 c.c.). In questi casi può chiedere l’annullamento del contratto,
purché il terzo fosse in mala fede.
La rappresentanza senza potere è disciplinata dall’art. 1398 c.c.: si verifica quando qualcuno agisce senza
avere il potere di rappresentanza, oppure oltre i limiti di quel potere. Il contratto, in tal caso, non vincola
il rappresentato, a meno che non lo ratifichi (cioè non lo approvi successivamente, art. 1399 c.c.). Se non
c’è ratifica, il falso rappresentante risponde dei danni verso il terzo che abbia confidato senza colpa
nell’esistenza del potere.
Infine, la gestione di affari altrui (artt. 2028–2032 c.c.) si verifica quando qualcuno interviene
spontaneamente per curare un affare nell’interesse di un altro, senza esserne obbligato. Se la gestione è
utile e condotta con la diligenza dovuta, il gestore ha diritto al rimborso delle spese e all’indennizzo; in
caso contrario, può rispondere dei danni. Il dominus (cioè il titolare dell'affare) può anche ratificare
l’operato del gestore, assumendosene gli effetti.
7) Il contratto preliminare e i vincoli a contrarre
Il contratto preliminare è un accordo con cui due parti si obbligano a concludere un futuro contratto
definitivo, di solito con contenuto già determinato. È disciplinato dall’articolo 1351 del codice civile, che
stabilisce che il preliminare deve avere la stessa forma del contratto definitivo, se richiesta ad substantiam
(per esempio, forma scritta per la compravendita immobiliare). Il preliminare non trasferisce il bene,
ma crea un obbligo a contrarre: se una delle parti si rifiuta, l’altra può chiedere l’esecuzione in forma
specifica ex art. 2932 c.c., cioè ottenere una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto mancato.
Diversa è l’opzione, che è un contratto unilaterale in cui una parte concede all’altra il diritto di decidere se
concludere o meno un futuro contratto, entro un certo termine. La parte che concede l’opzione è vincolata
fin da subito, mentre l’altra è libera. Quando il titolare dell’opzione comunica di voler esercitare il diritto (la
cosiddetta dichiarazione di accettazione), si perfeziona il contratto. È regolata all’articolo 1331 c.c., il
quale prevede che, se l’opzione è stata pagata, non può essere revocata fino alla scadenza del termine
pattuito.
La prelazione, infine, è un patto con cui una parte si impegna a preferire l’altra in caso decida di
concludere un certo contratto con un terzo. Non obbliga a concludere, ma solo a offrire la possibilità di
farlo per prima. Esistono due tipi di prelazione: quella convenzionale, frutto di accordo tra privati, e
quella legale, prevista dalla legge in casi specifici (ad esempio, per i coeredi o i coltivatori diretti). Se la
prelazione viene violata e il contratto è stato già concluso con un terzo, il titolare della prelazione può
ottenere il risarcimento del danno.
8) Quando l’oggetto del contratto è valido e quando no?
Perché l'oggetto del contratto sia valido occorre che sia in linea con l'articolo 1346 del codice civile.
L'articolo 1346 del codice civile pone i requisiti dell'oggetto del contratto: la possibilità (l'oggetto deve
essere materialmente suscettibile di esecuzione), la liceità, la determinatezza o la determinabilità (affinché
possa sorgere un vincolo giuridico occorre che sia chiaro a che cosa le parti si impegnano). Secondo la
dottrina prevalente per oggetto del contratto si identifica il bene dovuto che costituisca l'oggetto di una
prestazione di dare o comunque sul quale ricadono gli effetti del contratto (alternativamente per oggetto
debbono intendersi le prestazioni dedotte in contratto come dovute dalle parti 1347-1349). La legge ammette
che il contratto possa avere per oggetto cose future (1348) se ciò non sia però vietato dalla legge (es. nella
donazione). Le parti possono anche decidere che l'oggetto della prestazione sia determinata da un terzo,
chiamato arbitratore, la cui attività è detta arbitraggio ed è regolata dall'articolo 1349.
9) Cosa si intende per causa del contratto? Qual è la sua funzione nei contratti tipici e atipici?
Elemento essenziale di ogni negozio giuridico è la sua causa, riferito al negozio il concetto di causa è
importante soltanto per quelli nei quali l'autonomia dei privati può influire sul contenuto e quindi sugli
effetti del negozio. Quando invece il contenuto del negozio dipende dalla libera scelta del privato, e quindi
nel caso del contratto, è necessario che gli effetti complessivamente perseguiti siano giustificati dal punto di
vista dell'ordinamento giuridico. L'articolo 1325 annovera la causa tra i requisiti del contratto, la formula
prevalente è quella che pone la causa in relazione alla funzione obiettiva del contratto. Per i contratti tipici
l'esistenza della liceità della causa è già valutata positivamente, in linea di principio, dalla legge; resta però
da valutare se in concreto il singolo accordo sia meritevole di approvazione.
Ogni negozio deve avere la sua causa perché ogni negozio deve corrispondere ad uno scopo socialmente
apprezzabile. Ciò non esclude che, in alcuni negozi, gli effetti si producano astraendosi o a prescindere dalla
causa, la quale resta, per così dire, accantonata. Tali negozi sono detti astratti in contrapposto agli altri che
sono detti causali; i negozi astratti servono a facilitare l'acquisto e la circolazione dei diritti. Vi è una
distinzione tra astrazione sostanziale (quella per cui il negozio nel suo funzionamento resta svincolato dalla
causa) ed astrazione processuale (presuppone che il negozio sia causale e si risolve in un'inversione legale
dell'onere della prova). Il nostro ordinamento le figure di negozi astratti possono produrre soltanto effetti
obbligatori: non si ammette il trasferimento di un diritto reale.
L'articolo 1418 annovera tra le cause di nullità del contratto l'illecita della causa e la mancanza di uno dei
requisiti indicati all'articolo 1325 del contratto, tra cui troviamo la causa. La causa può mancare fin
dall'origine o può avvenire che pur esistendo originariamente per vicende successive non sa più realizzabile
il risultato a quel negozio era diretto. Nei negozi tipici la causa esiste sempre. La mancanza originaria della
causa produce nullità del negozio. Può darsi che la causa manchi originariamente solo in parte, ciò può
avvenire nei contratti a prestazioni corrispettive, perché la causa debba ritenersi in parte mancante
basterebbe che le tue prestazioni non siano equivalenti. La legge, tuttavia, attribuisce rilevanza al difetto di
causa solo se la controprestazione manchi del tutto o se vi sia uno squilibrio notevole della prestazione. La
causa può esistere originariamente e tuttavia possono sopravvenire circostanze che impediscono alla causa
di funzionare (difetto sopravvenuto). Sia nel caso di inadempimento che di impossibilità sopravvenuta o di
eccessiva onerosità sopravvenuta il contratto non è nullo ma la parte può agire per la risoluzione è così
sciogliersi dal vincolo.
1453-risolubilità del contratto per inadempimento: nei contratti con prestazioni corrispettive quando uno dei
contraenti non adempie le sue obbligazioni l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione
del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
1463-impossibilità totale: nei contratti con prestazioni corrispettive la parte liberata per la sopravvenuta
impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la e deve restituire quella che abbia già ricevuta.
1467-contratto con prestazioni corrispettive: nei contratti a esecuzione continuata o periodica o esecuzione
differita, se la prestazione delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti
straordinari, la parte che deve tale prestazione può demandare la risoluzione del contratto.
L'articolo 1343 dispone che la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o
al buon costume. Tra le cause di nullità del contratto elencate all'articolo 1418 troviamo l'illecita della causa.
Il contratto contrario a norme imperative è detto anche illegale, quello contrario al buon costume è invece
detto immorale. Se è stata eseguita una prestazione in esecuzione di un negozio avente causa illecita,
essendo il negozio nulla e non producendo alcun effetto, chi l’ha eseguito avrebbe diritto ad ottenere la
restituzione di ciò che ha dato (Art 2033, ripetizione dell'indebito); invece la ripetizione non è sempre
ammessa: l'irripetibilità non si applica al negozio illegale. Non sempre agevole distinguere l'illecita della
causa da quella dell'oggetto con la conseguenza in entrambi i casi è la nullità del contratto.
Il motivo che spinge un soggetto a porre in essere un negozio giuridico è lo scopo pratico da lui perseguito e
che lo spinge al compimento dell'a